Putin: dall’occupazione delle menti all’invasione dell’Ucraina

Essere un collaboratore dell’Istituto Puškin di Mosca mi ha dato la possibilità di toccare, da vicino, quello scontro tra generazioni che in Russia si manifesta sulla linea della “realtà costruita” dall’informazione. Infatti, l’invasione dell’Ucraina lanciata da Vladimir Putin spacca le opinioni all’interno degli stessi nuclei familiari. Così gli adulti appiattiti sull’informazione propagandata dai canali televisivi, totalmente sotto controllo, e che sostengono il presidente, si scontrano con le opinioni di molti giovani che attingono le notizie dai social e internet, dove le critiche “all’operazione ucraina” sono taglienti e sfuggono spesso al capillare controllo russo sull’informazione. La propagandata necessaria invasione dell’Ucraina ha esaltato una fascia di età adulta di russi che al momento della notizia ha gioito, schierandosi contro i khokhli, termine dispregiativo che designa il popolo ucraino.

La potente propaganda russa ha sempre agito per sedare la popolazione dall’interesse verso la politica, rendendo gli affari pubblici scontati e tradizionalmente riguardanti poche questioni basate, soprattutto, sull’oppressione delle opinioni discrepanti dal potere, o su fatti legati alla repressione verso gli sparuti oppositori del presidente. Ma quali aspetti dell’anima del popolo russo ha toccato il capo del Cremlino per riuscire ad avere quel precario consenso per avviare una tale sanguinosa e incerta avventura? La risposta dobbiamo ricercarla nell’annessione della Crimea del 2014. Da quel momento la popolazione russa è stata affogata in una martellante propaganda che ha inserito l’Ucraina nel campo dell’informazione in maniera negativa (e onnipresente). È stata così costruita una opinione che disprezza e odia non solo l’Ucraina attuale, ma anche la sua storia. Opinione, che in questi ultimi otto anni, è stata manovrata dalla quasi totalità dei commentatori e pseudo analisti di turno.

Putin prima di occupare i territori ucraini, infatti, ha occupato la mente dei russi. Dopo il 2014 il presidente ha fomentato le ribellioni nel Donbass, un vasto territorio nell’Ucraina orientale; tuttavia, solo due distretti si sono staccati dal Paese, quelli di Donetsk e Luhans’k. Ma per iniziare una guerra e per creare una motivazione ha dovuto riesumare anche il termine di nazista e fascista, attribuito agli ucraini, che ha riacceso l’alterato ideale politico della massa. A questo concetto si è aggiunta poi la necessità di inculcare nella massa la necessità di restaurare la grandezza della Russia e sabotare il tentacolare progetto dell’Occidente. Sono questi i tasti su cui ha spinto Vladimir Putin per suscitare il sostegno della popolazione al suo intervento in Ucraina.

Ma la manovra di Putin era più alta del semplice riconoscimento di due Repubbliche secessioniste. Infatti, era quella di indurre l’Occidente a parlare, e poi affrontare, questo “caso” costruito, inserito nella scena geopolitica solo per mettere in gioco altre tematiche e per convogliare su queste le attenzioni occidentali. Così ha fatto passare la “finta realtà storica” che l’Ucraina era un Paese artificiale, che le divisioni confessionali, politiche e linguistiche, erano così forti da impedire la costruzione di una nazione comune per tutti gli ucraini. Ha fatto credere che gli Stati Uniti avessero promesso a Michail Gorbaciov che non ci sarebbe stato l’allargamento della Nato – notizia storicamente inesatta – e che invece questo allargamento c’è stato e organizzato contro la Russia. Quindi, secondo Putin, Mosca è stata provocata eccessivamente e di conseguenza legittimata, moralmente, a recuperare le terre dell’ex Unione Sovietica.

Così lo scetticismo continua a dividere molti giovani dagli adulti, questi ultimi sostengono che la Russia si sta solo difendendo, e sono contenti che la “questione ucraina” venga finalmente risolta. E quando si parla di devastazione o della sofferenza dei civili, l’opinione degli adulti è che i “nazisti” si nascondono tra i civili. Tuttavia, il sempre più complesso conflitto che Vladimir Putin sta conducendo in Ucraina – che ritengo, comunque vada, abbia moralmente già perso – fa inorridire alcuni russi e spinge altri a protestare o a espatriare, per molti invece è da sostenere.

Va detto che l’allargamento della Nato avvenuto negli anni Novanta verso est, dopo la disgregazione della Jugoslavia, è stata una risposta necessaria, anche se opinabile nelle modalità, per frenare il rischio di una pericolosa balcanizzazione del sud-est europeo. Ricordo che il 21 dicembre 1991, il giorno della firma della dichiarazione di Alma-Ata che sancì la fondazione della Csi, Comunità degli Stati Indipendenti, sottoscritta tra undici delle quindici ex Repubbliche socialiste sovietiche, Boris Eltsin inviò una lettera alla Nato, affermando che: “L’appartenenza della Russia al “blocco” sarà uno degli obiettivi a lungo termine della sua politica”. Ricordo anche che Putin, successore “legittimo” di Eltsin, ha ribadito in più occasioni la possibilità di entrare direttamente nella Nato, saltando il percorso del Map, Membership Action Plan, cioè il Piano d’azione per l’adesione, “sentiero” che le altre nazioni hanno dovuto percorrere.

Ma Putin, nella sua opera di “orientamento globale”, in molte occasioni ha dovuto anche scomodare la figura materna, ricordando che resistette all’assedio di Leningrado (8 settembre 1941-27 gennaio 1944). Rammento che Andriy Andriyovych Yushchenko, padre di Viktor Yushchenko, presidente dell’Ucraina dal 2005 al 2010 e filo-occidentale, era sopravvissuto ad Auschwitz, e portava marchiato sulla spalla il numero 11369. In Russia la nostalgia per l’Urss non è mai svanita, se ancora dopo trent’anni il 56 per cento dei russi ne rimpiange i tempi; ed è soprattutto tra i circa trentasette milioni di pensionati che troviamo quelli maggiormente nostalgici del passato sovietico, e che spesso riescono anche a convincere alcuni giovani della bontà di un’era perduta e di una passata grandezza nazionale. Inoltre, la maggioranza della popolazione attribuisce il crollo dell’Unione Sovietica al tradimento degli oligarchi e della casta e alla malvagità dell’Occidente. Putin, nel suo ventennio di potere ha spesso criticato le azioni dei suoi predecessori, ritenuti troppo blandi, come Nikita Kruscev, ma al fine di mantenere una pace sociale, non ha mai ufficialmente condannato le azioni del Partito Comunista; infatti, Vladimir Lenin è ancora sepolto nel mausoleo della Piazza Rossa e Joseph Stalin gode tuttora di grande ammirazione. Va considerato che il Kgb in cui Putin militava – milita – detiene saldamente le redini del potere e la recente chiusura dell’associazione Memorial è un attacco a una “memoria” da dimenticare.

Eppure, la grandezza della Russia dipende anche dalla sua influenza sulle ex Repubbliche sovietiche, il cui desiderio di autonomia e di avvicinamento agli organismi euro-atlantici non è né capito né tantomeno tollerato. Quindi è chiaro che Vladimir Putin stia correndo su quella linea del culto della grande guerra patriottica, ben conosciuta in epoca sovietica, ma che oggi si deve confrontare con Sistemi geostrategici affetti dal virus sociologico della globalizzazione.

Aggiornato il 14 aprile 2022 alle ore 10:37