Indovinala Putin! Sanzionare la Russia?

Ricordate i teatrini per l’Infanzia? Quei Pupi di pezza, cioè, manovrati dalla mano guantata di un bravo Burattinaio che si calano reciprocamente tremende bastonate sulla testa senza, per fortuna, morire mai? Diciamo che questo cat-and-mouse game coinvolge, per l’essenziale, gli adulti più famosi della Terra, come i presidenti degli Usa, Joe Biden e quello russo, Vladimir Putin. Nella partita ci sarebbero, per la verità, anche l’Europa e il convitato di pietra di Pechino. Ma qui si apre un doloroso discorso sul famoso “numero di telefono” (per chiamare noi europei) che il grande Henry Kissinger, allora segretario di Stato Usa, non riusciva mai a trovare. Rimando, per l’analisi delle cause sistemiche, a quanto pubblicato dall’Opinione del 7 settembre scorso, dal titolo “Iperpotenza e Iperleadership, per contare nel mondo”.

Un approfondito e attento esame della questione lo si riscontra sul New York Times (Nyt, per il seguito) dal titolo “Sanctions On Russia a Tough Sell” (“Sanzioni alla Russia: un’impresa difficile”), a firma di Patricia Cohen (davvero brava!). Partiamo dalla fine, con la misura che il mai sufficientemente rimpianto Dottor Stranamore di Stanley Kubrick avrebbe definito “ordigno-fine-di-mondo”: ovvero, tagliare fuori la Russia dal sistema mondiale di pagamenti interbancari (che vede iscritti alla piattaforma relativa molte migliaia di Istituti bancari sparsi in 200 Paesi del mondo), denominato Swift. Mossa che il Premier russo, Dimitri Anatol’evič Medvedev, ebbe a definire nel 2019 “una dichiarazione di guerra”, dato che avrebbe avuto, almeno sul breve-medio termine, un impatto devastante sulle transazioni internazionali, innescando in Russia una forte volatilità valutaria e una fuga massiva di capitali esteri.

Anche se, fiutata l’aria dopo l’ondata di sanzioni antirusse decise dall’Occidente a seguito dell’annessione della Crimea, Mosca aveva avviato la realizzazione State-sponsored di una sorta di Intranet nazionale per tagliare fuori i colossi americani di Gafa (Google-Amazon-Facebook-Apple & Company), e la creazione di un sistema proprietario per processare tutte le transazioni domestiche tramite carte di credito. Come vedremo anche per gli altri casi, si tratta di un’antica misura di “Tit-for-Tat” (botta e risposta; tu fai un dispetto a me e io ne faccio uno a te; pan per focaccia) del classico Teatro dei Pupi che regala, alla fine, ampi lividi da contusione a entrambi i contendenti. Visto che, a proposito di Swift, saremmo proprio noi europei a ricevere un danno pari se non maggiore a quello dell’America dall’esclusione delle transazioni Russia-Occidente sul mercato finanziario mondiale, per cui si tornerebbe alla casella di partenza della scarsa efficacia delle sanzioni internazionali, per quanto riguarda sistemi autocratici “forti” come quello russo e cinese.

La Russia, infatti, possiede risorse di materie prime troppo importanti e strategiche per l’Europa, come le forniture di gas, essenziali in un momento come quello attuale di crisi dei prezzi sui mercati internazionali. In parallelo, la Cina, con la faccenda del decoupling che non si può disaccoppiare, ci stringe ai fianchi come un anaconda tecnologico-finanziario, a causa dell’indispensabile (per noi) partenariato tecnologico con Pechino, dalla cui stretta non potremmo liberarci senza riportare gravissimi danni per il nostro interscambio commerciale, di qui ai prossimi dieci anni! E qui, semmai, vale la pena di sedersi sul lettino dello psicanalista (come suggerisce la Cohen del Nyt) per inquadrare nel modo giusto il profilo psicologico dei responsabili delle democrature (o democrazie illiberali) alla Vladimir Putin.

L’analisi direbbe che, in casi come questo, le sanzioni non funzionano, dato che non siamo in presenza di leader (leggi Angela Merkel) particolarmente interessati, più di ogni altra cosa, agli aspetti economici che riguardano il benessere dei loro popoli. Al contrario, infatti, personalità forti e autoritarie come l’attuale presidente russo, sono molto più motivati a tenere il punto fermo sulle questioni di sicurezza internazionale dal senso che essi stessi si danno come significato del proprio ruolo storico, più napoleonico, quindi, che democratico e come tale sindacabile dai rispettivi liberi Parlamenti.

Pertanto, fare la faccia feroce (tat) con loro significa provocarne di fatto, come effetto diretto (tit), un atteggiamento e una risposta ancora più duri, scoraggiando così il ricorso a ipotesi di compromesso. Del resto, i precedenti con Putin di certo non mancano. Si veda in merito, il risultato ottenuto con l’imposizione di sanzioni economiche a seguito della guerra del Donbass e dell’annessione della Crimea. Grazie alla nostra natura di Don Abbondio europei, l’applicazione delle misure antirusse ha avuto un carattere lento e diluito nel tempo, oltre a essersi rivelata abbastanza inefficace nei suoi effetti sull’economia di Mosca.

Nel 2014, in pratica, le misure decise all’epoca da Obama andavano a colpire e interdire l’azione di un centinaio di alti funzionari e di miliardari russi vicini a Putin, con restrizioni accessorie su investimenti e commerci nei settori finanziari strategici, compresi quelli delle forniture energetiche e militari. Così Joe Biden, nell’ultimo colloquio in video con il suo omologo russo, si è giocato l’ennesimo tat, minacciando il ricorso a qualche altra arma-fine-di-mondo che il suo predecessore Barack Obama aveva lasciato in sospeso, come una Spada di Damocle a futura memoria.

Immediato il tit (scontato) di Putin, che ha contro-minacciato l’America di trascinarla in un conflitto aperto, se non fossero stati garantiti i confini Est della Russia impedendo all’Ucraina l’ingresso nella Nato come membro effettivo. Se gli Usa (tat) e Bruxelles dovessero, come sanzione alla Stranamore, decretare l’embargo delle forniture di gas e petrolio all’Europa, potete scommetterci (tit) che i perdenti veri saremmo proprio noi qui nel Vecchio Continente, senza stare poi a considerare il digrignar di denti del neo Cancelliere tedesco, chiamato a prendere una decisione particolarmente imbarazzante sulla chiusura dello Stream 1, nonché sulla mancata apertura di quello già terminato (come costruzione e posa condotte) russo-tedesco dello Stream 2.

Per non morire noi di freddo, bisognerebbe che Biden e altri maggiori fornitori mondiali diversi dai russi ci garantissero una sorta di ponte energetico con una flotta di navi commerciali in grado di trasportare il gas liquefatto che, però, pochi Paesi europei sono poi in grado di trattare industrialmente. Morale della favola? Attrezzare tavoli diplomatici in cui, piuttosto che togliere, ciascuno dei partecipanti conceda qualcosa alla sua controparte. Altrimenti, sarà dura.

Aggiornato il 13 dicembre 2021 alle ore 13:14