In Africa il jihadismo è da tempo endemico e in espansione. Questo “sistema” che possiamo definire socio-economico, in quanto strutturato con tali caratteristiche, anche se esterne ai canoni tradizionali, è capillarizzato all’interno del tessuto sociale soprattutto nelle aree del Sahel e del sub-Sahara, ma la sua azione tentacolare si estende a raggera. Gli interessi del panorama jihadista che fa capo all’Isis africano, cioè lo Stato Islamico nel Grande Sahara, Isgs, ma collegato con un sistema di gruppi terroristici satelliti, abbracciano ogni tipo di attività: contrabbando, sfruttamento di risorse naturali, miniere d’oro per prime, un sistema di ricatti, commercio di esseri umani, ed anche operazioni di influenza politica espressa anche con tentativi di indebolimento dei governi a scopo di infiltrazione e ricatto. Insomma tutto ciò che può determinare un profitto necessario a mantenere migliaia di “dipendenti jihadisti”. Tra le azioni più cruente c’è quello “dell’approvvigionamento sessuale”, perpetrato ai danni delle realtà sociali più deboli, più povere e più emarginate.
Così nel nord del Burkina Faso, ad Arbinda, tra giovedì e venerdì scorsi, circa una sessantina tra donne e ragazze, sono state rapite dai jihadisti. Questo è stato riferito a varie agenzie di informazione da testimoni locali, dalle forze dell’ordine, e soprattutto da alcune donne che sono riuscite a sfuggire dalla morsa dei terroristi, tornando al proprio villaggio in preda al terrore. In particolare, giovedì circa una quarantina di donne sano state rapite da una banda di jihadisti mentre andavano a cercare un improbabile nutrimento, composto da frutti selvatici, radici e foglie, nelle boscaglie distanti dal loro villaggio circa dieci chilometri. Poi il giorno dopo, poco a nord di Arbinda, un’altra ventina di ragazze, non a conoscenza di quanto era accaduto il giorno prima, sarebbero state sequestrate dallo stesso gruppo jihadista.
Il villaggio di Arbinda, che versa in estrema povertà, si trova in un’area assediata da formazioni jihadiste. In questa regione quasi un milione di persone, oltre a subire una devastante siccità ed una penuria cronica di generi alimentari, subisce il controllo dei gruppi terroristici di stampo jihadista che impediscono a queste popolazioni anche brevi spostamenti, in quanto ogni allontanamento dalla propria ristretta zona mette a rischio la loro sicurezza se non la sopravvivenza.
Queste donne, secondo informazioni, sono state trasferite nelle basi jihadiste dislocate sul territorio, infatti gli articolati gruppi militari e paramilitari governativi non hanno trovato nella zona traccia delle ragazze rapite.
Il loro destino è comunque segnato, saranno strumento di appagamento sessuale e, se cristiane o indifferenti ad una credenza, verranno convertite forzatamente ad un Islam personalizzato, e se usciranno da questo pozzo del terrore, saranno, come tutti i precedenti casi di ragazze rapite, perpetuamente traumatizzate.
Ma altri gruppi jihadisti hanno messo la loro firma anche nella Repubblica Democratica del Congo, Rdc. A Kasindi, città di confine con l’Uganda nella provincia congolese del Nord Kivu, domenica 15 gennaio in una chiesa pentecostale – protestante evangelica – circa una decina di fedeli sono rimasti uccisi e una quarantina feriti, in un attentato dinamitardo attribuito a un altro gruppo legato allo Stato islamico del Grande Sahara. Un sospetto attentatore è stato arrestato, sembra di nazionalità keniota. Tuttavia una pista ugandese porta ad attribuire l’attentato al gruppo islamista Adf, Forze democratiche alleate, originario dell’Uganda, fondato dai seguaci del movimento di predicazione islamica Tabligh, attivo oltre che nella provincia del Nord Kivu, anche nella provincia congolese dell’Ituri a sud. Nell’area orientale della Rdc, l’Adf, degli oltre cento gruppi terroristici presenti, è uno dei più sanguinari. Queste aggregazioni armate composte anche da poche decine di comuni banditi, cercano di controllare i territori per motivi economici, sfruttando le ricche miniere aurifere, e per questioni etniche che traggono spesso origine dai conflitti regionali deflagrati all’inizio di questo secolo.
Comunque lo Stato islamico ha rivendicato poi la sua paternità nell’attentato nella chiesa pentecostale di Kasindi; ricordo che l’Adf ha massacrato migliaia di civili congolesi e ordito numerose azioni dinamitarde in Uganda. Infatti gli Stati Uniti nel 2021 hanno inserito l’Adf nella lista delle organizzazioni terroristiche legate al gruppo dello Stato islamico. Anche se, nel 2021, l’esercito congolese e ugandese in una operazione congiunta hanno effettuato sul territorio congolese un contrasto alle milizie dell’Adf, gli attentati non sono cessati. Così l’Adf ha proseguito il suo allargamento geografico in Congo, uccidendo quasi quattrocento civili da aprile a fine 2022.
Il presidente della Rdc, Felix Tshisekedi, ha giocato la carta militare in ambito civile, sostituendo i funzionari civili con ufficiali dell’esercito. Tuttavia, anche questa misura eccezionale non è riuscita compiutamente a frenare gli attacchi delle cellule jihadiste. Ma la “coperta militare” della Rdc è corta, infatti recentemente sono state ridotte le forze armate nella provincia di Ituri, per trasferirle nella provincia del Nord Kivu al fine di fronteggiare l’M23, un altro gruppo armato nato da una ribellione dell’etnia tutsi e sostenuto, secondo Kinshasa, dal Ruanda.
In realtà il jihadismo, nella sua capillarizzazione territoriale, è strutturato in modo tale da “fare concorrenza” ai governi più o meno golpisti presenti in alcune aree africane. Un sistema economico ricco, che in alcuni casi interloquisce, occultamente, con i governi. Ciò non deve stupire ricordando l’incontro di Doha del febbraio 2020 quando l’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, e il numero due dei Talebani, mullah Abdul Ghani Baradar, hanno sottoscritto un diplomaticamente imbarazzante, oltre che inutile e dannoso, accordo che come frutti ha dato poi la débâcle di Joe Biden in Afghanistan e il raccapricciante potere ai talebani.
Tuttavia il jihadismo prende di mira facilmente le realtà cristiane africane, sempre più oppresse e massacrate da questa violenza estremista, e il mondo femminile, che oggi è quello che paga maggiormente il pedaggio di una brutalità ottusamente coperta da un mantello pseudo religioso, purtroppo capillarmente ostentato anche in altri contesti.
Aggiornato il 18 gennaio 2023 alle ore 09:44