La visita del presidente del Consiglio italiano a Parigi non era soltanto mirata ad agganciare le iniziative italiane sull'Ucraina con quelle franco-tedesche o a discutere dell'interscambio tra i due Paesi. Uno dei temi portanti dell'incontro è stato la situazione nel Sahel, in particolare del Mali, epicentro dell’avanzata jihadista nell’Africa nordoccidentale.
Come si sa, la Francia ha nel Sahel molti interessi economici (uranio, terre rare, idrocarburi) e commerciali, così da essere considerato una potenza neo-coloniale, il che aiuta l'avanzata islamista e quella economica della Cina. Gli interessi geopolitici francesi hanno però importanza anche per l'Europa, e ciò ha giustificato l’intervento europeo in Mali di truppe armate e della missione Eutm della Unione, che consiste nel supporto e addestramento delle truppe maliane in funzione antiterrorista. L’Italia partecipa a Eutm dal 2013, con un nucleo di istruttori dell’Esercito.
“L’avanzata islamista nel Mali e le stragi conseguenti hanno richiesto l’intervento di quattro missioni militari: quella francese Barkhane (terminata nel giugno 2021) quella Onu Minusma (13.000 uomini), Eutm, e infine Takuba, interforze europea a guida francese che riunisce diversi corpi speciali nelle aree di confine tra Mali, Niger e Burkina Faso, e che prevedeva finora una maggiore presenza italiana. Il golpe militare del 2021, che ha ripetuto dopo soli 12 mesi un altro golpe, ha segnato il punto di non ritorno per la presenza europea ed occidentale nel Mali. Il nuovo Governo si è progressivamente smarcato dalla tutela francese, e il 31 gennaio scorso i militari al potere hanno annunciato l’espulsione dell’ambasciatore francese”.
Parigi ha da subito diffidato dei golpisti dello scorso anno. La cosa grave è che la politica ha aggravato – anziché ricucire – i rapporti. L’ultima l’ha combinata a gennaio il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, il quale ha definito “illegittima” la giunta militare che governa a Bamako , la capitale che presto raggiungerà i tre milioni di abitanti. I militari hanno definito “ostili e oltraggiose” le dichiarazioni di Le Drian e hanno avviato la procedura di espulsione dell'ambasciatore francese.
A questo punto è partita la sindrome afghano-bideniana da Emmanuel Macron, alle prese con le elezioni presidenziali: meglio una parte ritirata che una sconfitta diplomatica (anche sul campo le missioni occidentali non hanno ottenuto molto). Si aggiunga che il Burkina Faso ha vissuto un ennesimo golpe appena un mese fa e il quadro è abbastanza del chiaro: gli africani della fascia del Sahel non credono più che le forze a guida francese possono anche impedire l’avanzata islamista.
L’esempio lampante del cambio di partenariato da parte delle nazioni africane sta tutto nella decisione dei golpisti del Mali di sostituire i militari francesi-europei con i mercenari del gruppo Wagner (in realtà si tratta di un corpo “ibrido” legato ai Servizi segreti russi Gru). Il cambio di partner potrebbe riguardare anche altre nazioni come la Costa d’Avorio, il Togo e il Benin, dove comunque la Francia manterrà una presenza armata, come ha detto Emmanuel Macron in una dichiarazione dopo la cena di lavoro all’Eliseo cui ha partecipato il nostro premier Mario Draghi.
Macron comunque non fa una bella figura quando aggiunge: “Non possiamo essere più coinvolti militarmente con un Governo de facto col quale non condividiamo strategia e obiettivi”. Era preferibile spiegare tutto il contesto, che non riguarda solo il Mali. In tutto il Sahel la Francia impiega circa 5mila uomini. L’arrivo di militari russi nel Mali (dopo la Libia ) sarà seguito dalla penetrazione economica e dal soft power geopolitico sino-russo? Ormai in tutto il mondo si gioca a Risiko: l’importante è conquistare e mantenere il maggior numero possibile di territori.
Aggiornato il 18 febbraio 2022 alle ore 15:19