Per vivere civilmente in pace abbiamo bisogno di nuove pangee transcontinentali, che elevino il dialogo e la normatività a strumenti idonei a tenerci stretto il diritto ad una vita di pace e sviluppo. Possiamo pensare di strutturare un nuovo fronte di difesa e lotta contro il terrorismo (che si autodefinisce) islamico, per strappare l’Occidente e non solo da un triste destino di normalizzazione del terrore random?
Lo dobbiamo anche a tutte quelle persone musulmane pacifiche e perbene che vivono in Europa, studiando e lavorando, nonché vivendo civilmente le proprie identità fideistiche e cittadine. Il terrorismo islamico o nazismo islamico va contrastato non solo per la pace dei laicisti e dei cristiani e di tutti coloro che hanno un credo diverso da quello islamico. Il terrorismo nazislamico va contrastato per la civile e serena vita di tutti quei pacifici musulmani che dal terrorismo e dal fondamentalismo si sentono offesi e messi in pericolo, anche per la paura di non esser capiti ed esser messi in un unico calderone islamico dalle false banalità fobiche del senso comune.
L’Europa, se vuole essere davvero unita, non dovrebbe rimandare l’idea pragmatica di federarsi per questa lotta comune: contrastare il terrorismo in generale e quello islamico in particolare, dati i tanti recenti attentati e le troppe stragi che sconvolgono ogni volta i territori europei. Federarsi adeguatamente e proporzionalmente per questa lotta morale e materiale a tutela della pace civile nonché della vita, in realtà, comporta un piccolo passo in avanti, un passo federale senza retoriche. Servirebbe un esercito europeo federale che si specializzi nel contrasto dei fenomeni terroristici vaganti e capziosi, come quelli del nazismo islamico combattente.
Il problema delle stragi terroristiche firmate dal fondamentalismo islamico che si serve delle sue imprevedibili cellule, in Africa, è un problema tragico. Negli ultimi tempi la minaccia arriva nelle terre europee, e non possiamo aspettare i prossimi morti, i prossimi feriti, i prossimi “mai più” istituzionali e mediatici. Dobbiamo intervenire anche istituendo un esercito europeo federale in funzione antiterroristica, un esercito addestrato a prevenire le stragi delle cellule che da un momento all’altro possono impazzire e sparare, farsi esplodere, generare panico, senso d’impotenza civile, morte. Basta morti innocenti di persone – di ogni credo ed etnia – che vivono la propria quotidianità pacificamente e se la vedono spezzata, insieme alla propria vita. Basta terrore! Come popolo occidentale europeo, e in particolare noi italiani, come popolo, abbiamo tanta esperienza alle spalle, ma poca memoria.
Conservare la memoria delle proprie traversate fa progredire la forza delle proprie prospettive, nel coraggio di osare; non per sopravvivere, bensì per vivere: vivere pienamente ed effettivamente la propria condizione di popolo civile che ha saputo autodeterminarsi nelle scorse traversate geo-identitarie. Vivere come popolo consapevole delle proprie radici forti, sempre aperte, illuminate e pronte ad accogliere senza essere presi in giro o senza subire strumentalizzazioni, ovviamente. L’autolesionismo lo lasciamo a chi ama pratiche poco consone al progresso umano.
Siamo tutti interconnessi. Consideriamo quindi alcuni punti geografici nevralgici, per avere un’idea del rischio che esiste, e per avere una eventuale prospettiva istituzionale di contrasto pratico del terrorismo reale, su scala internazionale. Le azioni tragiche di matrice jihadista che si registrano, a fine del 2020, hanno causato più di due milioni di profughi interni nelle terre del Mali, della Mauritania, del Burkina Faso, del Niger e Ciad, e un numero di 6256 che puzza di morte, perché si tratta di 6256 vittime umane.
La Somalia è una nazione in cui il gruppo armato jihadista, Al-Shabaab, tiene in una situazione di terrore tanta povera gente, una delle più povere genti tra quelle africane. In Somalia un centinaio di soldati della nostra Repubblica italiana aiuta negli addestramenti le forze ufficiali, per dare una mano a contrastare il male del terrorismo. In Mozambico la cosiddetta guerra santa del terrorismo islamico ha provocato tremila morti e settecentomila sfollati. Il cosiddetto “Stato islamico” in Mozambico ha esteso i propri domini fino alla provincia di Cabo Delgado. Si tratta di una zona ricca di risorse naturali su cui quel sedicente “Stato islamico” può appunto mettere le proprie mani, innescandosi all’interno dei meccanismi internazionali attraverso delle teste di paglia, con strumenti dolosamente alterativi della già scarna concorrenza e della già precaria sicurezza, nonché con subdole interposizioni soggettive ardue da ricostruire, nelle piste d’indagine su scala internazionale. Il rischio c’è. Non si deve subire il terrore e non si deve avere paura di vivere dignitosamente. Non ci si può nemmeno voltare dall’altra parte; gli Stati di diritto sono Stati di garanzia e di giustizia, su tutti i fronti.
Libertà, sicurezza, democrazia e giustizia sono le parole-chiave della nostra post-contemporaneità eurounionale, nel suo divenire critico ed evolutivamente intermittente? Bene! Non c’è libertà effettiva senza una condivisa sicurezza. Non c’è democrazia senza giustizia. Occupiamoci di cose serie, “prima l’essenziale” dicevano i saggi, tra cui San Francesco d’Assisi. Edifichiamo un esercito federale europeo per la lotta al terrorismo islamico che fa stragi, che fa politica e che fa affari in barba alle nostre libertà, ai nostri diritti civili e umani.
Aggiornato il 18 gennaio 2022 alle ore 11:01