L’inciampo delle sanzioni: la punizione ragionevole

Avete presente le “Pietre di inciampo”? Quelle che sui marciapiedi delle strade italiane ricordano che lì, un giorno, oltre quel portone e in quel palazzo così segnalati vivevano ebrei della Shoah che sono stati sterminati nei campi? Ebbene, non vorremmo che un giorno, per altre e assai diverse vittime civili (imprenditori, semplici cittadini, disoccupati), ci trovassimo e evocare le... “Sanzioni d’inciampo”. Per capirci: a seguito del dramma ucraino e della risposta mirata da dare a Vladimir Putin (senza ricorrere alla forza armata, per nostra scelta!), le ricadute sul nostro versante delle sanzioni ipotizzate per punire la Russia di Putin e i suoi gerarchi rischiano di inverare il noto paradosso di colui che si amputa le mani per non commettere atti impuri. Almeno, tali appaiono nelle loro controindicazioni le misure già adottate o solo ventilate, come quella di estromettere l’economia finanziaria russa dal sistema interbancario di pagamenti, basato sulla piattaforma internazionale Swift; o di chiudere (decisione vagamente suicida) i rubinetti del gas russo dal lato di chi quelle forniture le riceve (e non saprebbe come pagarle, una volta rimossa la piattaforma Swift!), avendone necessità vitale per il sostegno energetico alla propria industria nazionale e per gli usi domestici di decine di milioni di famiglie. Non proprio un capolavoro di logica, come si vede. Infatti, in quest’ultimo caso, il ponte aereo di aiuti umanitari occidentale che soccorse Berlino Ovest all’epoca della costruzione del Muro non potrebbe esser ripetuto con il gas liquido, inviato per nave dall’America.

Non a causa delle quantità, verosimilmente, ma in ragione delle infrastrutture relative che mancano, come gli impianti di degassificazione e le attrezzature portuali che hanno tempi non brevi per la loro realizzazione; senza stare poi a parlare del raddoppio dei costi e dei rischi per il trasporto su strada. Ma, poi, sono davvero incisive le sanzioni preventivate per il regime di Putin? Persino The Guardian, nella sua edizione del 24 febbraio, ne dubita. Le ragioni in questo senso sono molteplici. La prima annotazione riguarda il Pil della Russia che risulta inferiore a quello dell’Italia, mentre il reddito pro-capite dei cittadini russi (in perenne austerity) è pari a un quarto di quello degli inglesi. Dopo la devastante recessione e la crisi finanziaria susseguitesi dal 1991 fino al 1998, la Russia ha iniziato una lenta risalita nel primo decennio di questo secolo grazie al notevole rialzo delle quotazioni del gas e del petrolio, con una crescita economica del 7 per cento su base annua, precipitata al 2 per cento per tutto il periodo che va dal 2008 a oggi.

La ragione? Dal punto di vista del funzionamento dell’apparato produttivo e dell’imprenditoria, il sistema economico non è molto cambiato dagli anni dell’Urss della pianificazione centralizzata. La Russia, pur essendo molto forte e avanzata nell’industria degli armamenti, dell’aerospaziale e della produzione energetica, non rappresenta un mercato di rilievo per la maggior parte dei Paesi che aderiscono al Wto (World trade organization), né tantomeno ha un valore strategico all’interno delle catene di valore mondiali, come invece accade tra Occidente e Cina. La Germania da sola, per esempio, esporta molto di più in Polonia rispetto alla Russia.

Pertanto, anche l’esclusione di Mosca dallo Swift comporterebbe molti più svantaggi ai sanzionatori che al sanzionato. Putin, infatti, a partire dall’invasione della Crimea nel 2014, ha provveduto a isolare la Russia dall’Occidente per stemperare l’effetto delle sanzioni dell’epoca, che avevano embargato le esportazioni dei più importanti prodotti alimentari. Per rimediare, fin da allora la Russia ha sottoscritto accordi miliardari per la fornitura di gas siberiano alla Cina (accordandosi con Pechino per il pagamento in euro!), attraverso due gasdotti, Siberia 1 e 2, di cui il primo è già a regime dal 2019, mentre il secondo è in fase di avvio. Com’era prevedibile, con i soli introiti di gas e petrolio, Mosca ha accumulato 500 miliardi di dollari di riserve valutarie, anche grazie ai suoi livelli molto bassi di indebitamento pubblico, se confrontati agli standard internazionali. Quindi, la sua messa al bando, impedendole di scambiare i titoli del debito pubblico sul mercato londinese, avrebbe scarso effetto sulle sue capacità di indebitamento. Sulla guerra delle sanzioni, poi, Putin ha valide frecce al suo arco, dato che le sue forniture complessive all’Europa valgono il 40 per cento del suo fabbisogno di petrolio e carbone, e il 20 per cento per il gas. Per di più, Mosca è il principale esportare di fertilizzanti e di palladio, metallo quest’ultimo fondamentale nella produzione di autovetture.

Quindi, tutto condurrebbe a pensare che i pesi per far pendere la bilancia a favore dell’Occidente siano da ricercare da tutt’altra parte. Dove, quindi? Ma nel valore politico che Putin attribuisce al confronto paritario con Joe Biden e gli Usa, piuttosto che con la disunita e disastrata Europa (e ce la siamo meritata tutta la sua scarsa considerazione!). La Spada di Brenno del “No” all’Ucraina nella Nato non deriva, in buona sostanza, dalla minaccia strategica che questa rappresenta, perché c’è già la Polonia, tanto per dirne una, che ha enormi capacità di deterrenza in fatto di risposta a un attacco missilistico o via terra da parte dell’Armata Rossa. Perché, infatti, non ventilare lo stesso veto e minaccia all’epoca dell’adesione alla Nato degli ex Paesi socialisti che hanno aderito alla Unione europea? Se l’allargamento fosse avvenuto soltanto oggi, Putin avrebbe reagito come Adolf Hitler, invadendo Ungheria e Polonia? Davvero non contano nulla le immense risorse naturali dell’Ucraina, così come elencate dall’Opinione e assai poco sfruttate, a causa dell’arretratezza tecnologica di Kiev? Per contare davvero la Russia di Putin ha l’assoluta necessità di sedersi da pari a pari al tavolo negoziale con l’America e, come probabilmente si vedrà, questo vale la pena di una prova di forza contro Kiev, purché il blitzkrieg non si prolunghi oltre il mese di operazioni e non arrivino troppe bare di soldati di ritorno in Patria. E su questo, come in passato, anche oggi l’omertà del regime è totale e impenetrabile. Ma anche la “Guerra lampo” hitleriana non ha alcuna speranza di riproporsi, perché allora fu l’enorme sorpresa delle truppe corazzate a sbaragliare i generali nemici che venivano dalla guerra di trincea, mentre oggi le più sofisticate armi anticarro occidentali possono fermare a terra qualunque armata di tank.

Putin, del resto, ha sempre saputo che, per fondate ragioni (non ultima la sua arretratezza economica e lo stato non esaltante in cui versa l’esercito regolare ucraino) Kiev non sarebbe mai potuta entrare nella Nato in tempi brevi, e che mai e poi mai il presidente Volodymyr Zelensky avrebbe potuto accettare gli accordi di Minsk in versione russa. Infatti, se adeguandosi alla volontà di Mosca, Kiev avesse fatto le riforme costituzionali richieste, creando una federazione di Stati autonomi al suo interno, come il Donbass, avrebbe subito il potere di veto di questi ultimi per l’ingresso nella Ue e nella Nato. Nel frattempo, dal 2015, la Russia ha provveduto a russificare ulteriormente le province ucraine ribelli, sostenendo la creazione di un contingente di 40mila uomini armati e rilasciando ai separatisti centinaia di migliaia di passaporti russi, in modo da poter vantare, come oggi sta accadendo, di esser intervenuta militarmente per difendere dal genocidio nazista i suoi cittadini in pericolo!

Ma Putin non ha molto tempo per destituire Zelensky attraverso un colpo di Stato dei militari ucraini, in modo da insediare al suo posto un filorusso, dato che un’occupazione prolungata dell’intero territorio necessiterebbe di un contingente di 700mila uomini, che la Russia non si può permettere. Finirà presto, dunque. E Putin, c’è da temere, otterrà al tavolo della pace molte di quelle concessioni che pacificamente non avrebbe potuto conseguire. L’allerta nucleare è un’altra carta del poker Teresina, scoperta sul tavolo da Vlad the Mad, che però è solo un giocatore accanito. Ma ci vorrebbe un pokerista più furbo di lui per rovinarlo.

Aggiornato il 01 marzo 2022 alle ore 15:31