Pulizia morale, per uno sciismo senza sunnismo

La vera “Rivoluzione iraniana”? Depurare lo sciismo dal sunnismo khomeinista! Incredibile ma vero, questo assunto costituisce un’autentica rivelazione per venire in possesso delle chiavi della rivolta del “se dévoiler”, condotta dal movimento delle donne iraniane che lottano contro l’imposizione del velo islamico. Questo perché il dresscode per le donne rappresenta il pilastro ideologico del potere teocratico e ne costituisce il principio identitario, anche se il modo di perseguirne le violazioni si è rivelato erratico e arbitrario, con un ampio ventaglio di sanzioni che va dall’ammonizione alle multe, fino all’arresto. Un consistente aiuto a chiarire in modo davvero inedito i termini del problema è offerto dalla scrittrice franco-iraniana Abnousse Shalmani, intervistata da Le Figaro. Il passo chiarificatore è il seguente: “Occorre ricordare che la rivoluzione di Khomeini fu una rivoluzione sunnita in un Paese sciita”. Tant’è vero che nel 1965 era stato lo stesso clero sciita a chiedere allo Scià di esiliare la futura Guida Suprema (per aver introdotto il verbo sunnita nel sacrario sciita). Perché: “Lo sciismo vanta da mezzo millennio una tradizione di separazione dei poteri secolare e religioso, sancita a partire dal XVI secolo dallo Scià Abbas il Grande e riconfermata dalla rivoluzione costituzionale del 1906”. Khomeini, al contrario, sosteneva che “L’Islam è politico o non è nulla!”. E qui si innesta il passaggio-chiave della Shalmani: “L’Iran ha trascorso molto più tempo nello zoroastrismo rispetto al musulmanesimo. Quello che gli iraniani sono sul punto di realizzare è di ridiventare persiani!”.

E tra le parole d’ordine gridate nelle strade in rivolta contro il velo risalta lo slogan “noi siamo i discendenti di Ciro il Grande!”, padre dei diritti dell’uomo che ha liberato gli ebrei di Babilonia e finanziato la costruzione di un secondo Tempio a Gerusalemme. Invece, Khamenei viene paragonato dai manifestanti al re tiranno Zahhak che, essendosi votato al diavolo Ahriman, si era ritrovato con due serpenti, uno sulla spalla sinistra e un altro sulla destra, che si nutrivano delle “cervella” della gioventù iraniana! Onde per cui l’Iran, una civiltà vecchia di tre millenni, nel rifiutare il velo rigetta la Sharia e l’Islam, compiendo così una storica mutazione per ritrovare la sua vera origine mai dimenticata. Del resto, le feste iraniane, malgrado il pugno di ferro della Repubblica Islamica, sono rimaste sempre d’impronta zoroastriana! Storicamente, infatti, lo zoroastrismo rappresentò dal VI secolo avanti Cristo fino al X secolo dopo Cristo la religione più diffusa nelle regioni iraniche dell’Asia Centrale, in termini teologici, demografici e politici. La sua filosofia si riassume nello slogan “buoni pensieri, buone parole, buone opere” e predica, tra l’altro, parità tra i sessi e uguali diritti tra uomini e donne; uguaglianza di tutti gli esseri senza distinzione di razza e di credo religioso; amore per la natura. Ma il passaggio più impietoso dell’intervista è dedicato al movimento femminista mondiale. Le cittadine iraniane nel togliersi il velo e bruciare nelle piazze l’oggetto della loro discriminazione reclamano la parità dei diritti uomo-donna, dimostrando che l’unico vero femminismo è quello universalista.

Mentre le neo-femministe, rifiutandosi di sostenere le sorelle iraniane con l’argomentazione (palesemente infondata) che la loro battaglia sia limitata alla sola soppressione del velo obbligatorio e non del velo tout-court, danno ampia prova del loro antifemminismo ritrovandosi paradossalmente allineate alle posizioni delle popolazioni sunnite che non capiscono questo gesto libertario, liberatorio e per nulla blasfemo. I “cuori bianchi” del #MeToo e del movimento mondiale per la difesa delle minoranze Lgbt sono a conoscenza di quanto denuncia The Guardian, secondo cui “Iranian forces shooting at faces and genital of female protesters”? Tradotto: le forze antisommossa iraniane usano pallini da caccia di plastica o metallo a distanza ravvicinata per colpire al volto, negli occhi, su natiche, cosce e genitali le donne che protestano, passanti compresi. Da dove viene questa orribile, disumana misura per umiliare le manifestanti e costringerle a ricorrere a cure mediche clandestine per evitare denunce, torture e imprigionamenti e farsi estrarre da medici solidali i minuscoli “pellet” di piombo che le deturpano e le feriscono psicologicamente nel profondo del loro essere? C’entra qualcosa la torbida alleanza russo-iraniana per cui gli scherani di Mosca offrono gratis al regime teocratico la loro esperienza da guerre ibride, con particolare riferimento alle tecniche di “psycological warfare”, per distruggere fisicamente i bei volti di queste persone? Per di più, moltissimi feriti non denunciano, morendo alcuni dissanguati in casa, e molti altri vengono prelevati dai pronto soccorso grondanti di sangue e trasportati in carcere senza più cure! Per nostra fortuna esiste ancora una stampa libera e The Guardian conserva gelosamente nei suoi archivi un’abbondante documentazione fotografica, che prima o poi qualcuno con un po’ di coraggio si deciderà a portare dinnanzi alla Corte internazionale di Giustizia.

Per l’immediato futuro, inutile illudersi sull’ingresso in Iran di una missione Onu per una “fact-finding mission” ai fini dell’accertamento delle gravissime violazioni sui diritti umani, visto l’atteggiamento di totale chiusura e non collaborazione del Governo iraniano, nonostante siano state pubblicate sui social le immagini di decine di giovani (ma si presume che le vittime siano almeno un migliaio!) resi ciechi dalla pioggia di pallini di caccia. Ma sono proprio la repressione, la censura e l’incapacità di gestire l’economia ad aver dato fuoco alle polveri della protesta di massa innescata dalla protesta femminile contro l’obbligo del velo. E le prigioni iraniane non sono molto diverse da quelle dell’Isis, dove le ragazze arrestate durante le manifestazioni sono assoggettate a brutali ricatti, stupri di gruppo da parte dei loro carcerieri (drammatiche in tal senso le testimonianze sulle lacerazioni genitali dei ginecologi silenziati dalla censura di regime!), minacce alle loro famiglie, intimidazioni, violenze fisiche e psicologiche, tanto che, pur di essere scarcerate, le prigioniere sono costrette a fare false dichiarazioni dinnanzi alle telecamere, in cui confessano di essere state sul libro paga di servizi stranieri di Paesi nemici e chiedono pubblicamente perdono per le loro colpe inesistenti. Una cronaca esemplare e illuminante, in tal senso, è riportata da Le Monde, con “En sortant de prison, je ne pesais que 46 kilos”.

Preso alla sprovvista, il regime fondamentalista ha reagito come qualsiasi autocrazia (teocrazia, in questo caso) totalitaria che si rispetti, comminando condanne a morte, arresti, persecuzione degli attivisti con pene carcerarie e scatenando i reparti antisommossa affiancati dalle famigerate milizie dei Guardiani della Rivoluzione, o pasdaran, che hanno fatto finora almeno cinquecento vittime tra i manifestanti e provocato alcune decine di migliaia di arresti! Ma, poiché la rivoluzione non si ferma, i mullah hanno pensato bene di “tirare un osso al cane occidentale” con un’uscita quanto mai isolata e velleitaria del Procuratore Generale, il Mullah Mohammad Jafar Montazeri, che ha fatto riferimento, stando alle agenzie di stampa iraniane, alla decisione di una non meglio specificata Autorità competente (in realtà, si tratterebbe dell’Esercito dei Guardiani della Rivoluzione) di sciogliere la “Polizia morale”, o basij, responsabile della morte in carcere per le percosse ricevute di una giovane donna di 22 anni, Mahsa Amini, rea di non aver correttamente indossato il velo islamico. Sull’onda della protesta, sale la marea del numero di donne iraniane che sfidano a capo scoperto il regime nelle strade, nei ristoranti, nelle università, nei check-in di ingresso presso gli aeroporti e nelle code presso gli uffici pubblici (le addette agli sportelli, invece, sono obbligate per contratto a rispettare il dresscode islamico), senza alcun intervento di censura da parte delle forze di sicurezza.

Non poche iraniane, tuttavia, rimangono in disparte nel timore di subire procedimenti disciplinari e condanne, mentre altre ancora si interrogano se sia moralmente giusto rinunciare al velo sentendosi come “messe a nudo”, o accusando sensi di colpa perché questo privilegio di non indossare la sciarpa è già costato la vita a molte di loro ed è un prezzo troppo alto da pagare. Ma, anche se dovesse essere confermato lo scioglimento del basij (tanto, lo stesso sporco lavoro può essere fatto da altre milizie armate!), non disincentiverà di certo i manifestanti, che continuano imperterriti a scontrarsi nelle strade e nelle piazze con tutte le altre forze di sicurezza, per chiedere la fine del regime islamico. Per di più, i basiji non rispondono alla giurisdizione del Procuratore Generale, essendo posti sotto la supervisione della Polizia iraniana e si ha sentore (stando al New York Times, con “Cracks in Iran? Morality Police are said to end”) che il Governo iraniano sia ben intenzionato a non dare seguito alle dichiarazioni di Montazeri, mantenendo in vigore la legge sull’obbligo dell’hijab che, ad esempio, implica l’espulsione dalla scuola e dall’università per chi si rifiuti di indossarlo.

Chi vincerà, a questo punto? Il popolo o i turbanti? Una cosa è certa fin d’ora: hanno perso del tutto la faccia gli ipocriti del “Politically correct” e quelle del #MeToo!

Nb: Un altro manifestante, il secondo dopo Mohsen Shekari, è stato giustiziato. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa della magistratura iraniana, Mizan. La vittima è Majidreza Rahnavard. La sua condanna a morte è stata eseguita a Mashhad. Il giovane è stato accusato di aver ucciso, con un’arma da taglio, due componenti della forza militare dei Basij.

Aggiornato il 12 dicembre 2022 alle ore 09:52