Crisi Ucraina: il difficile dialogo con Mosca

Nel quadro dell’organizzazione del “Nuovo ordine mondiale” era quasi inevitabile che non si rimettesse in discussione l’intera architettura della sicurezza europea. La Russia da tempo manifesta la convinzione che tutti gli accordi stabiliti trent’anni fa non siano più accettabili. Mikhail Gorbaciov aveva apertamente accolto l’idea che gli Stati dell’ex “blocco sovietico” potessero scegliere le loro alleanze e le loro strade diplomatiche, ma i successivi allargamenti della Nato non hanno mai né convinto né soddisfatto la Russia. Già nel 2008, durante la guerra dell’Ossezia del sud, provincia georgiana che si adagia sulle basse pendici del Caucaso, segnali in questo senso si erano verificati.

Le problematiche legate ai confini tra Russia e Georgia si erano conclamate dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (dicembre 1991), ma la crisi fu contenuta e si risolse grazie all’allora presidente Mikheil Saakashvili, uomo politico di forte influenza e di notevole credibilità. Saakashvili divenne per la prima volta presidente della Georgia nel 2004, dopo essere riuscito a fare dimettere dalla carica di presidente un personaggio come Eduard Shevardnadze, nel quadro della Rivoluzione delle rose. Oggi la politica di Vladimir Putin è diversa da quella di Gorbaciov, e la “voce” russa martella due concetti: il primo è che non accetta più il principio degli allargamenti e che l’Ucraina è dietro una linea rossa” tracciata da Mosca. Inoltre, l’Ucraina e la Georgia sono “Paesi associati” e non “Paesi membri” della Nato: questo “status” è stato più volte usato dagli “europei” come fattore di “rilassamento negoziale” nella dialettica con la Russia.

Il memorandum di Bucarest, del 2008, chiarisce che Georgia e Ucraina saranno membri della Nato ma il documento ufficiale non è mai stato ratificato. Nonostante che questi “giochi politici” siano conformi alle normali dinamiche geostrategiche, la crisi russo-ucraina si sta sviluppando proprio a causa del significativo aumento della cooperazione militare con l’Ucraina, principalmente degli Stati Uniti e della Turchia. Infatti, l’aiuto dato dall’Occidente a Kiev, finalizzato ad aumentare la sua potenza militare, è percepito da Mosca ancora più gravemente che l’adesione formale di questo Stato alla Nato. Inoltre, c’è la convinzione globalizzata che il processo politico di risoluzione del conflitto in Donbass, Ucraina orientale, avallato dal Protocollo di Minsk, si sia ormai esaurito.

Va anche considerato che, al momento, Mosca ritiene non utile un dialogo con l’attuale presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tuttavia, mentre 100mila soldati russi sono schierati al confine ucraino, il presidente ucraino Zelensky ha ottenuto assicurazioni dagli Stati Uniti che la sovranità del Paese e la sua integrità territoriale saranno difesi. Così il presidente ucraino, lunedì 6 dicembre, alla vigilia del vertice tra Vladimir Putin e Joe Biden, ha comunicato, mentre si recava sul fronte del Donbass dove le forze ucraine combattono i separatisti filo-russi dal 2014, quanto già concordato con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, circa la posizione da adottare nei confronti della Russia, affermando: “Sono grato agli Stati Uniti, nostro partner strategico, per il loro continuo sostegno alla nostra sovranità e integrità territoriale. Abbiamo concordato di continuare le nostre azioni congiunte e concertate”.

Notizie sui contenuti del vertice tra Usa, Russia e la delegazione ucraina non sono state date ufficialmente, ma da fonti vicine a Zelensky pare che sia stato confermato quanto già stabilito con Blinken, cioè un sostegno economico, politico e militare da parte degli europei e della Nato. Inoltre, “la fonte” ha riferito di eventuali nuove sanzioni alla Russia, che ritengo inutili ed inefficaci, concludendo che se “Putin dovesse attaccare, combatteremo”. L’unica certezza è che Putin ha ottenuto il risultato di incontrarsi con Biden sul tavolo delle “decisioni di peso mondiale” e l’Ucraina, in questo caso, funge da strumento di pressione a favore di Putin, magari anche per altri obiettivi.

Ricordo che nel mese di aprile una escalation delle tensioni alle frontiere aveva già sollevato timori di una invasione russa. La tensione si era allentata dopo che Putin ha avuto assicurazione che avrebbe incontrato il capo della Casa Bianca. Probabilmente ora “l’argomento Ucraina” uscirà dal “palinsesto” informativo dei media, ma sicuramente le truppe russe non lasceranno i loro avamposti al confine. Allo stato dei fatti sembra improbabile una invasione militare russa: non ci sono motivi reali e, comunque, sarebbe un’aziona catastrofica dal punto di vista sociale, politico ma soprattutto geostrategico. Risulta che le forze in campo di Kiev siano composte da circa 250mila soldati, oltre a 300mila riservisti già mobilitati e, secondo fonti militari, la Russia avrebbe bisogno di oltre trecentomila soldati per una operazione ad ampio raggio, salvo l’avere preventivamente destabilizzato politicamente l’Ucraina (in questo caso occorrerebbero meno militari).

Comunque, il motto che oggi imperversa nella ex Repubblica sovietica è che “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Una affermazione che delinea un futuro per l’Ucraina come attore protagonista della propria storia, a tutti i costi.

Aggiornato il 13 dicembre 2021 alle ore 10:12