Libia: il previsto ritorno di un Gheddafi

Come scritto in precedenti articoli, l’ombra di Gheddafi sulla Libia non ha mai smesso di incombere. Infatti Saif al-Islam, figlio dell’unico leader che la Libia abbia mai avuto, Muammar Gheddafi, domenica 14 novembre a Sebha, capitale della regione meridionale del Fezzan, ha presentato la sua candidatura ufficiale alle elezioni presidenziali in programma per il 24 dicembre e le elezioni legislative un mese dopo.

Saif al-Islam Gheddafi è stato tra gli enigmi più oscuri della Libia dopo il 2011. In più occasioni ho scritto di questo figlio di Gheddafi che aleggiava negli “spazi” del maresciallo, capo della Cirenaica, Khalifa Haftar; atteggiamenti misteriosi sapientemente coltivati, come fosse una tattica strategica da adottare all’ultimo momento quando la strada stretta di una rivoluzione confusa e mal guidata ne avrebbe reso necessaria l’applicazione. La notizia della sua candidatura è stata comunicata dall’Alta commissione elettorale nazionale (Hcen), dove Saif al-Islam Muammar Gheddafi ha presentato la sua candidatura alla presidenza dello Stato libico.

Ricordo che il quarantanovenne Saif al-Islam Gheddafi nel 2011 fu incarcerato, poi con un rapido processo condannato a morte, nel 2015. Misura, questa, mai eseguita a causa del tentacolare potere economico-sociale intriso dei residui dell’egemonia del padre, esercitato soprattutto nel Fezzan ma anche in Cirenaica. Infatti, il gruppo che lo deteneva si è sempre rifiutato di consegnarlo alle autorità o alla Corte penale internazionale, che lo stava cercando dal 2011, con l’accusa di “crimini contro l’umanità”; anche se, a mio parere, tale accusa doveva essere dirottata su chi ordì la sua deposizione. Il gruppo lo ha rilasciato nel 2017 e le sue tracce sono state perse. Risultò poi che viveva in una sorta di arresti domiciliari dorati in un luogo sconosciuto della caliginosa cittadina di Zintan aggrappata ai monti Nefoussa, 160 chilometri a sud-ovest di Tripoli. È evidente che gli arresti domiciliari non sono stati mai severi, avendo avuto la possibilità di muoversi verso la Cirenaica e recarsi domenica nel sud della Libia dove, secondo quando trasmesso dal video che ha ripreso la scena, con il suo caratteristico turbante senape legato alla fronte e con barba grigia, ha potuto “pigiare” il suo pollice intriso di inchiostro sui documenti dell’Alta commissione elettorale nazionale.

Come detto, non è la prima volta che Saif al-Islam Gheddafi si presenta allo sguardo dei media, sia in scenari lontani dal suo domicilio, sia nella sua lussuosa villa di Zintan, adornata con mobili di lusso e con lampadari di cristallo, come si vede in un video. Alla fine di luglio, un giornalista del New York Times ha raccontato di un suo surreale incontro con il “recluso” Saif. Riferì allora il giornalista Robert Worth che il figlio di Gheddafi civettava con l’obiettivo del fotografo, autorizzando solo foto con pose ritenute atte a rappresentarlo. In quella occasione rivelò l’intenzione di volersi candidare alla presidenza della Libia, anche se la volontà di “rientrare nel gioco libico” era emersa già durante una fase della guerra civile tra Haftar e Fayez al-Sarraj.

La mossa di Saif ha immediatamente procurato un imbarazzante, ma poco rilevante, terremoto politico internazionale, anche perché la sua candidatura è stata resa nota proprio due giorni dopo la solita pomposa conferenza di Parigi del 12 novembre. Presenti sul palcoscenico parigino Emmanuel Macron, Angela Merkel, il presidente del Consiglio dei ministri italiano, il presidente del Consiglio di presidenza di Transizione della Libia, con il primo ministro del Governo di Unità nazionale libico e il Segretario generale delle Nazioni Unite. La riunione ha lo scopo di sostenere l’attuazione di un processo politico definito e guidato dalla Libia, sotto la solita egida delle Nazioni Unite, in grado di fornire una soluzione politica alla crisi libica.

Fatto presente ciò, sul palco del teatro libico si è alzato il sipario della campagna elettorale di Saif al-Islam Gheddafi, sotto una violenta luce che illumina una pudica domenica a Sebha. Va detto che il popolo libico, dopo un decennio di martirio in una guerra civile che ha visto un caos di milizie, mercenari e cellule anarchiche, e impantanato in un collasso economico, è profondamente disincantato. È noto a chi ascolta la “voce del popolo” libico che la nostalgia per Muammar Gheddafi è tanta, e devo dire anche comprensibile: un candidato di “rottura” come Saif, un Gheddafi, può facilmente capitalizzare su una certa nostalgia per l’ordine pre-rivoluzionario.

È da questa enorme base elettorale che possono arrivare i consensi a Gheddafi: disillusi, ex insorti, impoveriti e i desiderosi di una Libia ai libici, oltre alle interessanti tribù del Fezzan, immaginando anche eventuali sviluppi dal ramo cirenaico. Non è semplice scartare ipotesi, perché l’inestricabile groviglio libico è carico di incertezze. Ma una perplessità incombe: i “falchi” poggiati sul capezzale libico permetteranno il ritorno di un Gheddafi? Magari riesumeranno il suo status giudiziario, ricordandosi del mandato di cattura emesso contro di lui dalla Corte penale internazionale (Cpi) per “crimini contro l’umanità”. Tuttavia, le autorità libiche post-2011 hanno sempre preferito che il tramonto di Saif provenisse dall’oblio e dalla giustizia del popolo. Eventualità, a oggi, lontane da realizzarsi.

Aggiornato il 16 novembre 2021 alle ore 12:02