Incrociatore Moskva e comunicazione russa

La dichiarazione dei russi, secondo i quali l’incrociatore Moskva sarebbe colato a picco per colpa di un incendio, sembra la perifrasi rovesciata dell’incendio di Mosca davanti all’armata di Napoleone. È una spiegazione ridicola rispetto a quella – trionfale – fornita dall’Ucraina (“siamo stati noi”), per come descrive l’inefficienza delle Forze armate di Vladimir Putin. In pratica, il ministero della Difesa di Mosca ci dice che il Moskva sarebbe quasi affondato per l’incapacità di spegnere il fuoco scoppiato a bordo per problemi elettrici, dovuta evidentemente alla mancanza di un efficiente sistema antincendio, una delle cose più importanti quando si costruisce o si ri-cantierizza una qualsiasi imbarcazione superiore ai 3 metri.

Pur nella tragedia (non sappiamo se ci siano stati morti e feriti tra i marinai russi), questa ennesima débacle russa nel Mar Nero e sulla terra ucraina ci fa capire che la comunicazione politico-militare russa è gestita dai fotocopiatori delle veline del Cremlino. Affermare che il Moskva non è affondato ma è soltanto “seriamente danneggiato e abbandonato dall’equipaggio” sembra una di quelle frasi che dicevano i bambini, quando questi potevano regolare i conti tra loro senza sorveglianti e senza il Minculpop del politicamente corretto: “Mi ha dato un pugno sul naso, ma non mi ha fatto male”. La vicenda dell’incrociatore Moskva ricorda soprattutto la letteratura satirica della dissidenza sovietica, per esempio lo splendido romanzo di Michail BulgakovIl maestro e Margherita”, feroce descrizione dell’abietta burocrazia di partito che dominava lo Stato sovietico e i suoi vassalli dell’Est europeo, e anche “Cuore di cane” e “Uova fatali”, dello stesso autore.

Sul lato occidentale è degno di menzione “Missili in giardino” di Max Shulman, probabilmente il miglior romanzo satirico sull’esercito – ricordo anche il film “Operazione sottoveste” di Blake Edwards, un gigante della commedia sofisticata – ma a bordo del sottomarino rosa il tragicomico nasce soprattutto dalla forzata convivenza tra i marinai del “chissà come fanno” e il Femmineo Eterno più che dalla schizofrenia tra il mito della forza e dell’efficienza e una realtà a volte inefficiente fino al ridicolo. Anche “Il dottor Stranamore” di Stanley Kubrick (1964), tratto dal romanzo “Red Alert” di Peter George, riflette soprattutto il desiderio di sublimare la paranoia da bomba atomica negli anni della crisi dei missili. Una delle migliori descrizioni delle ridicolaggini avvenute nella pur tragica avventura fascista nel secondo conflitto mondiale, è quella del primo giorno di guerra di Alberto Sordi, narrata dall’attore diverse volte. L’11 giugno del 1940 Sordi si recò in una caserma di Roma, dove un ufficiale doveva controfirmare il suo arruolamento in una banda militare. Alle dieci di sera era ancora in attesa del colonnello delegato all’arruolamento. Improvvisamente si sentì l’urlo delle sirene dell’allarme aereo, ed era il primo giorno di guerra: nessuno pensava a un attacco. I comandi avevano sì detto “ci saranno allarmi aerei e delle incursioni”, e avevano dato qualche informazione su come comportarsi. Quando nella caserma romana si sentì l’urlo di quelle sirene tutti furono presi dal panico. Dice Sordi: “L’ufficiale di picchetto diventò bianco come una tovaglia. Poi andò dall’interruttore generale e, invece di spegnerle, accese tutte le luci illuminando la caserma a giorno… I soldati che stavano dormendo in camerata avevano avuto l’ordine – nel caso di attacchi aerei – di lasciare le camerate, scendere giù in cortile senza andare nelle cantine o nei sotterranei e senza sostare sotto il portico. Dovevano invece piazzarsi in mezzo al cortile, buttarsi a terra, a pancia sotto e con braccia e gambe divaricate, questo perché, come avevano loro spiegato, ‘Se casca una bomba, lo spostamento d’aria non vi fa niente stando giù a gambe e braccia divaricate”. Mentre tutti erano immobili sul selciato del cortile si sentì in effetti il rumore di un aereo. Dal rumore sembrava piuttosto una motocicletta e infatti era un aeroplanino piccolo, francese, che non era venuto per bombardare ma per lanciare dei manifestini con su scritto “italiani, non potete fare la guerra ai vostri fratelli francesi” e cose del genere.

“Io – ha aggiunto Sordi – mi domando che cosa avrà pensato quel pilota francese sorvolando la caserma, e che cosa avrà riferito ai suoi ufficiali al ritorno alla base. Aveva visto una caserma illuminata a giorno, con tutti questi corpi distesi a terra, che sembrava quasi una coreografia acquatica alla Broadway… Una festa. A un certo punto comincia l’inferno della nostra contraerea. I generali avevano infatti fatto piazzare delle mitragliatrici sui tetti di tutte le caserme. Erano manovrate dai vecchi della riserva, che sembravano ubriachi e cominciarono a sparare a più non posso dappertutto, e tutto prendevano fuorché l’aeroplanino che sorvolava quella scena. La contraerea prese i campanili delle chiese, i cornicioni, i tetti, mentre i pali della luce cascavano per terra… Tutti i bossoli delle mitragliatrici cadevano sui culi nudi di quei soldati che restavano fermi immobili a pancia in giù nel cortile…. I bossoli sparati dai nostri ferirono quattrocento feriti”. Quello fu il primo giorno di guerra.

Gli yacht degli oligarchi e gli anticapitalisti-putinisti difensori del popolo

Quanto al senso del ridicolo ricorderei le Catilinarie sulle ricchezze dei politici invisi ai Ciceroni de Il Fatto, e le invettive contro i capitalisti mosse da comunisti putinisti alla Marco Rizzo. Come possono condividere il loro amore per il lumpenproletariat con le notizie sugli oligarchi? Eccone tre:

– a poche ore da una Pasqua di sangue, un tribunale ucraino ha sequestrato 154 beni immobili della famiglia dell’oligarca ucraino Viktor Medvedchuk, tra appartamenti, appezzamenti di terreno, 26 auto, 23 case, 17 posti auto e uno yacht;

– in Germania, dopo i soliti timori e tremori di una nazione troppo legata ai destini moscoviti, è stato sequestrato il mega-yacht “Dilbar” dell’oligarca russo Alisher Usmanov. La “barca” era ormeggiata nel porto di Amburgo. È il più grande superyacht del mondo e vale circa 600 milioni di euro, con due eliporti e due piscine (una coperta);

– nelle isole Fiji è stato invece sequestrato il superyacht dell’oligarca Suleiman Kerimov. Lungo 106 metri, vale 325 milioni. Kerimov è azionista di Gazprom ed è uno dei pochissimi esseri umani ammessi nel cerchio magico di Putin.

Aggiornato il 15 aprile 2022 alle ore 09:22