Ucraina e Mali: crimini di guerra più o meno noti

Il 2 marzo, una settimana dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), dichiarò che si erano create ragionevoli basi per una solerte apertura di una indagine sulla situazione in Ucraina. I criteri di valutazione di queste “ragionevoli basi” fanno riferimento a quelle contingenze che rendono una azione violenta ascrivibile nell’ambito dei “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Così, quando l’Onu il 3 aprile ha comunicato che a Boutcha, in Ucraina, sono stati commessi “possibili crimini di guerra”, dopo un breve iniziale momento di caos comunicativo, i due schieramenti, l’Occidente e la Russia, hanno intrapreso la strada dell’accusa e la strada della negazione.

Ma cosa si intende per crimine di guerra? Brevemente, la storia ha utilizzato come “leggi” l’adozione di abitudini provenienti da pratiche tradizionali e consuetudini, che vietano particolari violenti atteggiamenti in tutte quelle situazioni dove si verificava un conflitto. Tuttavia, è solo a cavallo tra il XIX e il XX secolo che il concetto di “crimine di guerra” è stato particolarmente sviluppato. Così le due Convenzioni dell’Aia, la prima adottata nel 1899 e la seconda nel 1907, fanno riferimento essenzialmente al divieto dell’uso di specifici strumenti da guerra, come l’utilizzo di proiettili esplosivi e gas asfissianti; mezzi da combattimento invece spesso utilizzati in ogni scenario di guerra dichiarata o meno. Dalla prima Convenzione di Ginevra del 1964 – seguita dalle successive Convenzioni – e i vari protocolli aggiuntivi, furono ratificati dagli Stati membri dell’Onu quegli “obblighi comportamentali” diretti sulla protezione dei feriti, dei civili, dei membri di organizzazioni umanitarie, compreso il personale sanitario, dei naufraghi e non ultimi i prigionieri di guerra; in breve, tutti quei soggetti che “non partecipano o non partecipano più alle ostilità”. Quindi, le violazioni di questi trattati sono considerati crimini di guerra. L’ultima azione in questa direzione è lo “Statuto di Roma” della Cpi del 2002, un Trattato internazionale che dettaglia e amplia questi principi di “protezione umana” contro la violenza in tempo di conflitti, specificando i reati di: tortura, presa di ostaggi, omicidio intenzionale, trattamento disumano, detenzione illegale, espulsione, bombardamento o aggressione di città, villaggi, abitazioni o fabbricati, non ricadenti in obiettivi militari e quindi indifesi, solo per citarne alcuni.

Trascurando per questioni di spazio gli aspetti psicologici innescati da questi reati, la differenza con i crimini contro l’umanità e chi deve giudicare tali crimini, quello che sta accadendo in Ucraina da più di un mese non è molto dissimile da quello che accade in alcuni Paesi sub-sahariani da tempi molto più lunghi. Così come dovranno essere giudicati per crimini di guerra i responsabili delle efferate stragi perpetrate in Ucraina, così in Mali gli artefici di identiche azioni dovrebbero sottostare allo stesso “trattamento”. A fine marzo, in Mali, l’esercito nazionale e i mercenari Wagner russi sono stati accusati di essere gli artefici di uno spaventoso massacro degli abitanti di Moura, una città della Regione del Mopti. Le testimonianze dei sopravvissuti hanno affermato che soldati maliani, insieme ai soldati bianchi “che parlavano una lingua sconosciuta”, si sono accaniti per cinque giorni in questa cittadina, causando centinaia di morti. L’operazione doveva essere anti-jihadista ma non si è rivelata solo tale. Una notizia tragica, ma passata inosservata a causa dell’altro conflitto probabilmente più interessante.

Una concomitanza con Boutcha che rafforza la tragicità dell’accaduto. Infatti, proprio nel momento in cui domenica 3 aprile, dopo la partenza dell’esercito russo, sono stati trovati centinaia di cadaveri di civili – i dubbi sono solo sul numero – si è scoperto l’altro massacro, quello perpetrato tra il 27 e il 31 marzo nella città nel centro del Mali. Questo territorio è prevalentemente sotto il controllo di gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda. Ed è in questa operazione e nell’intento ufficiale di stanare gli estremisti islamici che si è consumata la strage di civili maliani. La cronaca locale afferma che militari maliani e Wagner hanno radunato uomini ritenuti sospetti ed eseguito sommarie esecuzioni. Riferiscono i testimoni che sono state scavate fosse comuni dagli stessi abitanti di Mouri. Uno scenario sconcertante confermato da molte fonti. Ma un trionfante comunicato stampa dell’esercito maliano ha suggellato l’operazione come un successo importante che ha portato all’annichilimento di “203 jihadisti”, dichiarando di avere effettuato una pulizia sistematica dell’intera area. Tuttavia, un rapporto dell’Human Rights Watch scrive dell’uccisione di circa “300 uomini civili, alcuni dei quali sospettati di essere combattenti islamisti”. Personalmente, in questi casi sospetto molto della attendibilità dell’informazione soprattutto quando vengono comunicati “numeri” con i decimali. Ma l’eco tra il massacro di Moura e Boutcha non è circoscritto solo alla coincidenza temporale e a una comparabile logica che li fa ricadere nei crimini di guerra, ma è legato anche al coinvolgimento, in ambedue le situazioni, delle milizie mercenarie manovrate dalla Russia in generale, e da Vladimir Putin in particolare. La differenza sostanziale è che i fatti ucraini sono al centro dell’attenzione mondiale, quindi “godono” di una pubblicizzazione assoluta, supportata da drammatici video accompagnati da testimonianze giornalistiche, mentre ciò che accade in Mali, oltre che emergere in differita, è raccontato solo da coloro che sono riusciti a sopravvivere, non essendo presenti testimoni o giornalisti stranieri. Tale situazione è maggiormente difficile da conoscere a causa della reticenza del Governo golpista del Mali, che ancora nega la presenza di oltre un migliaio di mercenari russi Wagner tra le fila dell’esercito di Bamako.

La cosa certa è che la partenza delle truppe francesi dell’operazione Barkhane ha aggravato le azioni violente – e autoritarie – del Governo golpista, e del suo esercito che agisce all’unisono con i Wagner. Ora in Mali, dove la violenza jihadista si aggiunge ai massacri di civili perpetrati dall’esercito maliano, sostenuto dai mercenari russi, si è giunti a un livello di brutalità elevatissimo. Considerando, inoltre, che la libertà di stampa è un’utopia, e chi scrive in disaccordo con il Governo golpista è eliminato. Ricordo che nell’indice mondiale della “libertà di stampa” il Mali è al 123esimo posto su 183 ma anche l’Italia “fa la sua parte” con il 43esimo posto, in leggero calo rispetto a un paio di anni fa. Così, individuare i crimini di guerra e i suoi colpevoli pare una operazione più legata a interessi geo-strategici che a norme e sensibilità umanitarie.

Aggiornato il 09 aprile 2022 alle ore 09:12