Cina-Africa: un non colonialismo

La lettura generalista che viene data ai rapporti tra la Cina e l’Africa si poggia solitamente su questioni legate all’economia, agli investimenti e alle donazioni; ma la centenaria penetrazione cinese nei governi africani è prima di tutto ideologica e politica. Dopo il Forum di Dakar, tenutosi dal 28 al 30 novembre 2021 e incentrato sulla cooperazione sino-africana (Focac), è affiorata la fine “dell’idillio economico” che dopo decenni di finanziamenti e donazioni illimitati vede ora la Cina “tirare le corde della borsa”. Pechino il più generoso partner degli africani, dopo il Vertice di Dakar ha tracciato un percorso “alternativo” che vede programmato un importante ridimensionamento dei finanziamenti cinesi. Questa contrazione dei “prestiti” è motivata dal limitato impatto che hanno avuto tali operazioni finanziarie sullo sviluppo del Continente. Infatti, i governati africani hanno raggiunto la consapevolezza che la gran massa di denaro sbloccato da Pechino in Africa, in realtà anche piuttosto costoso sia in termini di tassi di interesse che in termini di rimborso, eccessivamente brevi, non è stato sufficiente a provocare quel positivo shock economico atteso. Inoltre, i gestori delle strategie cinesi in Africa hanno ammesso di non aver svolto gli studi di redditività necessari per rendere i progetti completamente redditizi e fattibili. E ciò li ha costretti ad assumere una notevole rigidità nell'allocazione dei crediti. Tale carenza analitica era stata manifestata, non direttamente ai cinesi ma con osservazioni generiche, dal Fondo monetario internazionale (Fmi), e dalla Banca mondiale che da tempo hanno frenato e ponderato molto sui finanziamenti di progetti in Africa.

Il rapporto cino-africano, che ha visto una grande accelerazione negli ultimi 20 anni, è sia economico che politico. Come sappiamo la Cina è diventata il primo partner economico del Continente africano, ma è anche un donatore fondamentale, sicuramente il primo, ma soprattutto ha assunto il ruolo di “socia negli affari africani. Quindi la “dimensione politica” del rapporto tra Cina e Africa è un altro aspetto molto importante di questo “abbraccio” che ha radici ideologico-culturali, che affondano temporalmente a un secolo fa. Questa “dimensione politica” si esprime con la complicità e con l’allineamento di numerosi Stati africani con la posizione che la Cina sostiene nei confronti dell’Onu e in particolare con i suoi cinque organi. Questa “strategia politica” cinese si è costruita sia tramite i grandi investimenti fatti sul Continente africano, sia con dettagli economici, come l’impiego di minori quote di denaro, tramite le quali compra o vende – un mercato più pratico – che le permette di fidelizzare una clientela da cui raccoglie i “dividendi” alle Nazioni Unite in termini di voti all’Assemblea generale.

Con questa strategia, che ha una apparente trasparenza basata su una non apparente invadenza, e sulla fiducia, il famoso soft power cinese, la Cina è riuscita a ottenere la guida di quattro agenzie delle Nazioni Unite: l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (Icao), l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), e l’Organizzazione per lo sviluppo industriale (Unido). Un successo politico-diplomatico, mai ottenuto né dai politici e burocrati statunitensi, né dagli omologhi europei, che non hanno mai guidato così tante agenzie contemporaneamente. L’abilità cinese è oltremodo efficace perché ha ottenuto tali posizioni, grazie al supporto africano “guadagnato” anche a buon mercato. Questo supporto prevede, quindi, il voto sistematico per i candidati cinesi quando si tratta di eleggere i vertici negli organi delle Nazioni Unite. Ma il supporto funziona anche al contrario, infatti la Cina sostiene anche con il suo voto i candidati africani in questi organismi.

Tuttavia, immaginare che una partnership possa essere vantaggiosa per tutti, è una considerazione semplicistica. Infatti, gli africani hanno finito per rendersi conto che la “partnership vantaggiosa per tutti”, tanto propagandata dalla Cina, non era altro che un patto quantomeno ambiguo. Ora questi Stati africani devono misurarsi con un nuovo potere, interno e trasversale, che non ha più né modestia né difficoltà a imporsi sulla scena internazionale, anche grazie all’Africa.

Quale lezione per il Continente? Ì Come può l’Africa uscire dall’abbraccio, un po’ troppo stretto, del colosso cinese? La soluzione può essere quella di diversificare i partner che operano nel Continente; magari rivolgendosi all’Europa, senza preconcetti dovuti al colonialismo, cosa improbabile, ma anche all’America Latina, all’Asia meridionale, oppure all’India, già impegnata in Africa o al Giappone. I Paesi del Medio e Vicino Oriente potrebbero essere considerati, ma con prudenza, visto il modus operandi della Turchia. Comunque, per gli Stati africani la dimensione multilaterale deve assumere il suo pieno significato. È più facile negoziare con un colosso come la Cina se si hanno più realtà con cui interloquire.

Aggiornato il 07 marzo 2022 alle ore 10:37