Il danno ambientale che il Partito Comunista Cinese sta causando con la sua Belt and Road Initiative (Bri) è incommensurabile. Secondo il professor William Laurance della James Cook University di Cairns, in Australia: “In tutto il mondo, in quasi tutto il continente, la Cina è coinvolta in una strabiliante varietà di progetti di sfruttamento delle risorse naturali, energetici, di sviluppo agricolo nonché di opere infrastrutturali, come strade, ferrovie, dighe idroelettriche, miniere, che stanno provocando danni senza precedenti agli ecosistemi e alla biodiversità”.
L’esempio più recente della devastazione ambientale della Bri è l’Africa occidentale. Il governo della Sierra Leone ha di recente venduto alla Cina 250 acri di foresta pluviale protetta e di spiaggia, uno dei luoghi prediletti dall’ecoturismo, con specie marine rare e in via di estinzione. L’intenzione, secondo la Sierra Leone, è quella di costruire lì un porto di pesca. Ma coloro che sono contrari al piano lo definiscono un “catastrofico disastro umano ed ecologico”. Molti non credono che si tratti del progetto di un porto, ma di una fabbrica di farina di pesce. Gli attivisti stanno cercando di bloccare l’iniziativa.
Chi è contrario al progetto ha motivo di essere preoccupato: nel vicino Gambia, nel 2016, la Golden Lead, l’impresa del Partito Comunista Cinese, come parte della Bri ha costruito una fabbrica di farina di pesce nella città costiera di Gunjur. La farina di pesce, il pesce essiccato, macinato, ridotto in polvere e utilizzato come mangime per i pesci allevati in acquacoltura – o allevamento ittico – in tutto il mondo, comprese Cina e Norvegia, è un’industria da miliardi di dollari. L’acquacoltura, infatti, rappresenta circa la metà del consumo mondiale di pesce. Poco dopo l’entrata in funzione dello stabilimento di farina di pesce, la fauna selvatica presente nella laguna della riserva naturale locale, Bolong Fenyo, ha iniziato a morire a causa dei rifiuti tossici illeciti della fabbrica. Secondo quanto riportato, nonostante le diffuse proteste locali, il Gambia, un Paese che dipende dagli investimenti esteri, continua a consentire lo smaltimento dei rifiuti.
“Il business della farina di pesce sta distruggendo l’ambiente, l’occupazione locale, la sicurezza alimentare e l’economia del turismo, hanno avvertito scienziati, attivisti gambiani e gente del posto”, scriveva il Guardian nel marzo 2019.
“Quello che stiamo vedendo non è lo sviluppo”, ha affermato il biologo gambiano Ahmed Manjang. “Si tratta di sfruttamento”.
Oltre agli impianti di farina di pesce, occorre rilevare che la flotta da pesca cinese d’alto mare sta esaurendo le scorte ittiche dell’Africa occidentale, facendo pressione sull’approvvigionamento.
Per cogliere la sfida globale che la Belt and Road Initiative pone all’ambiente in tutto il mondo, è utile ricordare quanto sia ampio l’ambito geografico della Bri: il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato la Bri nel 2013 per costruire “una cintura economica della via della seta” e “una via della seta marittima del XXI secolo”. Il piano era, e continua a essere, quello di costruire un’enorme rete di strade, ferrovie, tunnel, dighe, aeroporti, porti, oleodotti, centrali elettriche, reti di telecomunicazioni etc. che collegherà la Cina all’Asia centrale e meridionale, al Medio Oriente ed all’Europa. La parte marittima dell’iniziativa collegherà la Cina al Sud-est asiatico, al Medio Oriente, all’Africa, all’Europa e persino all’America Latina attraverso le principali rotte marittime. La parte marittima ora include anche ciò che la Cina chiama la sua “Via della seta polare”, che creerebbe nuove rotte marittime che collegherebbero l’Asia e l’Europa attraverso l’Artico.
Si stima che circa 139 Paesi nel mondo abbiano aderito alla Bri, in un modo o nell’altro, mostrando l’enorme portata geografica dell’iniziativa.
Il danno ambientale, quindi, non è limitato all’Africa occidentale, ma interessa diversi altri luoghi in cui sono stati lanciati i progetti Bri.
In Indonesia, ad esempio, la più grande azienda cinese di costruzioni di centrali idroelettriche, la Sinohydro, sta costruendo una gigantesca diga idroelettrica nella foresta pluviale di Batang Toru, a Sumatra. La diga minaccia di distruggere l’esistenza della scimmia più rara al mondo, l’orangutan di Tapanuli, di cui solo 800 esemplari rimangono allo stato brado. La foresta di Batang Toru ospita anche la tigre di Sumatra in pericolo di estinzione e il pangolino delle isole della Sonda.
Le tigri, già una specie in grave pericolo di estinzione, sono minacciate dalla Bri anche in altre luoghi. In Asia, “quasi 24mila km di nuove strade saranno costruite nelle Tcl (aree in cui vi è un habitat tale da consentire la vita e la conservazione della tigre) entro il 2050, grazie a importanti progetti di investimento come la Belt and Road Initiative cinese”, secondo uno studio dell’aprile 2020, pubblicato nella rivista Science Advances.
Uno studio del 2019 del World Wildlife Fund (Wwf) ha rilevato che i progetti infrastrutturali della Bri hanno anche provocato cambiamenti e danni a vari ecosistemi fragili nel Sud-est asiatico: “I progetti idroelettrici sostenuti dalla Cina lungo il fiume Mekong, che attraversa Cambogia, Laos, Myanmar, Tailandia e Vietnam, hanno visto le dighe causare cambiamenti nel flusso del fiume e impedire la migrazione ittica, portando a una perdita dei mezzi di sussistenza per le comunità che vivono vicino al fiume. Nel corso degli ultimi anni, la popolazione ittica è diminuita a causa delle dighe idroelettriche costruite a monte in Cambogia e nei Paesi limitrofi...”.
“Oltre alla perdita di flora e fauna, la deforestazione, in aree come la Pan Borneo Highway, che attraversa Malesia, Indonesia e Brunei, provoca anche frane, inondazioni e altri problemi relativi alla mitigazione dei disastri”.
Il Wwf ha elencato più di 1.700 punti fondamentali per la biodiversità e per le 265 specie minacciate che sarebbero danneggiate dalla Bri.
Anche il Partito Comunista Cinese svolge un ruolo importante nel pilotare la deforestazione in tutto il mondo. Secondo l’Environmental Investigation Agency (Eia), con sede a Londra, già nel 2012, prima del lancio ufficiale della Bri, la Cina era il principale importatore mondiale di legname tagliato illegalmente. Stando alla Ong FairPlanet, i commercianti cinesi hanno depauperato il Benin e il Gambia di legno di palissandro prima di spostarsi in Nigeria, dove, nel 2017, l’Eia ha reso noto che 1,4 milioni di tronchi di palissandro abbattuti illegalmente, con un valore di mercato di 300 milioni di dollari, sono stati contrabbandati in Cina dopo aver corrotto i funzionari del governo nigeriano.
Attualmente, secondo un recente articolo del Financial Times, le banche cinesi sono i secondi maggiori finanziatori di materie prime implicati nella deforestazione della foresta pluviale tropicale: “L’Industrial and Commercial Bank of China, di proprietà statale, è stato il più grande fornitore di prestiti e di servizi di sottoscrizione nel database per un valore totale di 2,2 miliardi di dollari. Sinochem, un gruppo chimico statale cinese, è stato il principale beneficiario, acquisendo 4,6 miliardi di dollari, la maggior parte per il suo settore della gomma”.
La Bri non sta soltanto minacciando l’estinzione delle foreste e delle specie animali. Gli ambientalisti ritengono inoltre che la Belt and Road Initiative abbia conseguenze potenzialmente negative per il clima: anche il Partito Comunista Cinese la sta utilizzando “per perpetuare l’uso del carbone e di altri combustibili fossili, quasi ovunque arrivi la Bri (...) E questo significa aumentare le emissioni di gas serra”.
Secondo Jennifer Hillman e Alex Tippett, scrivendo per il Council on Foreign Relations nel marzo 2021: “Dalla creazione della Belt and Road Initiative (Bri), miliardi di dollari di fondi cinesi sono stati destinati a progetti di combustibili fossili in tutto il mondo. Questi investimenti promettono di rendere l’attenuazione dei cambiamenti climatici molto più difficile...
“Finora, i settori dell’energia e dei trasporti sono stati l’obiettivo primario degli investimenti della Bri, con l’energia che secondo le stime costituirà il 44 per cento delle complessive spese della Belt and Road Initiative.
“La maggior parte dei finanziamenti energetici cinesi va a fonti non rinnovabili. Tra il 2014 e il 2017, il 91 per cento dei prestiti del settore energetico concessi da sei grandi banche cinesi ai Paesi aderenti alla Bri era destinato a progetti di combustibili fossili. Nel 2018, il 40 per cento dei prestiti del settore energetico è andato ai progetti nel settore del carbone. Nel 2016, la Cina è stata coinvolta in 240 progetti di centrali a carbone nei Paesi aderenti alla Bri, un numero che probabilmente è cresciuto”.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
(**) Nella foto: Tokeh Beach, in Sierra Leone, vicino al Western Area Peninsula National Park, parte del quale è stata venduta alla Cina, con coloro che sono contrari che hanno definito quella mossa un “catastrofico disastro umano ed ecologico”.
Aggiornato il 19 ottobre 2022 alle ore 10:45