Cina ed Europa, una nuova competizione in Africa

La Cina, dopo due decenni di giganteschi investimenti in Africa, in questi ultimi tempi sta ricalibrando le sue energie, mentre l’Europa sta spingendo su nuovi progetti. Il Continente africano continua a essere un luogo di opportunità e sfide – diplomatiche, economiche, sanitarie – ma è anche un luogo di forte concorrenza e di rivalità tra europei e cinesi.

A meno che i burattinai della politica planetaria vogliano prorogare questo “comodo e funzionale stato di emergenza”, il vertice tra Europa e Africa, con un anno e mezzo di ritardo a causa delle “strategie politiche” legate al Covid, si dovrebbe tenere nel febbraio 2022. La Francia il primo gennaio 2022 assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea (Ue), ma già le formule diplomatiche consuete tratteggiano la promessa di un nuovo massimo nei rapporti tra Europa e Africa. Nel frattempo, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato nuovamente un processo di riavvicinamento con il Continente africano, una sorta di “New deal” economico e finanziario, nel quadro della costruzione di un rapporto alla pari basato su strategie comuni e magari su una sincera solidarietà.

Il Continente africano è percepito come una fonte di sfide legate anche alle dinamiche demografiche, economiche e climatiche, che favoriscono i timori di squilibranti migrazioni incontrollate come quelle che sta vivendo l’Europa. Ma è visto anche come una grande occasione, sottolineata dalle strategie cinesi, che qui investono come nessun altro Paese al Mondo. L’Occidente in genere e gli europei in particolare, anche se sul palcoscenico africano non sono attori di secondo piano, recitando ruoli determinati nell’ambito degli aiuti alla crescita, della sicurezza e della pace, hanno difficoltà a “fare colpo” sulla platea della società africana. Anzi, sempre più spesso vengono recepiti come invadenti e sovrapresenti, chiaramente a causa del passato coloniale e delle strategie troppo condizionate da vari interessi. Dopo circa venti anni il piatto della bilancia pare torni a pesare più verso l’Occidente che verso l’Oriente. Infatti la Cina, dopo aver coperto l’Africa di strade, dighe, ponti e ferrovie, distribuendo prestiti a oltranza, e avere così fatto incrementare il “debito” africano in generale, alimentando una endemica e fisiologica corruzione dell’élite dominate, ora tira il freno.

Contemporaneamente, l’Europa si presenta quasi come una ri-conquistatrice, anche alla luce del suo nuovo progetto presentato mercoledì primo dicembre a Bruxelles dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, denominato “Global Gateway”, finanziato con 300 miliardi di euro, destinato a competere con le “nuove Vie della seta” cinesi. Il programma del Global Gateway è quello di aumentare gli investimenti in energia, trasporti e tecnologia digitale al di fuori dell’Ue, e soprattutto in Africa. A livello strategico quello che si sta verificando nel Continente africano è un livellamento delle “azioni”: infatti l’impegno della Cina in Africa inizia ad assomigliare a quello dell’Occidente, mentre i Paesi occidentali stanno iniziando a emulare le strategie cinesi. Ciò non è disdegnato dai leader occidentali che intravedono, o forse credono di vedere, un fiaccamento dell’influenza cinese nell’area.

Tuttavia, a fine novembre a Dakar, in Senegal, si è celebrato l’ultimo Forum sulla cooperazione sino-africana (Focac), nel quale si è regolata questa nuova ricalibrazione negli investimenti. In questo contesto Pechino non ha, come al solito, promesso fiumi di denaro, nonostante la garanzia di alcuni Stati africani di impegnarsi a “saldare i debiti”. I cinesi hanno comunque proposto varie forme di finanziamento, con importi minori del solito e in parte provenienti dal settore privato, per sostenere i progetti infrastrutturali in essere. Ma come sappiamo la Cina è tenace, così il presidente Xi Jinping, in conclusione del Forum Focac, approfittando della notizia della nascita della ennesima variante del Covid (Omicron), che ha portato alcuni dei soliti Paesi europei e degli Stati Uniti a sospendere senza preavviso i voli con l’Africa australe, ha calato il suo asso, promettendo al Continente un miliardo di dosi di vaccini anti-Covid. Ma anche in questo caso, nonostante l’apparente magnanimità e benevolenza cinese, in pratica sarà l’ennesimo “trasloco” di sieri sperimentali in un Continente dove i dati sui “sierati” sono rilevati su basi blande, che fanno risultare “vaccinata”, secondo la rivista scientifica Bmj Global Health, forse l’1,6 per cento della popolazione, dati probabilmente sovrastimati e solo nei grandi agglomerati. Ma soprattutto dove il Covid è l’ultimo dei problemi sia sanitari che sociali. L’iniziativa di donazione cinese, che dovrà svilupparsi in tre anni circa, andrà a competere con le analoghe iniziative dell’Europa, che fedele al suo ideale multilaterale sta facendo le donazioni tramite il meccanismo internazionale di condivisione dei sieri denominato Covax.

Intanto la Cina, con modalità silenziosa e con la collaudata arte della messa in scena, vedi Forum Dakar, “opera” impiegando la sua diplomazia sanitaria tra le maglie dei governi africani. Mentre la greve macchina Covax procede a singhiozzi, creando lagnanze tra i leader africani che chiedono consegne non a casaccio e più veloci (a quale scopo?), ma soprattutto che non vengano forniti i “vaccini” che i Paesi cosiddetti ricchi scartano. Ma questa è la realtà, dove la carità non è il motore che spinge l’Europa, e nemmeno la Cina, verso l’Africa.

Aggiornato il 20 dicembre 2021 alle ore 09:52