Turchia, tra Mosca e Kiev all’ombra del mercato delle armi

Nel tragico “palcoscenico ucraino” anche la Turchia è impegnata in quell’esercizio diplomatico che spreme le abilità strategiche degli Stati che si affaccendano nel tentativo di dissipare le fitte nebbie che avvolgono l’Europa di centro. Recep Tayyip Erdogan, con le sue aspirazioni neo-imperialiste, data la strategicità geografica della Turchia, è particolarmente attento a non irritare sia le sensibilità russe, sia quelle della Nato (il suo Stato è membro dal 1952). In questo delicato contesto la Turchia, a fine febbraio, ha riconosciuto lo “stato di guerra”; ciò l’autorizza a bloccare il passaggio delle navi da guerra russe da e verso il Mar Nero. Il blocco navale turco può agire sui due stretti marittimi altamente strategici per la Russia. La Turchia, dopo l’invasione russa, è stata sollecitata anche da Kiev a chiudere lo stretto dei Dardanelli e del Bosforo. Il 27 febbraio il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Casuvoglu, ha comunicato in una intervista alla Cnn Türk che “la situazione in Ucraina si è trasformata in guerra; la Turchia attuerà, in trasparenza, tutte le disposizioni della Convenzione di Montreux”.

Ricordo che la Convenzione di Montreux fu firmata in Svizzera nel 1936 da Turchia, Romania, Grecia, Francia, Regno Unito, Unione Sovietica e nel 1938 aderì anche l’Italia; regola la navigazione attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo. Detta Convenzione ha conferito alla Turchia il ruolo di “guardiano degli stretti”, in particolare ha assicurato il traffico navale durante i tempi di pace, ma in caso di guerra è stata autorizzata a bloccare il passaggio alle navi militari, salvo che siano dirette al loro porto di origine. A conferma del ruolo strategico di questi stretti nel contesto attuale, è risultato che nelle ultime tre settimane almeno una decina di navi da guerra russe e un numero non chiaro di sottomarini battenti la stessa bandiera, in rientro dal bacino mediterraneo, abbiano attraversato i Dardanelli e il Bosforo, considerando che la Russia ha attualmente una cinquantina di navi da guerra e 7 sottomarini nel Mar Nero. A tal proposito, la diplomazia turca ha riferito che avrebbe applicato la Convenzione di Montreux ma che non avrebbe bloccato le navi da guerra russe. Una sottigliezza del lessico diplomatico che ha permesso ad Ankara di nascondersi dietro le norme del Diritto internazionale e di non schierarsi contro la Russia, restando osservante dei “patti”.

Questo episodio ha mostrato le ambiguità, necessarie, della diplomazia turca e l’articolato rapporto che unisce Ankara a Mosca. La Turchia dal 2014 si sta impegnando molto con l’Ucraina, fornendo anche importanti attrezzature militari, ma nel contempo è impegnata a non irritare Mosca. È noto che la Turchia è in uno stato di allerta perenne, ha fronti aperti o semi-aperti quasi ovunque: il Fronte siriano è presidiato, la presenza in Libia ha caratterizzato le vicende degli ultimi anni, il Nagorno Karabakh, senza dimenticare la questione del Mediterraneo orientale. A livello di politica interna apparentemente è bilanciata, ma i dissidi sono palpabili e cronici: la sua visione tendenzialmente anti-laica e le mire neoimperialiste non stanno agevolando il Governo di Ankara. Quindi, in questa crisi, giocare su tutti i fronti rischia di essere pericoloso per una nazione aggravata anche da una galoppante inflazione che la sta trascinando in un poco pubblicizzato baratro economico senza precedenti. Formalmente, la Turchia ha criticato l’invasione russa ma lì si è fermata, non sostenendo le sanzioni imposte dall’Occidente, astenendosi dal votare la sospensione dei diritti di rappresentanza della Russia nel Consiglio d’Europa e non chiudendo il suo spazio aereo alla aviazione russa. La Turchia importa oltre il quaranta per cento del gas dalla Russia, e la presenza di circa quattro milioni di turisti russi in Turchia è un fattore economico determinate. Inoltre, Mosca agevola il complesso rapporto di cooperazione tra Ankara e Damasco.

Erdogan e Volodymyr Zelensky, in questi ultimi tre anni, si sono visti spesso, suggellando la cooperazione militare, con la fornitura da parte della Turchia dei famosi droni armati Bayraktar 2, simbolo del loro sodalizio, ma anche la più strategica autorizzazione a produrre detti “velivoli lenti” nelle officine ucraine. Il mercato delle armi con l’Ucraina, per Ankara, è fondamentale, in quanto l’industria della difesa turca è stata sanzionata sia per la guerra condotta nell’autunno 2020 in Nagorno Karabakh, dove i Bayraktar 2 hanno avuto un ruolo determinate contro gli Armeni, ma soprattutto dopo che la Turchia ha acquistato dalla Russia, nel 2019, il sistema antimissilistico S-400 ignorando il parere contrario della inascoltata Nato. Tuttavia, nel quadro delle trasversalità equilibristiche, la Turchia ha irritato il Cremlino quando i droni Bayraktar 2 sono stati utilizzati dall’Ucraina, nell’ottobre 2021, durante un attacco contro i separatisti del Donbass. Tale azione è stata deprecata dal presidente russo che lo ha condotto ad annullare la sua visita in Turchia prevista due mesi dopo.

Comunque, giovedì 10 marzo nella località turistica di Antalya i ministri degli Esteri della Russia e dell’Ucraina, Sergej Lavrov e Dmytro Kuleba, si sono incontrati, ma come era previsto non hanno portato in Patria nessun risultato. Ciononostante, questi colloqui – come da “prassi” – se sono apparentemente falliti, hanno tuttavia preso “tempo diplomatico”. Un incontro gelido, durato un’ora e mezzo, dove i due ministri non si sono stretti la mano. Intanto la guerra è entrata nella sua terza settimana. Chiaramente nessuna comunicazione congiunta; Lavrov ha riferito che il suo Paese “non aveva invaso l’Ucraina” e che l’ospedale di Mariupol, bombardato il giovedì passato dai russi, ospitava “il Battaglione Azov e altri soldati”; un modo, questo, per riconoscere la natura deliberata dell’attacco aereo. Mosca, ha proseguito Lavrov, “non ha mai voluto la guerra e cerca di porre fine all’attuale conflitto”, ma ha spiegato che “i contatti devono avere un valore aggiunto”, ossia la resa dell’Ucraina.

Per contro, Kuleba ha detto che Lavrov ha sostenuto un aspetto: l’aggressione russa continuerà fino alla capitolazione dell’Ucraina. Inoltre, ha evidenziato: “Non possiamo fermare la guerra, se il Paese aggressore non vuole farlo”. Un fallimento per tutti? No. Infatti Erdogan, nella sua figura di mediatore neutrale nel conflitto, sta anche cercando di incollare i frammenti del suo rapporto danneggiato con i suoi alleati tradizionali, molto irritati dalla sua salvifica alleanza con la Russia. Lo spazio di manovra geopolitica di Erdogan è stretto, dovendo architettare manovre sia con la Russia che con la Nato e cercando di essere filo-Kiev senza essere anti-Mosca.

Aggiornato il 15 marzo 2022 alle ore 09:42