Fermare Putin, “whatever it takes”

Sono stati giorni convulsi e carichi di preoccupazione. Tutti abbiamo assistito con apprensione all’evolversi della situazione bellica in Ucraina. Dopo un primo momento in cui sembrava che Vladimir Putin l’avrebbe avuta vinta senza troppa fatica, anche grazie all’immobilismo e alla timidezza dell’Occidente, in una seconda fase gli eventi hanno preso una piega decisamente inaspettata. Il mondo intero è stato scosso da una ondata di indignazione che pochi si sarebbero aspettati: in tutte le maggiori città occidentali si sono susseguite ininterrotte le manifestazioni di solidarietà nei confronti dell’Ucraina. L’Occidente è riuscito a vincere le sue insicurezze e a prendere una posizione chiara, comminando sanzioni senza precedenti alla Russia, che stanno già mettendo in affanno l’economia della Federazione. Il rublo è crollato del venti per cento; la Borsa di Mosca è chiusa; le principali agenzie di rating rivedono drasticamente a ribasso le stime di crescita del Paese, il cui Pil (stima Jp Morgan) è destinato a scendere almeno del 3,5 per cento; le banche russe iniziano ad avere problemi di liquidità, anche a causa della corsa agli sportelli delle ultime ore; le previsioni ci dicono che, senza le relazioni commerciali con l’Occidente, la Russia non potrebbe sopravvivere per più di un quadrimestre; la Banca centrale russa ha aumentato i tassi d’interesse del 10,5 per cento.

Particolarmente, l’Unione europea ha dimostrato molto più coraggio di quello che ci si sarebbe aspettato: dall’esclusione della maggior parte delle banche russe dal sistema Swift (che permette le transazioni internazionali) fino alla chiusura dei nostri cieli agli aerei della Federazione; dal congelamento dei beni di Putin e degli oligarchi fino all’esclusione dai mercati finanziari europei; dal ridimensionamento delle esportazioni di materiale tecnologico (di cui la Russia ha estremo bisogno) fino alla decisione di inviare armi, mezzi, viveri e medicinali alle truppe ucraine. Non sarà un vero e proprio intervento militare, ma è un passo importante e significativo, probabilmente il più dirompente perché, decidendo di inviare armi ed equipaggiamenti all’esercito ucraino, l’Europa ha cercato di mandare un chiaro segnale a entrambe le parti. All’Ucraina ha voluto dire: non sei sola, noi ci siamo. Alla Russia: noi democrazie liberali europee non siamo imbelli come pensavi, ma siamo capaci di reagire con forza, se le circostanze lo richiedono. Ma soprattutto, è la prima volta che l’Unione europea adotta una decisione strategico-militare concordata, che si spera sia la premessa per la costituzione di un Esercito europeo e per la messa a punto di una politica di sicurezza comune.

A ciò, si aggiunge la dichiarazione della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per la quale il posto dell’Ucraina è nell’Unione e che si è detta pronta a lavorare per una procedura di ammissione rapida e semplificata, sebbene l’Alto Rappresentante, Josep Borrell, abbia adottato un atteggiamento più cauto. Non è stato inflitto alla Russia la “regina” di tutte le sanzioni, ossia l’interruzione delle forniture di gas e petrolio, che portano nelle casse della Federazione centinaia di miliardi di euro. Ma l’intenzione sembra essere quella, se i vari governi – tra cui quello italiano – stanno studiando dei piani di approvvigionamento alternativi, tra cui quello di trovare altri canali per il gas e di riaprire le centrali a carbone.

L’eroismo degli ucraini, poi, è qualcosa che ha semplicemente sorpreso il mondo: è stata una vera e propria lezione di patriottismo e di amore per la libertà, declinata non solo nella sua dimensione individuale, ma comunitaria. Difficilmente l’individuo può essere libero se non lo è il contesto socio-politico in cui si muove, pensa e agisce. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si è dimostrato un vero padre per il suo popolo: rifiutando l’offerta degli americani di un trasferimento sicuro negli Stati Uniti, ha indossato la tuta mimetica ed è rimasto a Kiev, sotto i bombardamenti russi, esponendosi al rischio di farsi uccidere, assieme alla sua famiglia, dai sicari inviati dal Cremlino. Non si è lasciato intimidire il presidente ucraino: ha chiamato il suo popolo alla resistenza contro l’invasore e il suo popolo ha risposto. La gente comune ha imbracciato il fucile e costruito bombe molotov per assistere le truppe regolari nel contrasto all’invasione russa. Con risultati notevoli, bisogna dire.

I russi si aspettavano di vincere a mani basse: secondo Putin sarebbe stata una “blitzkrieg”, una guerra lampo destinata a durare solo qualche ora. Pensava che l’esercito ucraino avrebbe deposto le armi o si sarebbe rivoltato contro Zelensky. Pensava che l’Occidente sarebbe rimasto a guardare, avendo troppo da perdere, soprattutto in termini di approvvigionamento energetico e di scambi economici. Pensava che sarebbe riuscito a intimidire la popolazione e a instaurare un Governo fantoccio simile a quello di Aljaksandr Lukashenko in Bielorussia. Ma gli ucraini hanno resistito e, grazie alla straordinaria forza d’animo e al loro amore per la libertà e per la loro terra, sono riusciti a bloccare un’avanzata russa che, nelle prime ore, sembrava inarrestabile. E l’Occidente, dal canto suo, ha mostrato di saper correre dei rischi e di saper reagire, anche a costo di grandi sacrifici, per una giusta causa e per i suoi valori.

Anche il mondo dello sport, dell’arte e dell’informatica si ribella alla violenza del Cremlino, con la Russia esclusa dalle competizioni calcistiche, dai mondiali e dall’Eurovision Festival, con le principali squadre del mondo che si rifiutano di giocare in Russia e con la dichiarazione di “cyber-guerra” da parte di Anonymous, il collettivo di hacker che ha già bloccato i siti del Cremlino e del ministero della Difesa russo. Insomma, la Federazione è letteralmente accerchiata. Persino in Russia la situazione è esplosiva. Nelle principali città, a partire da Mosca e da San Pietroburgo, continuano le manifestazioni contro la guerra, prontamente represse dalle autorità: si parla di circa seimila arresti nel giro di quattro giorni.

Putin è chiaramente in difficoltà. Pur non avendo, come i leader occidentali, il problema di rispondere all’opinione pubblica (a lui basta reprimere e censurare), deve comunque fare i conti con la crescente opposizione interna, con la sfiducia sempre più diffusa nei riguardi della classe dirigente e col timore che le sanzioni potrebbero avere pesanti ripercussioni sulla vita dei cittadini comuni, con tutti i disordini e il malcontento che ne deriverebbero. A ciò si aggiunge la prospettiva di veder crollare il sistema di potere costruito in vent’anni a causa di questo suo atto di prepotenza. L’appoggio degli oligarchi, duramente colpiti nei loro interessi, potrebbe venire meno. Per quanto continui a ostentare sicurezza, lo zar sa benissimo che le sanzioni piegheranno finanziariamente la sua nazione; sa che quell’Occidente che egli pensava debole e imbelle è invece presente e deciso ad arginare la sua espansione; sa che il suo popolo non tollererà una guerra di logoramento dalla quale potrebbe anche uscire sconfitto: la guerra in Ucraina potrebbe diventare un pantano per le forze russe, che sono già in affanno e demoralizzate, stante la resistenza ucraina e le risorse, come carburante e cibo, che già iniziano a scarseggiare.

Il fatto che abbia ordinato di mettere in allerta il sistema di difesa nucleare non è affatto un segno di forza, ma di debolezza: sta cercando – in maniera abbastanza grottesca e grossolana – di intimorire quell’Occidente che ha teso la mano all’Ucraina e che sta ostacolando i suoi piani, esponendoli al rischio di fallimento. Putin semplicemente non può mettere mano all’arsenale atomico, perché questo infliggerebbe sì una grave ferita all’Occidente, ma distruggerebbe la Russia: perché anche la Nato dispone di armi nucleari (più della Russia) e, come dichiarato dal Pentagono, gli Stati Uniti sono perfettamente in grado di difendere se stessi e i loro alleati anche da questo genere di minacce.

Ecco perché alla fine si è giunti al tentativo di negoziare con l’Ucraina. Ma questi negoziati hanno poche probabilità di riuscita: se l’Ucraina rivendica l’integrità territoriale e l’indipendenza che dovrebbe portarla – come richiesto da Zelensky con la firma di una richiesta ufficiale – tra le braccia dell’Unione europea e, successivamente, della Nato, la Russia insiste sul riconoscimento della Crimea e delle autoproclamate Repubbliche popolari filo-russe del Donbass, così come sulla neutralità dell’Ucraina. Per ora il confronto è rimandato: se il Cremlino sostiene – non si sa a che titolo – che ci siano le basi per un’intesa, questa non sembra essere la percezione del Governo ucraino, che invece denuncia la faziosità dei russi. Nel frattempo, continuano i bombardamenti: un segnale tutt’altro che incoraggiante. Che i russi vogliano esibire tutto il loro potenziale militare per mettere ancora più alle strette gli ucraini e costringerli ad accettare le loro condizioni?

Il presidente Usa, Joe Biden, ha dichiarato che dopo le sanzioni c’è solo lo scenario di una Terza guerra mondiale. Per quanto tale prospettiva possa apparire terrorizzante, è comunque una possibilità che siamo obbligati a considerare. Se le sanzioni e la distruzione economico-finanziaria della Russia non dovessero bastare a convincere Putin, se non si riuscirà a trovare un accordo e se gli aiuti militari euro-americani non dovessero essere sufficienti, allora sarà impossibile, per le forze Nato, non entrare in guerra. È sarà una guerra che dovremo combattere. Per una questione di principio e per una pratica. Quella di principio è che non si può permettere a un despota di fare quello che vuole: le democrazie liberali hanno il dovere di assistersi e aiutarsi reciprocamente; il mondo libero deve difendere la libertà ovunque venga minacciata e cercare di instaurarla ovunque sia assente e sussistano le giuste condizioni. Quella pratica è che, se lasciassimo prendere l’Ucraina o una sua parte a Putin, o se gli lasciassimo instaurare un Governo fantoccio, manderemmo un sostanziale segnale di via libera ai cinesi per Taiwan e lasceremmo che si verificasse un pericoloso precedente per le due autocrazie che, a quel punto, potrebbero occupare altre aree limitrofe e cercare di creare una loro sfera di influenza geopolitica, senza contare che ciò rimetterebbe in discussione l’ordine internazionale. E questo non possiamo permetterlo.

In questi giorni, molti imputano la responsabilità di questa guerra alla Nato e alla sua politica estera aggressiva o comunque minacciosa nei riguardi della Russia: secondo costoro Putin, vedendosi accerchiato, ha reagito. Egli starebbe davvero cercando di difendere la sicurezza del suo Paese. L’unico errore commesso dalla Nato in questi anni è stato quello di sottovalutare la minaccia russa, lasciando che crescesse e si riarmasse; è stato fatto credere che potesse, in qualche modo, occidentalizzarsi e che si potesse favorire la sua democratizzazione attraverso il commercio e il suo coinvolgimento nelle dinamiche politiche mondiali. Il cosiddetto “spirito di Pratica di Mare”, che pure viene tanto decantato, soprattutto da una parte della destra italiana, che inaugurò un periodo di collaborazione tra Russia e Occidente, è il vero responsabile di questa situazione. Il serpente del Cremlino fece credere l’Occidente circa la buona fede della Russia. E, mentre lui stringeva la mano a George Walker Bush, preparava la guerra. Fidarsi di Putin fu una ingenuità, come fu una ingenuità puntare solo sulla Russia per le forniture energetiche: dabbenaggine che ora paghiamo cara. Lo stesso errore lo abbiamo commesso con la Cina e, più in là, pagheremo le conseguenze anche di questo.

Non avremmo dovuto lasciare che Russia e Cina crescessero e si rafforzassero, al punto da arrivare a costituire le più grandi minacce alla nostra sicurezza e alla nostra libertà. La guerra in Ucraina ci serva da lezione e faccia comprendere alle democrazie occidentali che la diplomazia ha i suoi limiti, che non esistono solo l’economia e il commercio e che non tutti hanno il nostro stesso interesse alla pace: esiste anche la guerra e a essa si deve essere sempre pronti, se si vuole la pace e se si vuole essere sicuri di conservare la propria libertà da ogni minaccia. Ma soprattutto, che ci aiuti a comprendere che è inutile cercare di dialogare o di intessere relazioni pacifiche con le autocrazie e con quella parte di mondo che vive di violenza e di sopraffazione, dalle quali bisogna proteggersi e con cui bisogna essere sempre pronti allo scontro.

Ora, il nostro impegno deve essere quello di fermare Putin, a qualunque costo: finanziariamente siamo a buon punto, ma è necessario fare di più. Scendere in guerra? Si tratta di una opzione da considerare. Di certo, si deve procedere con l’ingresso “rapido” dell’Ucraina nell’Unione europea perché, all’isolamento finanziario, deve fare da corollario il ridimensionamento geopolitico. La Russia deve essere depotenziata, economicamente e politicamente, in quanto minaccia alla stabilità mondiale e al mondo libero. Proprio come la Cina, della quale ci si dovrà pur occupare a tempo debito.

Aggiornato il 02 marzo 2022 alle ore 10:24