Il velo obbligatorio e l’uccisione per una ribelle ciocca di cappelli non è che un foro attraverso il quale guardare l’inferno che la dittatura teocratica ha costruito nella terra dell’Iran, di fronte a cui il Cocito dantesco è nulla. Proprio per questo è riduttivo pensare che le donne iraniane e le giovanissime ragazze diano la vita solo per non portare più il velo.
La questione in Iran, sin dall’insediamento del regime khomeinista, è Azadì, libertà, nient’altro che Azadì. Non è un caso che i sanguinari scagnozzi del regime uccidono oltre 400 anime per dimostrare che non sono stati loro a porre fine alla vita di Mahsa Amini, che non sono loro i liberticidi assassini! Evidentemente, in Iran la questione non è il velo o, perlomeno, non è solo il velo e l’obbligo di portarlo secondo dettami imposti da uomini cavernicoli al potere. Se così fosse, come si giustificherebbero le donne della politica europea accorse ripetutamente alla corte dei mullà in questi lunghi anni di repressione in Iran a sfoggiare allegramente il loro velo sul capo? Tra le politiche italiane se ne annoverano più di una dozzina e le loro colleghe europee non son da meno. Quelle donne con il velo sul capo alla corte dei mullà non hanno nemmeno il pudore di chiedere scusa a Mahsa, a Nika e alle altre decine di giovani ragazze, per aver affilato pugnale, machete e sciabola a un regime misogino che sperpera il frutto di questa gioventù. Avessimo sentito un’autocritica! Evidentemente la protesta delle donne iraniane non è cominciata il 16 settembre, ma dura da decenni, sebbene le donne iraniane abbiano dovuto combattere ad armi impari e in solitudine. Si sa, per l’egocentrismo dell’Occidente la verità esiste solo quando decide di vederla.
Il reazionario Khomeini e i suoi uomini – insieme agli opportunisti – salirono al potere l’11 febbraio 1979, per governare con poche idee (e molto confuse) un Paese così importante come l’Iran. Eppure, sulla loro connaturata misoginia avevano idee ben chiare. Appena pochissimi giorni dopo la presa del potere, avvenuta con il sostanzioso aiuto occidentale, lanciarono lo slogan “Ya rusarì, ya tusarì!”, o metti il velo o prendi le botte! Molte donne, con il velo o senza, insieme a molti uomini, organizzarono l’8 marzo 1979 una grande manifestazione per la libertà di scelta delle donne su come vestirsi. Da subito fu evidente l’intenzione del regime di eliminare velocemente tutti gli spazi di libertà conquistata dopo il rovesciamento della dittatura monarchica; e quale strumento migliore che cominciare a imbrigliare le donne e sopprimere le loro istanze più elementari! Ti dico io, donna, come vestire: imparerai tu e, con te, tutta la società a pensare come voglio io!
Ora, la protesta – iniziata il 16 settembre in seguito alla spietata uccisione di una ragazza di Saggez – man mano ha preso la forma di una rivolta e sta maturando, grazie alle Unità di resistenza estese in tutto il Paese, in una rivoluzione: ciò che ci vuole per risolvere i piccoli e grandi problemi della gente in Iran e ciò che sta aspettando il popolo iraniano da decenni. Una rivoluzione che nasce per spazzare via tutto il regime, malgrado le analisi farlocche sulla stampa dei Paesi democratici e il nefasto balletto inventato dal regime e fomentato dai governi dei Paesi democratici su un dualismo inesistente all’interno del regime fondamentalista, da sempre in guerra con il suo popolo. Il sanguinario regime dei mullà non indugia a sparare sui manifestanti. Il leader della teocrazia iraniana, Khamenei, dopo 18 giorni di silenzio e centinaia di caduti, ha continuato a incolpare l’America e il “regime sionista”, ma non ha dimenticato di menzionare i Mojahedin del popolo, sebbene per sminuirli li abbia affiancati agli inconsistenti nostalgici della dittatura monarchica. Per tutti i dittatori che si sono avvicendati sulla terra dell’Iran, ogni movimento di protesta e ogni rivolta è al soldo degli stranieri, in dispregio del popolo che lotta.
Khamenei ha dichiarato che il problema non è il velo, ma i diabolici piani e complotti esteri. Il malfermo leader del traballante regime ha dovuto riconoscere che ci sono giovani che scendono in piazza, ma solo perché sono “emotivi”. Ha rassicurato, però, che i loro problemi, legati all’emotività, saranno risolti con le dovute punizioni. Comunque non tutti si correggeranno, ha aggiunto Khamenei, perché sono “i residui dei Mojahedin del Popolo”. La dittatura iraniana, ebbra del suo complesso e spietato sistema di repressione, dimentica che i loro accoliti non arrivano al 3 per cento. Dimentica che, di fronte alla volontà del 97 per cento della popolazione di cambio radicale, anche il tempo rema contro. Solo a Teheran le forze d’ordine del regime, per non perdere il controllo della capitale, dovranno sorvegliare almeno 850 punti, per non parlare del Politecnico Sharif, dove l’unione tra studenti e professori sta rappresentando il cuore della rivolta universitaria. Nei giorni scorsi, la protesta si è estesa anche nelle scuole, dove soprattutto le studentesse difficilmente saranno domate.
I dittatori reprimono ognuno a modo proprio, però tutti hanno la stessa stupidità di ritenersi immortali. Le democrazie europee, con la maschera dei buoni propositi, non hanno mai smesso di accondiscendere il regime iraniano e tuttora offrono alle donne iraniane soltanto parole. Vogliamo sperare che le donne in ogni parte del mondo – che sono solidali con le iraniane – abbiano la consapevolezza che la lotta delle donne dell’Iran, che dura da quarant’anni e che è divampata in questi giorni, comincia dal velo per poi arrivare al rovesciamento del regime in toto con tutte le sue cosiddette fazioni o derivazioni.
Le donne iraniane scese nelle piazze non si accontentano di nulla di meno che di una rivoluzione, attraverso la quale ottenere libertà e democrazia. Lo vogliono così tanto che sono disposte a pagare con la vita. E le cancellerie democratiche?
Aggiornato il 11 ottobre 2022 alle ore 09:41