Ucraina: la silenziosa “Guerra dell’Acqua”

La guerra in Ucraina ha ricordato, dopo circa un secolo, cosa vuol dire riorganizzare il Pianeta. Cento anni fa un Nuovo ordine mondiale era nato dal disfacimento di quattro Imperi: Zarista, Austro-ungarico, Germanico e Ottomano. Da quel momento, e anche sugli effetti del criminale patto segreto Sykes-Picot del 1916, gravi errori geostrategici, miopia o ignoranza socio-geografica, molti egoismi, frustrazioni nazionali, dittature, rivalse, nazionalismi, interessi hanno accompagnato l’umanità verso il Secondo conflitto bellico, confermando il quasi totale fallimento del Nuovo ordine mondiale nato dalla fine della Grande Guerra.

Oggi ci troviamo difronte a un palcoscenico internazionale dove alcuni attori (nazioni), che cento anni fa dovettero adattarsi a nuove dimensioni e nuovi sistemi di Governo, rivendicano e riesumano nostalgiche magnificenze per giustificare la loro “missione divina”. Così, l’aspirante sultano Recep Tayyip Erdogan allunga la mano ottomana sulla geografia dell’ex Impero, non trovando riscontri, ma compensando le mancate ambizioni imperialiste, mettendosi in ogni occasione al centro delle attenzioni internazionali. Idem il neo “Cesare russo”, lo Zar Vladimir Putin I, che riesuma la necessità di far rivivere il concetto di “Russkiy mir”, Mondo russo, per giustificare il suo riassetto geopolitico. In questo ambito stiamo assistendo alla cronaca di una guerra, dettagli veri o falsi, notizie contrastanti, che tuttavia mostrano quanto un conflitto abbia bisogno di essere articolato per procedere.

La guerra come analizzata da Carl von Clausewitz (1780-1831), l’ufficiale prussiano che disegnò eccellentemente il “profilo” dello scontro, è il fattore di interesse predominante. Ma anche la “guerra del grano” fa sentire il suo enorme peso sulla bilancia dei negoziati, tutto questo corroborato dalla “guerra mediatica” che coltiva propaganda, depistaggi, menzogne e false speranze di ogni genere e in ogni schieramento (vedi la notizia del Putin malato). Manca però all’appello una tipologia di guerra, presente, opprimente e globalizzante: quella dell’acqua”. Tralasciando gli altri conflitti di cui c’è una overdose di informazione e disinformazione. Indugerò su questa ultima, attualmente meno famosa nel contesto ucraino – ma non nel Mondo – eppure determinante.

Nella sfida strategica dei conflitti distruggere siti militari o strutture collegate di una nazione, con lo scopo di indebolirla e paralizzarla, è una priorità. Sappiamo che l’acqua è una questione chiave nei conflitti armati. Ed è una sfida che gli strateghi russi e ucraini, in guerra dal 24 febbraio, stanno affrontando. L’acqua ha spesso rappresentato l’agnello sacrificale per determinare l’esito di una guerra. Infatti, dalla fine del Secondo conflitto mondiale a oggi, l’acqua è stata un’arma di guerra strategica. L’ultimo esempio europeo risale al periodo che va dal 1992 al 1995, durante l’assedio di Sarajevo. In quel drammatico periodo i sistemi di approvvigionamento idrico, di generazione e distribuzione di elettricità furono colpiti e quasi totalmente distrutti, causando la paralisi anche degli ospedali. Anche nel sud-est asiatico, durante la guerra del Vietnam, l’acqua fu un’arma strategica. Più recentemente abbiamo avuto un esempio in Iraq, dove lo Stato islamico ha occupato prima le dighe sul Tigri e l’Eufrate e i corsi d’acqua, per poi sottomettere Mosul e al-Raqqa. A conferma, nell’agosto 2014 la coalizione internazionale ha prima ripreso all’Isis la diga di Mosul, poi la città a circa quaranta chilometri a sud. Nel 2014 è iniziata la guerra civile in Yemen, dal 2015 sono fuori uso le stazioni di produzione dell’acqua e i siti di trattamento delle acque reflue. Una situazione che ha portato – nel 2017 e nel 2018 – a una grave epidemia di colera: qui oltre 20 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile.

Ora, in Ucraina mediaticamente si sottovaluta la strategia militare russa sulle infrastrutture idrauliche, ma il Canale Nord, che collega il fiume Dnepr alla Crimea, è parte degli obiettivi strategici dell’offensiva militare russa nella parte meridionale del Paese invaso. Così la diga costruita dagli ucraini nel 2014, durante l’annessione della Crimea alla Russia, è stata distrutta il 24 febbraio da genieri militari russi. Questo permise immediatamente all’acqua di defluire nuovamente nel Canale verso la Crimea. Inoltre, i russi hanno occupato il bacino idrico di Kakhovka situato a monte del Canale Nord. Da questa diga si stanno scaricando quantità di acqua tali da allagare la città di Nova Kakhovka. Così, anche i centri abitati intorno a Kherson stanno subendo inondazioni. Questi sabotaggi hanno danneggiato la centrale idroelettrica del sito che regola l’acqua di irrigazione nel sud-est della regione. Nel campo di battaglia ucraino la disponibilità dell’acqua da irrigazione è un altro aspetto strategico. La Russia, agendo su queste strutture idrauliche, sta causando danni incommensurabili all’economia e alla società.

Ricordo che le tecniche di avvelenamento e di sabotaggio sono sempre state armi di guerra in tutti i conflitti. L’aggressore cerca di inquinare serbatoi o linee di rifornimento idriche per indebolire gli avversari. Inoltre, la contaminazione di falde acquifere viene praticata con la decomposizione dei cadaveri, il che porta a un deterioramento dell’acqua estratta per il consumo. Inquinamento che va ad aggiungersi a quello causato dei depositi di carburante distrutti dai bombardamenti.

Nel caso del conflitto ucraino, è certo che la logistica russa abbia in dotazione unità mobili di trattamento per utilizzare le acque superficiali e sotterranee, anche se è possibile impiegare acqua in bottiglia ma ciò richiede una logistica molto impegnativa. Ricordo quanto affermò nel 2009 un alto ufficiale statunitense di ritorno dalla guerra in Afghanistan, il quale dichiarò che il peso logistico legato all’acqua in questa missione è stato del 45 per cento: metà impegno bellico.

Aggiornato il 08 giugno 2022 alle ore 10:13