La verità su Mélenchon

La Francia, come sempre, giunge in ritardo rispetto all’Italia. Noi la Lega l’abbiamo avuta già negli anni ’80 e Beppe Grillo comincia a bruciare le piazze e i teatri-tenda già negli anni ’90. Adesso arriva a Parigi l’onda del fenomeno Jean-Luc Mélenchon col suo movimento La France Insoumise afflitto già nel nome da un vizio giacobino e fattista. Mélenchon è il nuovo Antonio Padellaro dell’Île-de-France. Come Padellaro, è in arretrato di secoli. Ma siccome i cittadini preferiscono le rivolte delle jacquerie alle ragioni delle riforme liberali, ecco che la coalizione Nupes raccoglie quasi gli stessi voti della “Macronie”, ovvero il raggruppamento Ensemble! che ha riconfermato il presidente francese. Nupes è la sigla che include il Partito Socialista, Europe Ecologie-Les Verts e le ceneri del Partito Comunista francese, Pcf, oltre a La France Insoumise, tutti uniti attorno alla candidatura di Mélenchon come primo ministro.

Al primo turno la coalizione Ensemble! ottiene il 25,75 per cento dei voti: lo 0,09 per cento in più rispetto all’alleanza di sinistra di Jean-Luc Mélenchon (25,66 per cento). L’astensione raggiunge il 52,49 per cento. La stampa internazionale glorifica il successo di Mélenchon, di certo significativo perché capace di raccogliere il voto di protesta, che in Francia è alto come in Italia. Poi si deve ricordare che il Corriere della Sera, pragmaticamente, intervista il politologo Dominique Reynié, secondo il quale “Mélenchon si illude e la sua coalizione si sfalderà”. Nelle stesse ore, Il Fatto titola però con un trionfale “Francia, Mélenchon è il vero vincitore: chapeau. Ecco come replicare il suo successo in Italia”. Dio li fa, poi li scoppia.

Se guardiamo i fatti, e non Il Fatto, si dovrà ricordare che Mélenchon lavora da anni alla costruzione di un polo alternativo a quelli esistenti, copiando Beppe Grillo: non chiede l’unità di tutta la sinistra, inclusa la perfida costola socialista (lui è un ex socialista, però), ma si adopera per la sinistra dura e pura, quella macerata negli anni in movimenti come gli ultra-ecologisti e i gilet gialli. In questa quadro di “purificazione” prima sputa il rospo socialista e poi accarezza l’estremismo della Alt-right europea. Come si riunisce un gregge? Indicando una Bastiglia da abbattere, una Versailles da regalare al popolo bue, una ghigliottina mediatica per Emmanuel Macron, il solito odio contro il liberalismo che, peraltro, nell’Europa latina non è mai apparso. L’ambientalismo, poi, incolla meglio di Karl Marx per la formazione di una malta che tenga insieme i mattoni della coalizione.

Mélenchon, un settantenne nato a Tangeri che non ha vissuto gli anni del 1968, da sempre cerca una ortodossia di partito. Da giovane fa parte della corrente più radicale della setta trotskista, che poi confluisce (anche in Italia) nel Partito Socialista, dal momento che col Pcf non si poteva proprio, visto che Lev Trockij viene ammazzato da un agente comunista inviato da Stalin. Il suo lessico appare ricolmo di quell’effetto vintage che fa il successo di tanti prodotti e merci culturali. Infatti, si riferisce a sé come a un “rivoluzionario in guerra contro la socialdemocrazia che cerca di sostituire la rivoluzione con le riforme, puntando tutto sulla crescita economica e non sulla redistribuzione delle ricchezze. “Redistribuzione” è la parola magica, per avere successo.

Al modello trotskista in effetti, La France Insoumise aggiunge un poco dell’incazzatura grillino-travaglina, di cinismo togliattiano, della gauche plurielle (sinistra plurale) inventata da Lionel Jospin a inizio millennio. Jospin è il becchino della sinistra di Governo francese, dal momento che tira fuori dal suo cappello una policy già predicata dall’italiana Lotta Continua cinquant’anni fa: la settimana lavorativa di 35 ore, che avrebbe eliminato disoccupazione e povertà in un colpo solo, mentre è il contrario (la legge è soppressa nel 2005 e i socialisti declinarono peggio di un verbo greco). Mélenchon, però, ha molto altro da estrarre dal cappello. E giù allora con la mano pesante contro l’Europa delle politiche agricole, in ossequio alla potente corporazione degli agricoltori francesi.

Ma c’è dell’altro: Mélenchon ha per Putin un atteggiamento più amoroso di quello di Don Chisciotte per Dulcinea del Toboso. Nello stesso tempo, non a caso, chiede a gran voce l’uscita immediata della Francia dalla Nato. Poi la cavalcata della tornata elettorale 2022, con molti elettori di sinistra moderata e anti-putinista che si trovano a inghiottire il rospo di Mélenchon pur di evitare Marine Le Pen (che poi non è il problema). Parliamo di un Mélenchon che coltiva anche l’elettorato rosso-bruno, definendo i Black bloc “gente incazzata ma non fascista”.

Idem per le promesse fatte agli islamici francesi, che votano in massa per la gauche di lotta e di governo. Ma poi ecco il grillismo esasperato dei Non sottomessi: le richieste di Mélenchon sono quelle eterne del popolo bue cui si offrono solo carote. E quindi vai con la pensione a 60 anni e vai con il salario minimo a 1500 euro. Bancarotta assicurata, ma basta non dirlo. Sarebbe una barzelletta di programma, in un Paese liberale o anche solo “anglosassone” o nordico. Invece Mélenchon ha successo non solo presso Padellaro, ma anche presso il Candide francese tipo, quello disposto a impiccare il re, a farsi impiccare dal suo successore e a passare sopra l’inchiesta sui finanziamenti elettorali ottenuti dalla France Insoumise nel 2017.

La rivista “Le Point” nel suo numero del 12 maggio 2022 titola così nella sua pagina di copertina, dedicata a Mélenchon: “Eurofobia, nazionalismo, ciarlatanismo economico, flirt con i dittatori… Ecco l’altro Le Pen”. Ecco l’altro Le Pen. Forse peggio.

Aggiornato il 15 giugno 2022 alle ore 10:46