La banalità del male in Iran: il boia al potere

La banalità del Male” abita in Iran, come la Corda e l’Impiccato. Per chi lo avesse perduto (la sua permanenza nelle sale italiane è stata del tutto effimera) l’argomento “arendtiano” è ampiamente trattato, descrivendo il mondo a testa in giù del regime teocratico iraniano, nel film “Il Male non esiste”, già Orso d’Oro nel 2020, per la regia dell’iraniano Mohammad Rasoulof. Opera indispensabile, quest’ultima, per capire dall’interno del regime dei Mullah che cosa oggi stia accadendo in Iran. Il film si articola in quattro storie tenute assieme da un argomento comune, ovvero la pena di morte in Iran e le sue modalità di “somministrazione”. E raccontano tutte lo stesso orrore: un fiume di grande di violenza, paura e terrore, in cui sono intrappolate e annegano molte decine di milioni di persone senza diritto di parola. Dietro le apparenze di un pacifico, rotondetto e normale padre di famiglia come il boia seriale Heshmat, con una moglie irascibile e logorroica, una figlioletta viziata e una madre gravemente malata da assistere, si può addirittura celare lo spirito di Adolf Eichmann, schermato da pesanti porte blindate dietro le quali si manifesta lo stesso automatismo stragista delle docce nelle camere della morte di Auschwitz. Basta premere un pulsante, e decine di botole si aprono sotto i piedi dei condannati all’impiccagione, che perdono urina durante la loro breve agonia. Ma poiché ogni servo del Demonio ha un debito da saldare con lui, anche il boia che si alza alle tre del mattino non riesce a dormire la notte. E il suo fisico gonfio di stress e di bulimia si macera in malanni che richiedono un cocktail di farmaci per la cura di dismetabolismi fisici e mentali.

Niente è più perverso della burocrazia della Morte, in cui il funzionario non si chiede mai se l’ordine sia giusto, preoccupandosi esclusivamente che il suo compito sia ben eseguito. Tra l’allestimento del patibolo plurimo, in cui si allineano decine di condannati (vi ricorda nulla in pieno corso di svolgimento?), si può organizzare e consumare una prima colazione salutista a base di frutta e verdura come se si trattasse di una normale routine, arma globale quest’ultima per la lobotomizzazione del pensiero critico, per poi controllare da uno spioncino, con assoluta indifferenza, decine di giovani che muoiono. Nel secondo episodio dalle prigioni islamiche c’è la storia di Pouya, la guardia carceraria ribelle, girata all’interno delle mura del corridoio dei passi perduti, in cui i protagonisti in divisa si concentrano in una piccola camerata squallida e spoglia con letti a castello, dove uomini nerboruti (costretti alla leva militare per due anni, che dà diritto ad accedere a un minimo di libertà civili, come un passaporto e un libretto di lavoro) stremati dallo stress si scontrano tra di loro, perché uccidere a sangue freddo degli innocenti, che hanno solo peccato contro la Sharija senza commettere violenza, non è una cosa facile per nessuno. Anche se, dal punto di vista del vantaggio “pratico”, per ogni condannato condotto al patibolo e giustiziato semplicemente scalciando lo sgabello, il soldato obbediente avrà in premio tre giorni di congedo!

Ma l’umanità è fatta anche di persone come Pouya che non perdono la propria dignità, identificandosi con la loro vittima ammanettata dopo aver tentato in tutti i modi, con raccomandazioni e promesse di denaro, di trovare un sostituto o di fuggire da quelle quattro sordide mura che lo imprigionano nell’anima e nel fisico, chiamando più volte al cellulare il fratello e la fidanzata perché lo vengano a salvare da quell’incubo. Ma, poiché vale sempre il detto “Aiutati che Dio ti aiuta”, per evitare la visione passiva della Morte tanto vale renderla attiva con armi in pugno, per conquistare la libertà del fuorilegge, a sua volta candidato al patibolo nel caso di cattura. Un invito, quindi, e nemmeno tanto velato, agli uomini in divisa e all’esercito iraniano di ribellarsi ai mullah! Anche, se per fortuna, l’amore tra un uomo e una donna continua ad esistere persino tra le mura invisibili di un’intera Nazione obbligata al silenzio e umiliata dalla violenza religiosa, alla quale oggi si ribellano milioni di donne iraniane, sacrificando la vita di tante di loro per la libertà di tutti! Così, il terzo episodio del film sui boia a Teheran parla della storia del secondino Javad, collega di Pouya, perdutamente innamorato di Nana, che vive in una fattoria isolata sulle colline, alla quale si accede guadando un fiumiciattolo dopo aver attraversato fitti boschi di betulle, fendendo atmosfere umide, cariche di silenzio e dell’attesa di qualcosa di indefinibile.

Anche per lui, ogni esecuzione andata a buon fine dà diritto a tre giorni di congedo e, giocando attentamente con i tempi, si può allineare all’interno di quel periodo sospeso il riposo del guerriero, per essere puntuali a festeggiare il compleanno della propria fidanzata, spendendo il resto per il viaggio di andata e ritorno. Capita però, come accade con le pentole del Diavolo, che la Morte si sieda sulle ginocchia della stessa festeggiata, con tutta la famiglia di Nana in lutto per la perdita di un carissimo amico e maestro, noto dissidente politico, giustiziato dal regime dei mullah (e condotto a morte proprio da Javad stesso!) per le sue idee sacrileghe di libertà laica. Film profetico che precede l’attualità della protesta odierna in Iran con le quotidiane esecuzioni capitali di giovanissimi, dopo processi sommari e confessioni estorte con la tortura. E così l’ombra immortale del giustiziato senza altra colpa del suo diritto a esistere, si allunga su quell’amore in fiore tormentato dal terribile rimorso di Javad, l’esecutore materiale della sua impiccagione, fino a rompere quel legame che fino alla notte precedente sembrava indissolubile.

Il quarto quadro è ancora più significato per esplorare gli spazi indicibili della tenebra che avvolge l’attuale regime iraniano, e il tutto si concentra nella figura di Bahram, medico e anche lui in fuga da mezzo secolo dal fantasma della pena capitale, che lo ha reso latitante confinandolo in una landa desolata e semidesertica, in cui le strade sterrate hanno la conformazione delle montagne russe. La sua amica-nemica (metafora del regime) è una volpe che ha fatto stragi nel pollaio, tanto da convincere Bahram a rinunziare alle galline per dedicarsi interamente alla cura delle arnie e al miele d’api. Ma quel suo fuggire lontano dalla Morte per decreto, ha lasciato dietro di sé perdite importanti e verità innominabili del morto che trascina con sé il vivo. Ora che la Nera Signora bussa direttamente alla porta di Bahram, malato terminale, senza più accompagnamento e scorta di divise, lo fa per convincere l’anziano medico eremita a liberarsi dal suo segreto, rivelandolo alla figlia del fratello, fatta venire per l’occasione da Teheran. Una scelta, quest’ultima, altrettanto immorale come la pena di morte decretata dallo Stato, perché responsabile di creare pregiudizio a una giovane vita, recidendo il ponte che legava passato e presente, per aprire un passaggio sotterraneo indesiderato all’infelicità.

In definitiva, “chi e come somministra la condanna capitale”, quando lo Stato è islamico e la giurisdizione del processo deriva dalla Sharia e non dal Diritto positivo all’occidentale? In Iran, gli esecutori materiali della pena indossano indifferentemente la divisa o gli abiti civili. Ci si chiederà: “Cambia qualcosa, nell’uno come nell’altro caso”? Sì: perché nell’Iran khomeinista la divisa prevede una condizione mandatory, legata in qualche modo all’obbligatorietà della mansione che è ricompresa nell’ambito del dovere militare. La seconda, invece, attiene al classico rapporto di dipendenza funzionale (ed “eichmanniana”) del boia con il potere amministrativo-giudiziario locale/nazionale. Un lavoro da burocrate, cioè, come un altro. Però, nulla è più perverso della burocrazia della Morte, in cui in apparenza il funzionario non si chiede mai se l’ordine sia giusto, preoccupandosi esclusivamente che il suo compito sia scrupolosamente eseguito. Ma, questo tipo, per così dire, di impiego pubblico è, o no, senza conseguenze per colui che lo esercita con scrupolo e senso del dovere”? La risposta non può che essere affermativa, perché con ogni probabilità anche nella mente del boia islamico in panni civili (o religiosi, come il potere esecutivo dei mullah, che si divide al suo interno tra radicali e moderati!), si affollano i fattori di stress e gli incubi notturni, che vanno a incidere ben oltre le porte blindate del carcere di massima sicurezza.

Ecco, rivedere oggi su Netflix (o altre piattaforme che lo offrono a pagamento) “Il Male non esiste” può contribuire a conoscere meglio dall’interno della sua caverna oscurantista quell’Iran nascosto che aggredisce, tormenta, tortura, incarcera e viola nel corpo e nell’anima tanta parte della sua gioventù che protesta da mesi, incurante della propria vita, nelle vie e nelle piazze delle principali città iraniane. Adolf Hitler morì suicida ed Eichmann venne catturato, giudicato, condannato e impiccato. È così che va sempre la Storia per gli Autocrati assassini del loro popolo.

Aggiornato il 15 dicembre 2022 alle ore 10:51