Filo espinado: l’Europa poco amata

“Siamo uomini o caporali?”, si chiedeva anni fa un famoso e rimpianto comico italiano. Purtroppo, storicamente, è bastato un solo caporale per causare una tragedia epocale. Ma, oggi, com’è combinata l’Europa? E come sta con lei l’intero Occidente? Pieni di guai entrambi, si direbbe. Certo, per nostri imperdonabili errori storici, come essersi persi la Russia nel post Guerra fredda, mentre potevamo farne un preziosissimo alleato in quel lontano, drammatico 1992. Oggi, in compenso, abbiamo nemici dappertutto. In Medio Oriente, come nel lontano e nel vicino Oriente. Non solo, sempre per colpa nostra, ci ritroviamo una Seconda Guerra fredda alle porte, che potrebbe benissimo virare ad aperta e plateale confrontation (vedi la fattispecie storica della Trappola di Tucidide) con la Cina di Xi Jinping, furbo il doppio di Mao e con lo stesso potere assoluto nelle mani.

Oggi la sfida ideologica è tra democrazie e autocrazie (Cina, Russia, Turchia, Paesi arabi del Golfo, Iran, Bielorussia), in cui queste ultime entrano ed escono a loro piacimento dai vincoli di Trattati e Convenzioni internazionali, come nella fattispecie quella di Ginevra sui rifugiati. Del resto, le democrazie occidentali sono prigioniere di se stesse, in quanto anime belle che non possono permettersi il lusso di retaliation per fare pari e patta con quelli che, ormai, sono dichiaratamente i nostri nemici planetari, decisi a non arretrare dinnanzi a nulla pur di “vincere”. Un verbo, quest’ultimo, che abbiamo ormai del tutto dimenticato a coniugare. Da tigri coloniali che eravamo, siamo divenuti l’ultima ruota del carro delle grandi potenze, tanto che attori poco compiacenti, come libici, bielorussi e fondamentalisti islamici, possono metterci in ginocchio approfittando semplicemente delle nostre debolezze.

Oggi, il mondo intero è chiamato a fronteggiare e combattere le così dette strategie o guerre ibride, che combinano nel loro insieme diverse modalità di azione, sia sul piano militare che non militare; dirette o indirette; regolari o irregolari, spesso difficili da attribuire a una responsabilità specifica, ma pur sempre concepite per rimanere al di sotto della soglia di risposta o di conflitto aperto. Lo scopo, di norma, è di puntare all’indebolimento dall’interno del Paese-bersaglio, per quanto riguarda la sua coesione nazionale. Pertanto, non si possono contrastare le strategie ibride senza prima aver identificato gli obiettivi dell’avversario. Un recente esempio di guerra ibrida serve bene a chiarire l’attuale quadro della nostra debolezza, che rischia di far fallire l’intero mondo occidentale mettendo negli archivi della Storia i suoi tanto declamati valori. L’antefatto di questi ultimi giorni è ben noto: l’utilizzo cinico e spregiudicato dei migranti, da parte dell’autocrate-dittatore Alexander Lukashenko, padre-padrone della Bielorussia, così come Stalin lo fu dell’Urss, rimasto al potere dal 1994 a oggi grazie a clamorosi brogli elettorali che gli hanno consentito di vincere le ultime elezioni presidenziali, mettendo a tacere con la forza gli oppositori interni.

Nei suoi confronti la pavida Europa (e con lei la Nato), anziché mostrare i muscoli come oggi fa il suo mentore Vladimir Putin, schierando una mini armata di 90 mila uomini alle frontiere con l’Ucraina (con evidenti intenti minatori), ha semplicemente deciso di imporre nuove sanzioni e divieti a carico della Bielorussia, esattamente come fece con Mosca al tempo dell’annessione della Crimea. Ovviamente, Putin si è ben guardato dal ritirarsi sia dalla penisola annessa che dal Donbass ucraino, continuando per di più nei suoi tentativi di destabilizzazione degli equilibri intereuropei e interoccidentali. E riesce a farlo praticamente impunito grazie, da un lato, ai suoi cyberguerrieri, in grado di procurare danni anche gravissimi alle economie nemiche e alle loro leadership. Dall’altro, Mosca continua a manipolare il dissenso delle forti minoranze russe nei Paesi baltici, nel tentativo di riprendersi la sua storica zona di influenza, rispetto a territori che la Russia considera come suoi da sempre. In questo quadro, il Cremlino è convinto che l’Occidente non interverrà a difesa delle sue vittime, guardando a quanto è già accaduto a Hong Kong, nel caso della Cina, e alle ambiguità americane sulla difesa di Taiwan.

Con l’abile ricatto dei migranti alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, Putin e Lukashenko giocano con noi come il Gatto e la Volpe, anche se è il russo a tenere in mano il frustino che usa per bacchettare il suo protégé, soprattutto quando quest’ultimo tenta di usare il ricatto della chiusura del gasdotto Yamal-Europe, che poi non è il suo, essendo di proprietà esclusiva del primo. E poiché l’Orso russo sempre quello è, Lukashenko deve a ogni costo aggirare l’ostacolo della sua totale sottomissione, evitando di federarsi con Mosca dato che, in questo caso, farebbe la stessa fine di Hong Kong, asservita ormai definitivamente al potere di Pechino. E così, l’uomo di Minsk, avendo appreso alla perfezione la lezione impartita da Recep Tayyip Erdoğan alla Ue, gioca la carta dei migranti distribuendo visti a volontà ad aspiranti profughi e asilanti di mezzo mondo, portandoli da ogni dove con voli charter a Minsk. Dopo di che, gli immigrati vengono gentilmente recapitati con mezzi privati ai varchi di confine con la Polonia senza poter tornare indietro, in modo che migliaia di uomini, donne, vecchie bambini non abbiano altra via d’uscita che entrare in Europa, via Varsavia, o morire di freddo nei boschi gelidi al confine bielorusso. Per riprenderseli, il nostro furbo avversario, vorrà soldi, tanti soldi. Ma, ancora di più, vorrà riconoscimento internazionale. Tant’è vero che la Volpe-Orso ha invitato i tremebondi poteri di Bruxelles, per il tramite della solita (quasi) ex Cancelliera tedesca, a “parlare direttamente” con il dittatore di Minsk. Detto fatto!

Del resto, nel 2015 la prodigalità della stessa Angela Merkel ha aperto incautamente le porte a un milione di rifugiati siriani, producendo il fenomeno inarrestabile del sovranpopulismo. E oggi la storia rischia di ripetersi (anche se con numeri decisamente ridotti), con la nuova crisi dei migranti ai confini della Polonia, cosa che fa della Ue l’osservato speciale di tutto il mondo a causa dell’infodemia che circonda l’evento. Tanto più che Varsavia è considerato l’enfant terrible autocratico dell’Unione, sanzionata da Bruxelles e da Strasburgo con varie minacce e rappresaglie, che vanno dalla sospensione delle erogazioni relative ai fondi strutturali e al Recovery, per arrivare al congelamento del diritto di voto nel Consiglio europeo. Così, il suo premier Mateusz Jakub Morawiecki gioca la carta della Nato, a causa del dispiegamento di truppe bielorusse ai suoi confini e dei sorvoli minacciosi nell’area di bombardieri nucleari russi. Pertanto, l’Alleanza viene invitata da Varsavia a considerare anche gli attacchi ibridi degni di una risposta collettiva, a norma degli artt. 4 e 5 del Trattato relativo. Si finirà, dunque, con il dare la parola ai cannoni, o a trattare con il prepotente di turno, dandogli piena soddisfazione? Buona l’ultima, ovviamente! Però, Monaco non ci salvò nel 1938: basta ricordarselo!

Aggiornato il 17 novembre 2021 alle ore 10:59