È davvero il momento di negoziare?

Mosca avrebbe comunicato l’intenzione di concentrare le sue operazioni belliche esclusivamente sul sud-est dell’Ucraina: nell’area del Donbass, della Crimea e del Mar Nero, per intendersi. Gli analisti ucraini e occidentali sembrerebbero non riporre troppa fiducia nelle dichiarazioni del Governo russo: non fosse altro che l’utilizzo sistematico della menzogna e dei depistaggi è l’arte nella quale il Cremlino è più navigato e che tale presa di posizione è stata prontamente smentita dal bombardamento su Leopoli, “bastione occidentale” del Paese, che in molti hanno interpretato come un “messaggio” al presidente americano, Joe Biden, il quale si trovava nella vicina Polonia. Tuttavia, sarebbe già in atto il ritiro delle truppe dai dintorni di Kiev, sebbene il ripiegamento verso la Bielorussia potrebbe essere solo un modo per riorganizzarsi e tornare successivamente all’attacco. I combattimenti continuano, comunque, nelle aree summenzionate.

Fonti di intelligence hanno riferito nei giorni scorsi che il nove maggio potrebbe essere una possibile data per la cessazione delle ostilità: in Russia si celebra l’anniversario della sconfitta dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale. In una simile data, se le forze di Mosca riuscissero a strappare la vittoria alla resistenza ucraina nel sud-est (e magari anche la neutralità del Paese ai tavoli negoziali), la propaganda del Cremlino avrebbe gioco facile nello spacciare per vittoria quella che, in realtà, sarebbe solo una “sconfitta onorevole”. Già, perché anche se Vladimir Putin annuncerebbe dal podio, con toni trionfalistici e sciovinisti, la felice conclusione delle “operazioni speciali”, la “vittoria sui nazisti ucraini” e la “messa in sicurezza della Madre Russia”, a ciò potrebbe credere solo il suo popolo “drogato” dalla narrazione di regime: non certo chi, in Ucraina come in Occidente, ha capito benissimo che l’obiettivo del Cremlino non era certo solo quello di ottenere la neutralità di Kiev, l’indipendenza o l’autonomia amministrativa del Donbass e l’annessione della Crimea, ma quello di annettere l’intera Ucraina o, quantomeno, di destituire il Governo di Volodymyr Zelensky per sostituirlo con uno amico di Mosca, sul modello di quello bielorusso. Se davvero la guerra si concludesse fra poco più di un mese e nel modo in cui alcuni analisti ritengono, i veri vincitori sarebbero gli ucraini, non i russi che dovrebbero accontentarsi di una piccola parte rispetto a quanto avevano previsto all’inizio delle ostilità.

Al netto di tali considerazioni strategiche, bisogna ammettere che le truppe di Mosca sono in evidente affanno. La resistenza ucraina – finanziata e armata dalle cancellerie occidentali – si è dimostrata molto più forte e motivata da autentico patriottismo: altra roba rispetto al roboante nazionalismo ottocentesco dei russi, che di fatto rimane privo di sostanza e di concretezza. E il motivo per cui – sempre ammesso che non si tratti solo di un depistaggio strategico – le forze russe avrebbero deciso di concentrarsi solo sul sud-est dell’Ucraina, sarebbe proprio l’aver preso atto di non poter conseguire gli obiettivi che il Cremlino si era prefissato. Zelensky rimarrà presidente e l’Ucraina entrerà nell’Unione europea, che a Putin piaccia o no. Tanto vale accettare questo fatto e accontentarsi di chiedere la neutralità del Paese cercando, al tempo stesso, di annettere la Crimea e di ottenere garanzie sul Donbass, che successivamente porterebbe alla realizzazione, “de facto”, di uno scenario “coreano”, per usare le parole del presidente ucraino: una Ucraina dell’Ovest, vicina all’Occidente e una Ucraina dell’Est alleata di Mosca.

Cosa intenda fare il Governo ucraino non è del tutto chiaro: se Zelensky si dice pronto a trattare sulla neutralità del Paese (ma non sulla smilitarizzazione o sul liquidare i gruppi nazionalisti) e sulla questione del Donbass (conferendo alle regioni di Donetsk e Luhansk una sorta di “autonomia speciale”, oltre a una serie di tutele per la minoranza russofona ivi presente); i suoi consiglieri e strateghi chiariscono subito che l’integrità territoriale del Paese non è in discussione, che l’ipotetica neutralità dovrebbe comunque porre l’Ucraina sotto la tutela di alcuni Paesi occidentali (tra cui l’Italia, che Zelensky vorrebbe tra i garanti della sicurezza ucraina, assieme a Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada) e che qualunque decisione verrà raggiunta ai tavoli negoziali sarà sottoposta a referendum. Su questo punto rilancia il leader degli indipendentisti del Donbass, che chiede siano proprio i cittadini della regione a esprimersi e a scegliere se vogliono essere russi o ucraini, come avvenuto in Crimea nel 2014. Un altro referendum farsa, insomma, come quello di otto anni fa, con gli elettori che vanno a votare con i mitra dei soldati russi puntati contro.

Se per alcuni Zelensky inizia a “mettere giudizio” e a sposare una linea politica più prudente rispetto ai toni bellicosi e marziali degli inizi, per altri si sta solo rendendo conto del fatto che l’Occidente, nel cui aiuto speravano gli ucraini per respingere i russi e al quale il presidente ucraino rimprovera la mancanza di coraggio, verosimilmente non andrà oltre la fornitura di armi, viveri e medicine, l’accoglienza dei profughi e il sostegno diplomatico: la Nato non scatenerà la Terza guerra mondiale, a meno che non sia costretta dalle circostanze, come l’uso di armi chimiche, biologiche o nucleari contro l’Ucraina, stando alle dichiarazioni di Joe Biden a Bruxelles. E questa guerra non può, nella maniera più assoluta, trasformarsi in un conflitto bellico di logoramento: almeno non per scelta degli ucraini, che la pace la vogliono veramente e l’hanno sempre desiderata, a differenza dei russi. Di conseguenza, meglio accontentarsi di strappare ai russi le migliori condizioni dopo aver inflitto loro delle importanti perdite.

Tuttavia, c’è da domandarsi se questa sia davvero una buona strategia. È vero che, anche nel caso in cui gli ucraini dovessero accettare la neutralità e offrire garanzie sul Donbass, ciò sarebbe comunque una sconfitta per Putin e una vittoria per l’Ucraina: ma si tratterebbe di una “vittoria mutilata”. Perché accontentarsi di questa, se si ha la possibilità di stravincere? Certo, un mese di guerra convenzionale può essere sfibrante: ma le milizie ucraine tutto sembrano intenzionate a fare, fuorché ad arrendersi. Vogliono continuare a combattere e vogliono dare una lezione ai russi. Perché deluderle e mandare sprecato tanto coraggio e determinazione? Con le armi messe a disposizione dall’Occidente – nella speranza che, prima o poi, si decida a mandare anche arei militari, per permettere alla resistenza di respingere le incursioni russe sulle città mettendo fine ai bombardamenti – gli ucraini possono intraprendere una serie di controffensive a ritmo serrato, liberando e mettendo in sicurezza tutti i territori finora occupati: Donbass e Crimea inclusi.

Il “Golia” russo non ha la capacità di reagire in questo momento: è debole, ferito nel suo smisurato orgoglio e con il morale a terra. In più, Putin è alle prese con una fronda interna all’apparato militare ed economico che sta facendo scricchiolare il suo potere. Perché non infliggere loro il colpo di grazia? Questo è ciò che si chiedono in molti, dentro e fuori l’Ucraina. Vorrebbe dire chiedere un ulteriore sforzo alla resistenza ucraina e proseguire un confitto che è già costato troppo in termini di vite umane e di sofferenza: ma se si accetterà anche solo una parte delle richieste russe, bisogna ammettere che l’Ucraina non sarà mai del tutto al sicuro – e con essa l’intera Europa – e che una simile situazione potrebbe tornare a verificarsi in futuro (salvo cambi di regime in Russia, ovviamente, che non sono da escludere a priori).

Il motivo di questo è evidente: accettare la neutralità vorrebbe dire restare fuori dalla Nato. Se questo potrebbe, dal punto di vista pratico e nel medio-lungo periodo, costituire un problema secondario, giacché l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea vincolerebbe tutti gli Stati membri a intervenire militarmente in caso di future aggressioni; nel breve periodo non metterebbe l’Ucraina al riparo da nuovi attacchi o tentativi di destabilizzazione da parte russa, senza la supervisione di un gruppo di Stati occidentali pronti a intervenire nel caso in cui ciò si verificasse. Resterebbe, poi, la questione di principio. Per quale motivo un qualunque Stato non dovrebbe potersi scegliere le alleanze internazionali per non infastidire il suo vicino di casa? E che fine fanno le famose “porte aperte” dell’Alleanza atlantica? E se l’Ucraina decidesse, come fatto da Svezia e Finlandia, di partecipare alle operazioni militari della Nato pur senza farne parte, come reagirebbe la Russia? Se poi la scelta ricade sulla neutralità nulla da eccepire: ma deve essere, per l’appunto, una scelta del Paese, non una imposizione da parte di una potenza straniera. Una buona idea potrebbe essere quella di sottoporre la questione al voto degli ucraini (ovviamente sotto la sorveglianza delle istituzioni internazionali o, almeno, dell’Unione europea, per evitare brogli e pressioni da parte di Mosca).

In secondo luogo, questo significherebbe mandare un messaggio decisamente sbagliato a Mosca: se ha ottenuto anche una parte di ciò che voleva con l’impiego della forza militare ed è riuscita a modificare il corso politico di uno Stato sovrano in questo modo, cosa dovrebbe impedirle di “fare il bis” nel momento in cui altri Paesi, come la Finlandia, decidessero di entrare nella Nato, come sembrerebbe sia intenzionata a fare, anche alla luce dei recenti accadimenti? Se per impedire a un Paese confinante di fare le sue scelte in termini di alleanze e di politica estera è sufficiente mandare le truppe, chi ci garantisce che il Cremlino non ripeterà l’esperienza di nuovo, sia pure con altri Stati, e che non proseguirà con questa sua pessima abitudine di esternalizzare negativamente le sue politiche di sicurezza nazionale su altri Paesi, che devono sobbarcarsene i costi e i vincoli.

Da ultimo, conferire autonomia e guarentigie al Donbass e alla minoranza russofona vorrebbe dire esporre l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina a una costante minaccia. Quella regione, infatti, diventerebbe “de facto” una vera e propria enclave russa in territorio ucraino, da dove Mosca potrebbe esercitare il suo peso e la sua influenza nelle scelte politiche del Paese o che potrebbe impiegare come una sorta di “base militare”, magari in vista di future “operazioni speciali”. Inoltre, sarebbe un rischio per la sicurezza degli ucraini e per la stessa unità nazionale: avere in seno una minoranza ostile potrebbe costituire un forte elemento di instabilità per il Paese. La tutela delle minoranze etnico-linguistiche (e noi in Italia ne sappiamo qualcosa) è cosa sacrosanta: ma solo se tali minoranze accettano l’unità nazionale e se sono disposte a coesistere pacificamente con la maggioranza. Questo non sembra essere il caso degli auto-percepiti russi del Donbass, che non sembrano avere alcuna intenzione di far parte dello Stato ucraino e di rispettarne la popolazione, con buona pace dei complottisti filo-Putin che parlano di “genocidi” a sproposito, oltretutto ignorando tutto quello che i russi hanno fatto agli ucraini nel periodo sovietico. Riconoscere al Donbass una sorta di “statuto speciale” implicherebbe accettare una ingombrante presenza russa (o filo-russa) all’interno del Paese, che nel medio-lungo periodo non porterà a nulla di buono e che potrebbe sempre ritardare od ostacolare il processo di occidentalizzazione ed europeizzazione dell’Ucraina. E quando questa sarà membro dell’Unione europea, l’esistenza di territori filo-russi al suo interno potrebbe essere un veicolo per la penetrazione di Mosca nelle istituzioni comunitarie, cosa che rappresenterebbe un pericolo l’integrazione europea e per la nostra sicurezza continentale: e questo non possiamo permetterlo. A questo punto, meglio sarebbe riconoscere al Donbass l’indipendenza, nonostante possa essere una scelta oggettivamente più dolorosa e una concessione decisamente non dovuta al nemico.

In sintesi, se di primo acchito quella di Kiev di cedere sulla neutralità del Paese e sull’autonomia del Donbass potrebbe sembrare una decisione saggia per porre fine al conflitto, uscendone sostanzialmente vincitori – dando comunque a Putin qualche trofeo da esibire, tanto per non perdere la faccia dinanzi al suo popolo e al suo entourage – nel tempo potrebbe rivelarsi una scelta azzardata, in quanto non eliminerebbe del tutto il problema di fondo e lascerebbe la porta semi-aperta a potenziali future ingerenze o aggressioni da parte russa. A maggior ragione, se il momento di debolezza del nemico è ciò che colloca gli ucraini in una posizione di forza, mettendoli nelle condizioni di “dare le carte” al tavolo dei negoziati. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che l’Occidente faccia davvero la sua parte e continui a sostenere, con ogni mezzo necessario, lo sforzo bellico ucraino.

Aggiornato il 29 marzo 2022 alle ore 10:35