Europa sinistra: ucraini mai!

Ah, sì: io mi ricordo! Ricordo quando, contro il nemico comune islamico, dopo l’11 Settembre 2001, ci dichiarammo “Tutti Americani!”. Così come nel 2015, a seguito delle stragi islamiste a Parigi, dal Bataclan alla Redazione di Charlie Hebdo, fummo all’unisono “Tutti Charlie!”. Eppure, a far brutalmente di conto nell’industria dei massacri, si trattò “soltanto” di 3mila vittime nel caso di Ground Zero e di poco più di un centinaio in quello della Ville Lumière. È lecito domandarsi, allora, se esista oggi un “nemico comune” (perché, a quanto pare, né i russi, né i loro leader aggressori lo sono!), dato che nessuno grida più “siamo tutti ucraini!”, in questo Occidente opulento e malato di ipocrisia. Ma per davvero la rinuncia ai valori e ai sacri principi è una merce che si vende e si scambia con il benessere economico e le forniture energetiche? E, soprattutto, perché tutto ciò accade anche in questa nostra Europasinistra”, intesa nel senso sia del suo carattere inquietante, sia della componente residuale ma iperattiva che rappresenta l’ultimo cascame hippie e sessantottardo del pacifismo radicale, dopo la Grande Bouffe ideologica antimperialista che lo aveva contraddistinto all’epoca delle guerre americane in Vietnam, Iraq e Afghanistan? Chi finanziava e sosteneva politicamente a livello internazionale quelle manifestazioni oceaniche negli anni Settanta, se non certamente l’Urss per depotenziare lo schieramento missilistico dell’Alleanza Atlantica e delegittimare le leadership conservatrici europee e americane?

Ancora oggi, il motore ideologico autentico di questo rotten pacifism (o pacifismo inacidito) non è né la ricerca sincera della pace nel mondo, né il neutralismo della rinuncia unilaterale alle armi, anche se questi miti irraggiungibili rimangono oggetti di culto del sinistrismo antiamericano e pacifista a senso unico. No, qui va molto peggio di allora per carenza di elaborazione ideologica e senso della storia, dato che il pacifismo radicale attuale ignora volutamente i tragici eventi (come fece anche allora, del resto, quando però c’era la Cortina di Ferro), determinati dal “Fattore K” (“K”, come Kremlino), oggi responsabile dei massacri di decine di migliaia di civili inermi ucraini. A gridare vendetta contro la violazione del buon senso sono le posizioni monopolizzanti argomentative assunte nei media dal rotten pacifism, così come riprese, replicate e rilanciate milioni di volte nei canali radiotelevisivi, nella stampa e, soprattutto, sui social in cui con parole esplicite e omissioni si istiga l’opinione pubblica occidentale a richiedere la fine immediata delle ostilità e delle forniture di armi all’aggredito. In tal modo, in tutta evidenza, si auspica implicitamente la resa incondizionata e l’annessione territoriale di una Nazione libera (tra l’altro, creata e fortemente voluta dall’ex Impero sovietico!), aggredita e vittima dell’imperialismo neo-zarista. Qui accade una cosa davvero drammatica, che va ben oltre l’enorme scandalo rappresentato dallo slogan “né con la Nato, né con Vladimir Putin”, come se i due elementi avessero lo stesso peso specifico valoriale rispetto ai quali tracciare un baricentro di compromesso, dimenticando che Putin non è da solo ma ha dietro di sé il consenso di un intero popolo! No, la cosa peggiore è che, così sproloquiando, si favorisce addirittura un premio colossale per l’aggressore, come il rinunciare a priori alla sua punizione!

Non si era davvero mai vista una cosa simile! Un pacifismo che si rispetti dovrebbe dirci quale è, a suo giudizio, la giusta punizione per chi fa terra bruciata dei diritti e della vita di una Nazione, precisando che cosa si debba noi intendere per “pace ragionevole”, dando voce a chi ha subito immensi lutti e distruzioni dall’invasione. Quanto territorio cedere? Quali sanzioni epocali mantenere più a lungo possibile, per impedire che l’invasore accumuli sufficienti risorse per scatenare una nuova guerra di aggressione in grande stile? Quali strumenti di autodeterminazione adottare per portare alle urne le popolazioni invase e conquistate dai russi, visto che milioni di profughi si sono rifugiati all’estero e non pochi altri sono stati deportati oltre i confini ucraini? Chi, come e quando ne dovrà garantire il rientro e quale organismo internazionale dovrebbe monitorare super partes le operazioni di voto, ben sapendo che, a quel punto, tutti si dovranno confrontare con un conflitto a bassa intensità (favorito da una resa che priva prematuramente l’aggredito della sua capacità di difendersi), in cui in uno scenario balcanizzato assai probabile la ribellione armata ucraina farà di tutto per sabotare l’esercito russo di occupazione, causando il precipitoso ritiro degli osservatori? Anche se vale il proverbio “del senno di poi sono piene le fosse”, tuttavia (tenuto conto di quello che un domani potrebbe essere un precedente dell’aggressività delle Autocrazie) è legittimo chiedersi “le cose potevano andare diversamente da così?”. In particolare, come si potevano immediatamente fermare un’intera Armata d’invasione e una colonna di un centinaio di chilometri di mezzi corazzati, al momento del loro ingresso in Ucraina, risparmiando decine di migliaia di vittime e la distruzione di centinaia di città?

Il primo Ronald Reagan, ma anche lo stesso Bush padre, non avrebbero avuto un attimo di esitazione, formando nell’immediato una “coalition-of-the-willing” (o Alleanza dei volenterosi) che, senza far entrare ufficialmente la Nato nel conflitto, avesse unilateralmente dichiarato con immediatezza la “no-fly-zone” sull’Ucraina. Dopo di che, al centesimo caccia o elicottero russo abbattuto (anche grazie ai sistemi ultramoderni di missilistica contraerea collocati ai confini Nato, molto più avanzati tecnologicamente rispetto a quelli di Mosca), compreso l’annientamento delle batterie di cannoni dell’Armata Rossa a seguito dell’oscuramento dei loro sistemi Gps per replicare al fuoco di risposta degli ucraini, Reagan/Bush avrebbero di certo alzato la cornetta del Telefono Rosso. A quel punto, il loro interlocutore moscovita sarebbe stato chiamato a decidere se ne aveva abbastanza, o voleva davvero rischiare l’escalation verso una guerra non convenzionale, facendo capire che l’Occidente “mirava a una vera pace” e che tale ricatto non avrebbe funzionato con la Coalizione occidentale in campo. Praticamente, “a matto doppio matto!”, ben sapendo che a nessuno verrebbe in mente di voler vedere cancellato il proprio Paese dalla carta geografica, tenuto conto che nessuno sopravvive a una guerra nucleare planetaria!

Poi, al tavolo della trattativa Russia-Usa occorreva trovare il vero compromesso tra neutralità territoriale dell’Ucraina e le preoccupazioni di Putin per non vedersi la Nato alle porte, magari sottoscrivendo sia un accordo formale tra l’Occidente e Mosca, per cui nessuno dei due firmatari avrebbe mai più installato armi offensive ai confini con l’altro, sia parallelamente un nuovo Accordo Start 3 per la de-esclation reciproca degli armamenti nucleari. Ma, oggi, che cosa c’è ragionevolmente da augurarsi? A breve, del tutto spontaneamente, mantenendo la fornitura di armi tecnologicamente avanzate sotto la linea rossa che Putin e Sergej Lavrov stanno angosciosamente auspicando (tenere indenni i confini della Russia rispetto al raggio d’azione dei missili forniti all’Ucraina) si affermerà il “The wreckage equilibrium” (“Twe”, o “Equilibrio del Rottame”), in cui russi e ucraini riterranno di aver inferto e subito abbastanza perdite e distruzioni reciproche per decidere di fermare le ostilità. A quel punto, infatti, il terreno non avrà più altro da esprimere e si partirà dall’effettiva situazione sul campo per pensare seriamente a che cosa mettere sul piatto della trattativa. Il conflitto, pertanto, non si arresterà prima di aver raggiunto il suo punto di sella del Twe! Meglio prepararsi a questo tipo di pace ragionevole!

Aggiornato il 09 giugno 2022 alle ore 11:26