Quale futuro per la migrazione africana verso l’Europa?

Con l’Organizzazione dell’Unione africana (Oua), nel 1963 trentadue Stati africani decisero di coordinarsi meglio, al fine di promuovere l’unità e la solidarietà tra i Paesi del Continente, di consolidare la cooperazione e di salvaguardarne l’integrità territoriale. Sin dall’origine, sono stati attivati molti progetti e attività di cooperazione con l’Unione europea per l’intera fascia centrale del Continente. Nonostante questo, a causa principalmente di differenziazioni identitarie tra le stesse popolazioni, che persistono in particolare nel Sahel, ben poco è stato fatto per le singole nazioni sul fronte dei “fini umanitari”.

Nel 2012, ad esempio, nel nord del Mali scoppiò una ribellione guidata dal movimento armato dei Tuareg. A dieci anni di distanza, l’instabilità politica e di sicurezza ha coinvolto quasi l’intero Sahel. La regione di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger è diventata il nuovo epicentro dell’incertezza. Da allora, un’ondata di precarietà si è sviluppata in una vasta area, dalla Mauritania al Ciad, minacciando anche gli Stati costieri del Golfo di Guinea. Purtroppo, le radici della mutevolezza sembrano allargarsi e radicarsi ancor più nel substrato culturale delle proprie origini, in particolare nelle zone dove i partner europei (Francia e Italia!) intervengono con le “forze militari”.

Alla situazione nel Sahel si va ad aggiungere la drammatica crisi tra Algeria e Marocco, aggravatasi nell’agosto del 2021 con la rottura dei rapporti tra Algeri e Rabat. L’esasperazione dei recenti contrasti tra i due Paesi è sintomo di un clima di ostilità e diffidenza reciproca (che ha caratterizzato la storia delle relazioni tra i due Stati fin dalle rispettive indipendenze), sommariamente sintetizzabile nella contesa dei territori del Sahel (la Cabilia) di popolazione “sahrawi” Berbera, da noi meglio da conosciuta come “Polisario”. L’Algeria, inoltre, è il Paese fornitore del 30 per cento delle esigenze energetiche di gas della Spagna e, se fino a ieri si fruiva del gasdotto Marocco-Gibilterra-Spagna-Portogallo, dal 2021 la stessa Algeria ha annunciato la chiusura sul fronte marocchino, deviando il tutto sul gasdotto “Europeo” che – attraverso la Tunisia, l’Italia (per nostra fortuna!) e la Francia – porterà il prodotto anche in Spagna e in Portogallo.

Questo già complesso quadro geostrategico va ad aggravarsi solo osservando le gravi criticità che affliggono l’Africa, come la diffusissima povertà, la mancanza della scuola dell’obbligo, l’esclusione sociale – in particolare per le donne – e l’alto livello di delinquenza. Guardando al futuro, tutto ciò è solo un contorno del problema principale, identificabile nell’aumento demografico! I dati degli ultimi settant’anni sono impressionanti: dai 200 milioni di popolazione degli anni ’50, l’Africa è passata a più di un miliardo e 300 milioni di persone dei giorni d’oggi. L’urbanizzazione delle principali capitali nazionali ha portato a una ri-dislocazione di oltre il 60 per cento della popolazione. Nella sostanza, si è passati da una tradizionale Africa ancestrale a un dinamico richiamo verso il più sfrenato modernismo, con lo spostamento di masse enormi dalla “Savana” dei grandi spazi interni alle megalopoli, che aprono sempre più a una stratificazione sociale più povera, dove solo il vivere nel degrado più assoluto delle baraccopoli (Lagos Nigeria: 22.000.000 come popolazione) è la soluzione di una convivenza sempre meno accettata a livello giovanile. A questa realtà va aggiunta l’inesistenza di obiettivi politici futuri che, quindi, quasi per disperazione hanno portato alla cultura della “migrazione”. L’Africa conta circa 20 milioni – pari al 7,5 per cento mondiale – di flussi migratori interni, che in aggiunta ha provocato, in particolare, nel centro sud del Continente la retorica anti-migrante. In molti Stati africani i migranti sono divenuti la “causa” principale del peggioramento dello stato sociale.

Situazione, questa, estremamente peggiorata dalla presenza del fattore “terrorismo” accreditato a organizzazioni quali Boko Haram, l’Isis, Al-Qaeda nel Maghreb, generando un “mosaico di guerre fratricide” dove i jihadisti fanno da padroni! E che dire dell’Eritrea, del Sud Sudan, dell’Uganda, della Repubblica Democratica del Congo, senza dimenticare la Libia, dove basta dire che l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) ha dovuto abbandonare l’area, a causa dell’impossibilità al dialogo con le autorità locali.

Se questo è il presente, il futuro è esplosivo! In uno studio del 10 ottobre scorso (Gatestone Institute), nella regione centro-settentrionale del Sahel, assegnando a ogni singola donna africana un coefficiente di prolificazione del 5,5 per cento, per il 2050 la popolazione raggiungerà i 330 milioni, sette volte la popolazione del 2000 (50 milioni). L’Egitto raggiungerà i 190 milioni. L’Algeria passerà dagli attuali 42 a 72 milioni di abitanti. Inoltre, più della metà della crescita della popolazione mondiale sarà concentrata in soli otto Paesi: Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania. La Nigeria, da sola, avrà più abitanti dell’Europa e degli Stati Uniti. E, a guardare l’Africa subsahariana – secondo il resoconto dell’Ispi dell’aprile 2021 – da sola conterà il 23 per cento della popolazione mondiale, con la metà della popolazione di età inferiore ai 26 anni. Per contro, la quota di popolazione globale dell’Unione europea scenderà dall’attuale sei per cento al quattro per cento. Insomma, una situazione futuribile che lascerà ben poco spazio all’attuale politica di “prevenzione” o di mero “controllo” adottata dall’Ue.

Lo sviluppo economico del Continente africano è stato trainato, essenzialmente, dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e minerarie. I tradizionali partner per l’Unione africana. sono stati Cina, Usa, Francia, Olanda e, ovviamente l’Ue. Il Parlamento europeo ha instaurato, attraverso il Fondo europeo di sviluppo, il canale principale della cooperazione allo sviluppo, tuttora operativo, contrapponendosi allo strapotere della cooperazione Cina-Africa (Focac). Pechino, pur essendo il primo partner commerciale e uno dei maggiori finanziatori di progetti infrastrutturali del Continente africano, ha comunque “realizzato in proprio” i progetti, diventandone “gestore”, con manodopera direttamente importata dalla Cina, senza avere alcuna considerazione delle esigenze africane.

Il rallentamento dell’economia globale a causa del Covid-19, però, ha aperto nuovi scenari nei rapporti internazionali. Da parte dell’Ue, gli attuali rapporti di “buon vicinato” potrebbero essere rivisitati verso una maggiore integrazione a livello “regionale”, con minori dipendenze esterne per quanto concerne il mercato globale. E se questo avverrà, la massima priorità dovrà essere data all’educazione scolastica di base, attualmente quasi completamente assente nella stragrande maggioranza delle nazioni africane. L’essere umano è nato in Africa! Per contro, l’evoluzione socio-culturale, che ha caratterizzato la crescita e lo sviluppo dell’uomo sino ai giorni d’oggi, sia in Occidente quanto in Oriente, ha toccato solo marginalmente l’Africa.

Investire in Africa significa essenzialmente generare, a livello locale, un progetto di acculturamento collettivo, che possa dare maggiore significato allo sviluppo esistenziale dei giorni d’oggi, basato – in particolare – sui valori identitari delle origini tribali (da non dimenticare!) tipicamente africane.

Aggiornato il 12 dicembre 2022 alle ore 09:08