Il Regno di Danimarca è fra gli Stati fondatori dell’Organizzazione dell’Alleanza Atlantica, ma non volle mai partecipare alla politica di difesa comune dell’Unione europea. Ora quella Nazione, per referendum, a stragrande maggioranza, ha deciso di entrarne a farne parte. Quel cambiamento nello spirito pubblico è una reazione alla guerra scatenata in Ucraina, con una tentata invasione, da parte della Federazione Russa. Essa, probabilmente, è stata decisa e condivisa da ampi settori del popolo russo. Ma i mezzi di comunicazione sociale, i quali hanno semplificato il messaggio riferendosi a figure emblematiche, hanno attribuito la cosa al presidente Vladimir Vladimirovič Putin.
La decisione dei cittadini danesi è di primaria importanza ed è vista con giubilo da chi, come il sottoscritto, enfatizza da anni la necessità di dotare l’Unione europea di un proprio autonomo sistema difensivo, per dare consistenza unitaria a una politica estera comune. Certo, una brigata di pronto intervento è poca cosa. Manca una procedura rapida per consentire, in caso di necessità, di porre entro una catena di comando comune le forze armate degli Stati membri, in via oltretutto di riarmo. Riarmo, va detto, più oneroso del necessario, data l’inesistenza di un pool per gli acquisti, secondo il metodo proposto e sperimentato durante due guerre mondiali da Jean Monnet, per evitare che la concorrenza alle compere mandasse in alto i prezzi. Inoltre, è ben poca cosa, rispetto le sei divisioni proposte – nel 1950 – dal piano Pleven e poi previste nel Patto istitutivo firmato il 27 maggio 1952. Esso, però, venne respinto dall’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954, nel rilassamento (della tensione) provocato dalla morte di Beppone Stalin, il 5 marzo 1953.
Per questo auguro lunga vita al presidente Vladimir Vladimirovič Putin, almeno fino a quando il processo d’integrazione militare, nell’Unione europea, sia giunto a un punto di determinante – e irreversibile – rilievo.
Aggiornato il 06 giugno 2022 alle ore 10:52