Il 24 dicembre era la data che tutta la comunità internazionale attendeva per poter dare alla Libia una proiezione di stabilità.
Nel programma del governo provvisorio guidato da Abdul Hamid Dbeibah le elezioni da tenersi alla vigilia di Natale costituivano la pietra miliare.
Purtroppo la sensazione che oramai si aveva da giorni ieri si è tradotta in comunicato ufficiale. La Commissione elettorale ha annunciato che la Libia non andrà a votare nella data stabilita ma, pur di mantenere in vita un embrione di processo politico, si impegnerà a rinviare l’impegno al prossimo 24 gennaio.
La Conferenza di Parigi convocata a novembre da Emmanuel Macron quando il percorso cominciò ad apparire incerto, si concluse con una nota ove i convenuti – assenti Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan – ribadivano l’impegno a rispettare le scadenze delle elezioni parlamentari e presidenziali.
L’ottimismo di Macron che vide la conferenza come un suo successo diplomatico si è dovuto scontrare con il lasso di tempo che restava prima della data del voto, troppo breve per consentire di risolvere le principali questioni relative alla legge elettorale, alla sicurezza e allo Stato di diritto.
Un’opinione condivisa da molti esperti di conflitti afferma che “non si possono fare elezioni per stabilizzare un Paese ma bisogna prima stabilizzare il Paese poi fare le elzioni”.
Un quadro giuridico incerto che non ha prodotto una legge elettorale condivisa ha fatto apparire sulla scena un centinaio di candidati alla presidenza tra cui nomi noti e altamente divisivi come Saif Gheddafi e Khalifa Haftar, entrambi accusati di crimini di guerra.
Secondo gli osservatori, uno dei motivi del fallimento è da ricondurre alla controversia giudiziaria sull’ammissibilità dei candidati i cui profili non sono stati tutti esaminati dalla Commissione elettorale. Da qui l’accusa reciproca delle fazioni rivali di corrompere i funzionari amministrativi per influenzare l’elenco finale dei candidati. Accuse che sono tracimate in scontri armati come quello che nei giorni scorsi ha visto alcune milizie porre sotto assedio il palazzo governativo. Proprio quest’ultimo episodio ha segnato la fine delle labili speranze che ancora rimanevano e ha ancora una volta dimostrato che con i gruppi armati che ancora controllano il territorio non si possono tenere elezioni senza una forte presunzione di brogli.
Ad una certa unitarietà della Cirenaica dominata dal pur indebolito generale Khalifa Haftar si oppone la segmentazione anarchica delle tante milizie e forze tribali della Tripolitania decise a bloccare il processo politico nel timore di ridimensionare il loro potere areale. Il quadro è aggravato dalla presenza sul territorio libico dell’esercito turco sia con truppe regolari che con miliziani ad esse riconducibili.
Il premier Dbeibah, anch’esso candidato nelle posticipate elezioni, continua ad essere il punto di riferimento della comunità internazionale e, in particolare, della Rappresentante delle Nazioni Unite Stephanie Williams.
Il più importante punto in agenda è la stesura di una legge elettorale che perlomeno non sovrapponga le elezioni presidenziali a quelle parlamentari.
L’amara conclusione che la grande sconfitta appare l’Europa che senza Turchia e Russia ha dimostrato di non poter esercitare pressioni concrete con l’inevitabile conseguenza di subire le decisioni anziché imporle. L’unica nota positiva è data dal fatto che Francia, Germania e Italia finalmente presentano un fronte più compatto e sembrano meno disunite. Soprattutto Francia e Italia, dopo il Trattato del Quirinale che si spera possa evitare la replica di certi sgambetti proprio in territorio libico nel recente passato.
Aggiornato il 23 dicembre 2021 alle ore 12:15