Tibet, un ambito conteso tra India e Cina

Martedì scorso, sul confine himalayano tra Cina e India, esattamente nello Stato indiano dell’Arunachal Pradesh, è andato in scena un nuovo capitolo dell’annoso problema della sovranità territoriale: una criticità, questa, vecchia di sessanta anni. Le dinamiche dello scontro sono poco note. In generale, i soldati cinesi – forse seicento – hanno attraversato il confine indiano prima dell’alba. Il conflitto è stato feroce. Dopo lo sconfinamento dei soldati di Pechino, il ministro della Difesa, Rajnath Singh, ha accusato la Cina di voler “cambiare unilateralmente lo status quo” sulla controversa linea di confine. Ecco così un nuovo pericoloso confronto sul tetto del mondo. Secondo Nuova Delhi, nella disputa sono stati registrati “danni” su entrambi i fronti. Da parte sua, Pechino ha accusato l’esercito indiano di aver varcato il confine illegalmente e di aver sbarrato l’avanzata delle proprie milizie.

Perché India e Cina si fronteggiano sul confine himalayano? La questione risale, come al solito, alla divisione gestita a tavolino dai colonizzatori britannici. Infatti, tale rivalità sulle frontiere deriva dal tracciato dei confini dell’India britannica definiti dalla Convenzione di Simla nel 1914, dove furono presenti britannici, tibetani e cinesi (questi ultimi non firmarono l’accordo). La Linea McMahon interessava essenzialmente il “Tibet esterno”. E con questa, il Regno Unito si “regalò” due regioni rivendicate dalla Cina: l’Aksai Chin nel Ladakh, a ovest e l’Arunachal Pradesh, a est. Ma questi confini sono stati sempre disconosciuti dalla Cina. I due colossi asiatici, nonché potenze nucleari, ora sono nuovamente ai ferri corti. L’episodio dei giorni scorsi, con il reciproco scambio di accuse, ha incendiato nuovamente quest’area. Il confine himalayano, tra Cina e India, si estende per circa 1500 chilometri. In particolare, un tratto del tracciato della linea McMahon, lungo complessivamente circa 1150 chilometri, scorre oltre i 4mila metri di altitudine. Si tratta di un confine mai segnato ufficialmente. La zona contesa è situata nell’estremo nord-est dell’India. È posizionata, in sostanza, nelle vicinanze del Tibet, tra il Bhutan e la Birmania.

Brevemente, ricordo che l’invasione del Tibet ebbe inizio nell’ottobre del 1950, dopo la fine della guerra civile cinese. Mao Zedong contese il potere dal 1927 al 1949. Dopo la vittoria del Partito Comunista cinese e la fondazione della Repubblica popolare, nel 1950, tra il 6 ed il 7 ottobre, l’esercito popolare di liberazione cinese – Pla – sotto l’influenza del futuro leader, Deng Xiaoping, assediò la città tibetana di Chamdo, che cadde sotto il dominio cinese il 19 ottobre. Fino a quella data, la regione del Tibet era indipendente dal Governo di Pechino. Seguirono una serie di tumulti e scontri, che nel 1959 portarono il Dalai Lama ad abbandonare la sua terra per rifugiarsi in India, dove ancora oggi vive in esilio. Nel 1962 la tensione tra i due Paesi toccò il picco. L’esercito popolare di liberazione cinese occupò parte del territorio della regione di Aksai Chin. Dopo un mese, la Cina dichiarò il cessate il fuoco, mantenendo il controllo su questa zona e concedendo all’India la regione dell’Arunachal Pradesh. Adesso, però, continua a rivendicarlo. Allora i morti furono oltre settemila, ma vi fu un considerevole numero di prigionieri e dispersi, soprattutto da parte indiana.

Tuttavia, nessun confine ufficiale è esistente al momento. Ci sono stati molti tentativi di accordi bilaterali, ma senza toccare formalmente una chiara frontiera. Adesso, l’unica linea di confine tra i due Paesi resta quella del cessate il fuoco del 1962 che, in virtù di uno degli accordi bilaterali stipulato nel 1993, fu accettata come Lac, “Current line of control”. Il Lac scorre per quasi tremilacinquecento chilometri. Di questi, 1346 chilometri percorrono il settore orientale. Soprattutto nel confine conteso dell’Arunachal, la Cina rivendica quasi l’intero Stato, in particolare Tawang. La Cina vede Tawang come un’area di importanza strategica per il suo controllo sul Tibet e sul buddismo tibetano. Ma tale obiettivo è al momento estremamente improbabile. Infatti, a differenza dell’Aksai Chin, di cui Jawaharlal Nehru – politico indiano morto nel 1964 – disse “lì non cresce un filo d’erba”, Tawang – oltre a essere un fiorente centro di pellegrinaggio buddista – rappresenta una delle 33 sezioni dell’assemblea nel collegio elettorale parlamentare dell’Arunachal Pradesh occidentale, che è stato rappresentato in ogni Parlamento indiano dal 1950.

Nel 2013 i due Paesi si sono impegnati, affinché la difesa dei confini non degenerasse in un conflitto armato. Ciononostante, nuovi scontri si verificarono sulle alture himalayane del Ladakh, nel giugno 2020, causando almeno venti morti tra i soldati indiani. Ignoto, invece, il numero dei deceduti cinesi. Questa vacuità di frontiera conduce la Cina a rosicchiare quei territori dove, secondo gli osservatori internazionali, Pechino sta costruendo infrastrutture militari per controllare le aree strategiche come il lago Pangong, in Ladakh. Tale situazione porta l’area contesa a essere sempre più militarizzata.

Tutto ciò avviene nell’ottica di un nuovo modello geostrategico, che conduce a un riavvicinamento “indo-americano”. Le manovre militari congiunte indo-statunitensi del mese scorso nello Stato settentrionale di Uttarakhand, al confine con la Cina, hanno messo in fibrillazione Pechino. Come vediamo, “le pedine” sullo scacchiere geopolitico vanno osservate nella loro complessità. E la proiezione euroasiatica dell’Occidente è una “mossa” strategica.

Aggiornato il 19 dicembre 2022 alle ore 09:56