Gli Usa verso l’indipendenza tecnologica, ma basterà?

Nuovo atto della guerra “ibrida” tra Washington e Pechino in corso ormai da anni. Il Chips and Science Act promosso dall’Amministrazione del presidente Joe Biden è decisamente ambizioso e i suoi obbiettivi chiarissimi: vengono stanziati più di cinquantadue miliardi di dollari per i prossimi cinque anni per finanziare la ricerca e la produzione interna di intelligenza artificiale e componenti tecnologiche, in maniera tale da poter rendere gli Stati Uniti autonomi e non più dipendenti dai produttori asiatici.

Sembra siano stati riservati altri cinquecento milioni di dollari per l’istituzione di un Fondo internazionale per la sicurezza e l’innovazione tecnologica. In altre parole, se un tempo Washington importava dall’AsiaCina inclusa – la quasi totalità dei chip utilizzati per la produzione di apparecchiature elettroniche e tecnologiche, oggi la crisi geopolitica in atto e la nuova divisione del mondo in due blocchi contrapposti esige un ripensamento delle proprie politiche di approvvigionamento: sul piano energetico, alimentare e anche tecnologico. Il provvedimento varato dalla Casa Bianca va esattamente in questa direzione. Inoltre, con la Cina decisa a contendere agli Usa il posto di prima potenza mondiale, Washington deve necessariamente correre ai ripari per difendere il suo storico e consolidato primato.

A scuotere la Casa Bianca sarebbe stata un’analisi di Foreign Affairs, in cui si sottolinea la necessità, per l’America, di sforzarsi e profondere più energie e soldi per conseguire la piena autosufficienza sotto l’aspetto tecnologico. La tecnologia, infatti, è ormai centrale nelle nostre vite e non solo: la tecnologia è diventata la spina dorsale delle nazioni ed è alla base anche di qualunque politica seria sulla difesa, l’economia, l’energia e le comunicazioni. Ne consegue che, in futuro, l’autosufficienza tecnologica sarà una garanzia di sicurezza nazionale e di libertà d’azione in termini geopolitici: sarà essenziale essere indipendenti per non essere soggetti al ricatto di altri produttori potenzialmente ostili.

In più, chi controllerà simili produzioni, di fatto, avrà in mano il destino del mondo e potrà giocare un ruolo centrale e addirittura dominante negli equilibri geopolitici. Alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale la Cina si sta già preparando da lungo tempo: da molto prima che gli Stati Uniti iniziassero a muovere i primi passi in questo senso. Anzi, è probabile che la “via cinese all’egemonia globale” passi proprio dalla tecnologia più che dalle armi, consapevole com’è Pechino di non poter produrre armi qualitativamente superiori a quelle di Washington e di non poter eguagliare la spesa militare a stelle e strisce.

A questo proposito, basterebbe pensare che il rapporto della National Security Commission on Artificial Intelligence dello scorso anno, col quale si è sollecitata la Casa Bianca a prendere provvedimenti e ad avere un approccio globale sulla questione dell’intelligenza artificiale, è arrivato a distanza di quattro anni dalla messa a punto della strategia da parte del governo cinese, che ha deciso di fare della tecnologia la punta di diamante della sua produzione interna. Per questo è da anni che Pechino investe massicciamente – miliardi e miliardi, per la precisione – in questo settore. Inoltre, la Cina – grazie al dumping e alla prassi di esportare merci sottocosto in tutto il mondo – esercita una maggior attrattiva sul mercato globale e per questo si candida a diventare la principale esportatrice di beni tecnologici del futuro.

Per gli Usa sarà difficile colmare un gap così sostanzioso. Difficile, ma non impossibile, chiaramente. Lo svantaggio americano sotto questo punto di vista deriva dall’aver sottovalutato per troppo tempo l’importanza di questo settore, con la conseguenza che l’high tech ha finito per passare in secondo piano rispetto alle altre priorità nazionali: difesa in primis, che però in futuro sarà a sua volta strettamente dipendente dalla tecnologia, che avrebbe dovuto essere un valore aggiunto sin dal principio. Gli Usa, insomma, dovranno faticare parecchio per scalzare la Cina sul piano dello sviluppo tecnologico. Almeno se l’obbiettivo deve essere raggiunto nel breve periodo.

Per recuperare il divario, secondo Foreign Affairs, non basterà un programma d’investimento come quello appena adottato dalla Casa Bianca: bisognerà andare oltre e investire anche su settori quali le biotecnologie, l’informatica, la quantistica e l’energia, sui quali è imprescindibile avere pieno dominio, se si vuole mantenere lo status di superpotenza e di prima potenza mondiale. Per farlo sarà necessario avvalersi anche della collaborazione degli altri Paesi occidentali, il cui sforzo congiunto potrebbe accelerare significativamente i tempi e tornare a vantaggio di tutti gli Stati coinvolti, e non solo degli Usa.

Piccolo monito anche per noi europei: giustamente ci spendiamo per conseguire l’obbiettivo dell’autosufficienza energetica, ma non ha senso rendersi indipendenti dal gas russo se poi, in un futuro non troppo lontano, potremmo subire ricatti anche dai cinesi, che potrebbero vincolare le forniture tecnologiche al nostro silenzio rispetto ad altre crisi geopolitiche che potrebbero deflagrare –Taiwan prima fra tutte – o al ritiro da parte nostra dei dazi antidumping o di altri provvedimenti che potrebbero essere adottati per cercare di mitigare l’impatto sui nostri mercati della concorrenza sleale da parte di Pechino. Bruxelles mediti attentamente.

Aggiornato il 14 settembre 2022 alle ore 09:30