Nigeria-Boko Haram: dagli stupri agli aborti, l’inchiesta della Reuters

Il jihadismo, oggi rappresentato da bande criminali, è una interpretazione corrotta e distorta dei principi espressi dal concetto di Jihad. Il suo vero significato abbraccia aspetti interiori ed esteriori, distinguendo due “guerre sante” o meglio due “sforzi”: semplificando, la “grande guerra santa” el-jihadul-akbar e la “piccola guerra santa” el-jihadul-ashgar. Una separazione originata da un detto di Maometto, l’hadith. Brevemente, la “grande guerra santa” è di natura interiore e spirituale; la “piccola guerra santa” è materiale, quindi condotta esternamente. Nel complesso, è uno “sforzo comune” per raggiungere uno “stato” di comunità, l’Umma, principio agli antipodi di chi ostenta ora la “causa” jihadista.

Ma il jihadismo che viene rappresentato dai gruppi terroristici può essere letto, tecnicamente, come “anarco-jihadismo”, concentrato solo su un indottrinamento coatto e distorto: rapimenti, stupri, traffici di droga e di metalli preziosi, contrabbando di armi con chiunque (raramente pure le autorità statali). Non esiste un “meglio o un peggio” in questo sistema, ma sicuramente il gruppo jihadista denominato Boko Haram, traducibile con l’educazione occidentale è proibita, rappresenta uno dei peggiori esempi di cosa non sia il jihad. Questi jihadisti salafiti stanno spadroneggiando da tempo nel nord-ovest della Nigeria, commerciando con tutto ciò che riescono a saccheggiare, tra cui armi, droga, cibo, oro, carburanti. Allo stesso tempo, sono famigerati per i rapimenti di esseri umani, preferibilmente donne e adolescenti.

In questo quadro cinico e complesso, l’agenzia di stampa Reuters ha rivelato, in una lunga e difficoltosa inchiesta pubblicata il 7 dicembre, l’esistenza di un quasi decennale programma segreto dell’esercito nigeriano mirato a interrompere le gravidanze delle ragazze rapite e stuprate dai jihadisti di Boko Haram. L’inchiesta ha reso noto che questi aborti, ovviamente illegali, sulle giovani donne violentate dai jihadisti sono organizzati dai “militari” nigeriani almeno dal 2013.

Si tratta di migliaia di ragazze, bambine e donne, spesso studentesse cristiane – come le circa trecento rapite nel 2014 in una scuola – catturate con atroci blitz effettuati in villaggi e collegi dalla banda Boko Haram, poi diventate violentemente le spose dei jihadisti, se non le schiave del sesso. Una modalità che, oltre ad appagare con la diversità digenere” la perversa e psicotica sessualità dei jihadisti, conduce all’utilizzo delle rapite, una volta traumatizzate, come arma di riscatto nei confronti sia delle loro famiglie ma anche delle istituzioni e organizzazioni di tutela nate intorno a tale dramma. Una tragedia che segna a vita le ragazze e i loro familiari. E che prevede, per le cristiane, una violenta conversione alla religione islamica, che termina con il loro fortunoso rilascio, comunque avvenga.

L’indagine della Reuters, che si articola su numerose testimonianze – da quelle dei militari coinvolti al personale sanitario che ha praticato le interruzioni di gravidanza, fino ai numerosi documenti e i racconti di decine di ragazze che hanno accettato di parlare – ha rilevato che almeno diecimila giovani liberate sono state obbligate ad abortire. Quest’operazione di cancellazione pratica – ma non dalla memoria – degli stupri, ritenuta dall’indagine molto complessa, è stata eseguita su vasta scala ed è stata coordinata con una articolata e delicata logistica. Le testimonianze delle ragazze obbligate ad abortire evidenziano che le interruzioni di gravidanza sono state effettuate tramite la somministrazione di pillole, iniezioni o interventi chirurgici, senza alcuna informazione sullo scopo di tali azioni. La realtà di cosa le ragazze stessero subendo è emersa, secondo quanto detto, solo quando hanno iniziato a percepire gli effetti: atroci dolori, perdite di sangue ed emorragie.

Reuters riporta che alcune ragazze che si opponevano a tali “pratiche” sono state narcotizzate o legate, in modo tale da poter “agevolare” la somministrazione dei farmaci abortivi. Gli interventi, per la cronaca, hanno seguito le modalità note del raschiamento o dell’aspirazione. Inoltre, risulta dal rapporto che alcune ragazze abbiano perso la vita a causa di queste violenze sanitarie, effettuate spesso in caserme o strutture inidonee. Insomma, giovani appena adolescenti e donne già traumatizzate che subiscono un altro trauma.

Già il 24 novembre il maggiore generale Christopher Musa, comandante della campagna contro i jihadisti, aveva negato tale programma. Affermazione, questa, seguita dal maggiore Jimmy Akpor il 2 dicembre, che ha sostenuto come l’agenzia Reuters sia stata motivata dalla “cattiveria” e da una mentalità di “bullismo”, ribadendo l’etica e la moralità delle forze dell’ordine nel rispetto della Vita. Tuttavia, altre fonti della Reuters hanno confermato che l’obiettivo era quello di cancellare, dalle vittime, lo stigma di avere fatto nascere un bambino di Boko Haram. Intanto, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha chiesto un rapporto sugli aborti forzati in Nigeria.

Una situazione complicata, eventualmente da leggere con gli “strumenti etici” locali e con la consapevolezza che l’inchiesta Reuters non rappresenti esattamente una novità. Ma una cosa è certa: sia che partoriscano il frutto di stupri seriali effettuati dai jihadisti, sia che vengano liberate dal “marchio” di partorire il frutto della violenza dei Boko, nulla potrà cancellare la tragica esperienza di queste ragazze. Giovani imprigionate, insieme alle donne afgane, iraniane, somale, sotto la stessa cappa plumbea.

Aggiornato il 12 dicembre 2022 alle ore 16:11