La forza di Putin: la natura della geopolitica

La Geopolitica è “erbivora” o “carnivora”? La prima versione (Federico Rampini, La Repubblica) corrisponde come un vestito su misura a Noi occidentali, satolli e benestanti, equiparabili per ignavia e opportunismo ai romani della decadenza imperiale: paghiamo i mercenari e adoriamo le guerre per proxy, avendo noi stessi perso in ottanta anni di pace la memoria sull’uso delle armi e della lotta fisica per la sopravvivenza. A proposito delle guerre per procura, anche l’attuale conflitto ucraino apparterrebbe a questa tipologia, che a sua volta fa parte della famiglia allargata delle così dette “guerre ibride”, in quanto condotte con una pluralità di mezzi offensivi diversi dalla polvere da sparo e che, però, risultano altrettanto distruttivi, mirando al cuore delle vulnerabilità delle società contemporanee. Tra questi ultimi si citano le cyberwar e le infodemie legate all’eccesso di informazione ridondante, e alla manipolazione della comunicazione veicolata dalla mass effect (che prende il nome da un famoso videogioco) dei social network, che rendono verosimile anche la più squinternata delle teorie complottiste. Quindi, in questa scia di “a pensar male” si allineerebbe anche il conflitto in Ucraina che alcuni Paesi prolungherebbero strumentalmente (un po’ come succede con una nota stirata) a fini politici, o per far risalire a novembre le quotazioni di un Joe Biden alla corda per la caduta del consenso interno, o per spianare la strada alla rielezione in primavera di Emmanuel Macron in Francia.

Intanto, spaventando i Paesi della Unione europea, Vladimir Putin ha fatto la magia di riunire i destini dell’America e dell’Europa, costringendo i parsimoniosi del Vecchio Continente a farsi finalmente carico della propria difesa, tornando così indietro nel tempo, per riprendere il discorso interrotto della Comunità di Difesa, che negli anni 50 la Chaise vide del generale Charles de Gaulle volle cancellare dall’orizzonte dell’Unione, nella vana illusione di imitare Louis XIV con “L’Europe c’est Moi!”, come la rana ipertrofica di Fedro. Con tutte le infauste conseguenze storiche che hanno contraddistinto da allora l’insignificanza dell’Europa (“senza un numero telefonico unico a cui chiamare!”, Henry Kissinger) nella geopolitica mondiale, fatta anche di rapporti di forza armata e non solo di commerci. Oggi, il Dinosauro erbivoro della Unione europea si trova confrontato all’Orso Russo che, pur essendo onnivoro, manifesta attualmente la sua attitudine di carnivoro usando gli artigli per sbranare una facile preda. Quest’ultima, trattandosi dell’Ucraina, si è rivelata indifesa per modo di dire, avendo Putin, come si è visto, sbagliato clamorosamente i calcoli del suo fallito Blitzkrieg, illudendosi di essere accolto come un liberatore e preso invece a cannonate per ritornarsene da dove è venuto. Però, come si sa, bisogna fare molta attenzione all’Orso ferito ma non abbattuto.

Questo perché nella sua natura di Carnivoro manifesta ora una resilienza tutta sua, mettendo in campo nella guerra ibrida la sua arma più potente che non è quella nucleare, bensì la minaccia più seria e letale che si possa pensare allo Sviluppo economico dell’Occidente, avendo reso l’Europa dipendente dalle sue forniture energetiche che, guarda caso, da oggi devono essere pagate in rubli, terremotando così tutto il sistema mondiale dei pagamenti delle materie prime. Embargarle come vorrebbe l’America significa per l’Europa farsi carico di una recessione economica mai vista, con la caduta della produzione industriale ai livelli del 1929, dato che per parecchi anni a venire non è possibile compensare le forniture russe con i giacimenti mediorientali, né con quelle americane per la quasi totale carenza di rigassificatori, dato che (per colmo della sfortuna) stiamo parecchio antipatici ai regimi arabi dei petrodollari, non avendoli sostenuti nella loro guerra di sopravvivenza contro la minaccia sciita di Teheran. Di fatto, con la nostra insipienza e scarsa o nulla volontà di usare le armi, abbiamo consegnato Libano, Siria, Iraq e Yemen ai miliziani sciiti, in conflitti che sono costati milioni di vittime innocenti e che gravano sulle nostre coscienze.

In questo gioco erbivoro-carnivoro, come stanno messe India e Cina, le più grandi Nazioni del mondo con i loro 1,4 miliardi di abitanti a testa? Dalla parte degli onnivori, decisamente. Per nostra fortuna, anche la Russia ha fatto errori gravi, non avendo già costruito gasdotti e oleodotti in grado di trasportare verso quella parte maggioritaria del mondo, assetata di energia, molti miliardi di metri cubi di gas e di barili di petrolio all’anno, in modo da garantirsi una seria alternativa al mercato europeo. La regola per cui “no-money-no-war” vale soprattutto per la Russia, come il detto latino “simul stabunt vel simul cadent” che ha dato risultati impressionanti nel disinnescare la crisi petrolifera del 1973, in cui i consumatori l’hanno avuta vinta sui produttori! Ora, questo principio vale oggi sommamente per la Cina che è costretta a manifestare il suo lato erbivoro, stando attentissima a non inciampare nel filo spinato delle sanzioni decretate dal mondo libero nei confronti di Mosca e della sua logica neo-imperiale di potenza. Troppe ancora oggi, infatti, le profonde differenze tra il mondo delle campagne e della costa sviluppata cinesi: senza una crescita economica superiore al 5 per cento annuo non vi sarebbe più quella capacità odierna di redistribuzione del benessere nazionale, che tiene buona l’immensa periferia depressa del Celeste Impero! Non perché Pechino non condivida con la Russia lo spirito imperiale di rivalsa. Ben al contrario, essendo pronta a estrarre i suoi enormi denti di tigre non appena il suo sodalizio opportunistico con Mosca avrà messo alle corde Europa e America costrette, come si può fin da ora capire, a una nuova corsa agli armamenti destinata a sottrarre molte risorse fresche allo sviluppo e alla crescita globale della potenza economica occidentale.

Quindi, in buona sostanza, anche Pechino e Nuova Delhi, in termini oggettivi, sono per la suddetta nota stirata che dissangua l’Orso russo in una presumibile guerra di logoramento, pronti a raccoglierne la manna dell’energia a buon mercato e a fare acquisti a prezzi stracciati dei suoi grandi Kombinat economici. E tutto questo accade perché Putin non può né perdere, ma nemmeno vincere, visto che il Dinosauro erbivoro europeo e americano è costretto a fornire (e testare!) le sue armi offensive ultramoderne per fermare e, al limite, respingere l’invasore russo. E l’Orso, di questo passo, rischia di fare la fine di quello ammaestrato e in catene nel futuro Circo di Pechino.

Aggiornato il 25 marzo 2022 alle ore 12:55