Vivere o morire per Kiev

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Quindi, vittorioso sui totalitarismi del XX secolo, l’Occidente si era illuso che la sua Pax non potesse essere messa mai più in discussione e, soprattutto, che mai e poi mai si sarebbero riaffacciate alla soglia della storia le guerre imperiali che avevano funestato i secoli XIX e XX, generando nel nostro stesso ventre molle ben due disastrose Guerre mondiali. Così, da bravi incoscienti, abbiamo giocato a Monopoli con i pezzetti residui dei Paesi socialisti europei dell’ex Patto di Varsavia, orientando le loro sorti future post-1991 sempre e soltanto in funzione antirussa. Se oggi l’Ucraina fosse già membro della Nato, si può stare sicurissimi che saremmo stati trascinati (anche a seguito del suo carattere ferocemente antirusso) in una Terza guerra mondiale. Dimenticandoci, come abbiamo fatto da trenta anni a questa parte, che la Grande Anima Slava ha cantato con noi nei momenti più bui della storia dell’Occidente, come accadde durante le feroci battaglie intercorse nei due conflitti bellici, fermando a Stalingrado le armate naziste per la vittoria finale su Adolf Hitler, e pagando per ciò stesso il prezzo di decine di milioni di vittime (6 milioni nella Prima e 30 milioni nella Seconda guerra mondiale).

L’abbiamo trovata accanto a noi, quell’Anima, anche quando l’Occidente ha subito l’attacco del terrorismo internazionale e fondamentalista: il mostro sanguinario dello Stato islamico è stato fermato e sconfitto anche grazie ai miliziani iraniani e all’intervento russo sui campi di battaglia siriani e iracheni. Ed è in quel contesto di ferocia gratuita che abbiamo trovato i russi nel nostro campo crociato a combattere, ancora una volta, il nemico comune del radicalismo islamico del Califfo di Mosul, mentre il politically correct e il #MeToo giravano vergognosamente lo sguardo dalla parte opposta, quando per mano degli uomini neri dell’Isis avvenivano gli orrendi massacri di civili innocenti e il genocidio delle ragazze e del popolo yazida, mentre le donne, tutte le donne, venivano segregate e ridotte in stato di schiavitù!

Ci hanno ospitati i russi sulle loro basi spaziali Mir e per primi hanno dimostrato all’umanità che si potevano spedire nella nostra stratosfera oggetti (Sputnik, 1957) costruiti dalla mano dell’uomo e, successivamente, mettere in orbita (Jurij Gagarin, 1961) un essere umano oltre i confini della Terra. Invece Noi, vincitori pro tempore della Guerra Fredda, abbiamo “volutamente” e con assoluta incoscienza deciso di umiliare quel che restava dell’Urss, rafforzando a Est un’Alleanza militare, la Nato, che aveva perduto con il suo nemico storico anche la sua ragion d’essere.

Ancora più incoscientemente, abbiamo deciso (Washington l’ha fatto, come al solito, al posto di tutti noi, Francia e Inghilterra mute e accondiscendenti come tutti gli altri Paesi europei non nuclearizzati!) di denunciare unilateralmente nel 2002 il Trattato Abm sui missili intercontinentali. Come se la (potenzialmente ricchissima!) Russia post-1991 non rappresentasse più un pericolo in tal senso, ritenendo la sua industria degli armamenti troppo disastrata per rappresentare in futuro una minaccia concreta per la nostra sicurezza. Nessuno, per scienza o incoscienza, ha mai voluto vedere ciò che il putinismo e l’insepolta questione della rinascita panrussa rappresentasse nel futuro dell’Europa continentale, non avendo appreso un bel nulla dalla lezione coloniale che nell’Ottocento ci condusse a umiliare la Cina con l’assurda Guerra dell’Oppio, di cui oggi paghiamo tutti i prezzi per la conseguente vendetta di Pechino sugli scenari geostrategici mondiali, dall’Africa al Mar Meridionale di Cina, e nella sfida (da Noi già perduta!) dei mercati globalizzati. Pechino come Mosca hanno piazzato i loro Cavalli di Troia all’interno del nostro sempre più avido mercantilismo, entrando con il nostro pieno consenso a fare parte come membro di pieno diritto degli scambi internazionali.

Non abbiamo, così, né voluto capire, né vedere che cosa l’una e l’altra stessero facendo dei loro immensi surplus commerciali, favoriti dalla vendita di energia e di merci a buon mercato sui mercati globali e occidentali, in particolare. Così, Russia e Cina si sono pesantemente riarmate: Mosca e Pechino, con un decimo del bilancio della spesa decennale per gli armamenti degli Stati Uniti hanno costruito, sperimentato e reso operative armi micidiali, come i missili ipersonici a testata ordinaria o nucleare, in grado di perforare qualunque difesa antimissile e di colpire e distruggere la rete di satelliti civili e militari posti in orbita nell’atmosfera terrestre. C’è da chiedersi: “E tutto ciò è accaduto a vantaggio di chi?”.

La questione ha diritto a due risposte sistemiche. La prima riguarda la perdita gravissima, dal punto di vista psicologico, di un nemico comune anti-occidentale come l’Urss che, per fortuna e per disgrazia, oggi abbiamo recuperato grazie all’invasione russa dell’Ucraina e alle mire imperialiste di Mosca, che noi non sappiamo, né intendiamo contrastare con la forza delle armi. Per cui Putin ha stravinto ancora una volta, creando ai suoi confini con le buone o con le cattive (come era del tutto previsto e scontato, vedi i numerosi editoriali apparsi in merito su L’Opinione, da due anni a questa parte!) altrettanti Stati-cuscinetto (Bielorussia, Donbass, parte degli Stan-States).

La seconda, è una risposta molto più dolorosa e, finora, inconfessabile, e riguarda proprio il ruolo egemone giocato perennemente in funzione prima antisovietica, e poi antirussa dopo il 1991, dagli Stati Uniti d’America che, fin dalla retorica reaganiana, si sono attribuiti (a ragione!) tutto il merito della vittoria nella Guerra Fredda che, poi, è solo una diretta conseguenza della Pax americana post-1945. Per gli Usa, quindi, l’eventuale ricongiunzione dell’immensa anima slava orientale con quella continentale dell’Unione europea ha sempre rappresentato una seria, micidiale minaccia alla sua egemonia e una potenziale, sicura sconfitta sul piano della supremazia tecnologica e dello sviluppo economico. E noi europei, guidati da leadership fin troppo asservite e accondiscendenti rispetto alla strategia egemonica mondiale di Washington, abbiamo lasciato che tutto ciò accadesse, per poi versare lacrime di coccodrillo sull’irruenta (ri)nascita delle iper-potenze di Cina e Russia.

Ipocritamente, all’epoca, abbiamo tenuto in vita la Nato (morta, come disse Emmanuel Macron, citandone “l’encefalogramma piatto”, sic!), giustificandola con la necessità di proteggere i confini a Sud dell’Europa, per tenere a bada la turbolenta regione mediorientale e la penisola iraniana che da sempre sfidano l’Occidente. Ma è davvero così? Questo quadro ha retto fino a un certo punto, quando con l’autosufficienza energetica dello shale oil ha avuto termine la secolare dipendenza degli Stati Uniti dalle forniture petrolifere del Golfo, che nel recente passato ha favorito la riemersione degli eterni conflitti armati tra sciismo e sunnismo, nonché di quelli intersunniti, che hanno prodotto in era moderna il conflitto Iran-Iraq (1980-1988), la prima Guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait (1990-91) e l’invasione americana anti-Saddam dell’Iraq nel 2003.

L’Europa, memore di quella sua tragica dipendenza dal petrolio mediorientale, aveva da allora accelerato la ricerca di forniture alternative, privilegiando le risorse di petrolio e di gas della rinascente Russia putiniana, senza stare lì a chiedersi quali fossero i disegni russi di rivincita storica, né come quelle immense risorse di denaro occidentale venissero effettivamente impiegate e utilizzate. Come già detto e previsto, Mosca accetterà la mediazione internazionale, tenendo ben strette tutte le sue attuali conquiste sul campo. E noi cederemo, come al solito perché non sappiamo né vivere né morire per Kiev. Ma, almeno, vogliamo fin da ora elaborare la bozza di un solenne Trattato di non aggressione tra noi e loro?

Aggiornato il 25 febbraio 2022 alle ore 11:34