Ucraina: Occidente vs Russia, al massimo una surroga di guerra

La crisi ucraina è l’ennesima dimostrazione che le “Comunità internazionali” hanno ottenuto più fallimenti che successi nella loro opera di “quietare il pianeta”. Non indugiando su concetti di valore socio-antropologico riguardanti la guerra, intesa come fenomeno di massa, e il suo essere fisiologica, richiamando le teorie di Gaston Bouthoul, è evidente che spesso un periodo di stabilità globale della società si basa molto sugli effetti post-bellici.

La “questione ucraina” è un lungo gioco di potere che affonda nella Storia più profonda; il Rus di Kiev, la prima organizzazione statale del popolo russo, nasce alla fine del IX secolo, quasi duecento anni prima di Mosca (1147). Da lì scaturì una interessante evoluzione storica che ha creato divisioni basate anche “sull’orgoglio dell’origine”. Ovviamente la storia dell’Ucraina e della Russia è ben nota, fatto sta che ancora oggi dire, in alcuni contesti, che i primi russi furono di Kiev, desta tormento e contrasti. Adesso a poche ore dalla promessa russa di riprendersi l’ex Repubblica sovietica, si svela la grande debolezza dei negoziatori occidentali, che vede Usa ed Europa tentare un dialogo con Vladimir Putin, e gli stessi fare sgomberare dall’Ucraina i propri connazionali, sconfortando profondamente gli ucraini.

Negli stretti colloqui tra le diplomazie occidentali e quelle russe, tra esortazioni alla prudenza e speranze di ravvedimenti, scaturiscono le monotone minacce di sanzioni verso la Russia. Ma come già scritto in altre occasioni, queste sanzioni sono puro masochismo, corroborato da un tragico autolesionismo economico. Infatti, sabato 12 febbraio la Russia aveva schernito i rischi delle sanzioni occidentali in caso di invasione dell’Ucraina. Così l’ambasciatore russo in Svezia, Viktor Tatarintsev, in un’intervista trasmessa sabato scorso sul sito web del quotidiano svedese Aftonbladet, si è pronunciato dicendo: “Scusatemi per l’espressione, ma non ce ne frega niente di tutte le loro sanzioni”. E ha continuato: “Ci sono già state imposte così tante sanzioni e in un certo senso hanno avuto effetti positivi sulla nostra economia e sulla nostra agricoltura”.

Colloqui, o meno, Washington afferma di temere una “imminente” invasione, facendo presente che Mosca ha ammassato più di centomila soldati vicino al confine ucraino e ha appena iniziato manovre militari nel Mar Nero e in Bielorussia, circondando di fatto l’Ucraina. Ricordo che Mosca ha già annesso la Crimea nel 2014, e condiziona una riduzione dell’escalation su una serie di richieste, tra queste l’assicurazione che Kiev non aderirà mai all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato), una condizione che gli occidentali apparentemente rifiutano. A tal proposito il memorandum di Bucarest, del 2008, chiarisce che Georgia e Ucraina saranno membri della Nato, ma il documento ufficiale non è mai stato ratificato e probabilmente ci vorranno lunghi tempi per la sua ratifica, se mai ci sarà.

Nonostante che questi “giochi politici” di promesse e attese siano conformi alle normali dinamiche geostrategiche, la crisi russo-ucraina si basa proprio sul significativo aumento della cooperazione militare con l’Ucraina da parte dell’Occidente ma soprattutto degli Stati Uniti, ma anche della Turchia. Come già scritto sulla “questione del gas” tra Germania e Russia, riferito al Nord Stream 2, dall’annessione della Crimea a Mosca, la Germania è il Paese che ha fornito all’Ucraina il più significativo aiuto finanziario, con due miliardi di euro, a cui si aggiunge una linea di credito di 500 milioni di euro, di cui circa due terzi sono stati già utilizzati.

Gli aiuti dell’Unione europea sono in aggiunta ai sostegni tedeschi, tanto per riflettere sulle “politiche comuni”. Da parte britannica, il segretario di Stato alla Difesa, Ben Wallace, ha affermato che c’è in Ucraina “profumo di Monaco nell’aria”, in riferimento alla Conferenza di Monaco del 1938 con la Germania nazista, quando Regno Unito e Francia cedettero alle mire naziste sulla regione dei Sudeti in Cecoslovacchia, con la speranza, poi delusa, di scongiurare la guerra. Di fronte a questa minaccia che vede l’esercito russo ammassato ai confini ucraini, aumentano gli appelli per incoraggiare i cittadini stranieri a lasciare l’ex Repubblica sovietica. Venerdì 11 febbraio gli Stati Uniti sono stati i primi a fare il grande passo del ritiro dei propri connazionali; oltre al Regno Unito, da allora almeno trenta paesi li hanno imitati, tra cui Germania, Canada, Paesi Bassi, Giappone, Israele, Belgio, Norvegia, Finlandia, Kuwait, Italia e persino Arabia Saudita, lasciando la tanto cara Ucraina in una sensazione di abbandono.

Ma se una guerra scoppierà che tipo di conflitto potrà essere? Vorrei sintetizzare le “regole della Guerra”, ricordando le teorie dell’ufficiale prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831), le quali tracciano i contorni della definizione della Guerra in modo inequivocabile. Tra esse quelle che chiariscono l’impegno di uno Stato “la guerra è l’impiego illimitato della forza bruta”; “la guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà”, non ultimo “lo scopo dell’atto di guerra è disarmare l’avversario”.

Ora sapendo che la Russia ha ufficialmente quasi settemila ordigni nucleari, che gli Stati Uniti ne hanno poco meno, considerando che anche Gran Bretagna, Francia, Israele, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord, hanno nel loro arsenale tali armi, la regola che nella guerra si deve applicare “un impiego illimitato della forza bruta” chiaramente, a meno che non si voglia l’estinzione del pianeta, non verrà utilizzata. Quindi una guerra fatta con armi convenzionali, droni, bombardieri, carri armati ed altro, oggi non produrrebbe gli altri effetti, “costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà” e tanto meno “disarmare l’avversario”, rendendo il conflitto solo una “prova muscolare” bagnata con il sangue dei civili e dei soldati delle “trincee”, una inutile tragica “surroga della Guerra”.

Ricordando ancora Clausewitz: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.

Aggiornato il 15 febbraio 2022 alle ore 12:21