Ue vs Polonia: come un principio indiscusso diventa una bestemmia

La Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 348/2007, ha affermato che la parziale cessione di sovranità alla quale l’Italia ha acconsentito con l’adesione ai Trattati comunitari trova un limite costituito proprio dalla “intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione”. Analogo orientamento, in epoca antecedente, era già espresso con la sentenza n. 183/1973, per la quale era da escludere che le limitazioni di sovranità conseguenti all’adesione al Trattato di Roma, istitutivo della Cee, potessero “comunque comportare per gli organi della Cee un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana”. Sulla stessa linea si era poi collocata anche la sentenza n. 170/1984.

Vero è, nel raffronto fra tali pronunce e quella del Tribunale costituzionale polacco, che quest’ultima si caratterizza, oltre che per il fatto di essere stata promossa dal Governo, anche per lo specifico riferimento a taluni articoli del Trattato sull’Unione europea, dei quali si afferma la incompatibilità con la Costituzione polacca: con la precisazione che si tratterebbe di una incompatibilità non assoluta ma solo “nella misura in cui” i primi venissero interpretati in modo da dar luogo a conseguenze lesive, in particolare, dell’assetto costituzionale del sistema giudiziario, quale voluto dal potere legislativo.

Si tratta però di caratterizzazioni che lasciano intatta la collocabilità della pronuncia sulla linea del medesimo principio affermato anche dalla Corte costituzionale italiana con le pronunce sopra menzionate; linea che, peraltro, coincide con quella espressa, in passato, dallo Tribunale costituzionale polacco con la sentenza dell’11 maggio 2005 sul trattato di adesione della Polonia all’Unione europea, in cui (come scrive il professor Carlo Curti Gialdino in un articolo comparso il 20 ottobre) si metteva in luce come in nessun caso la prevalenza da riconoscere alle regole di diritto internazionale che, con l’adesione, la Polonia si impegnava ad osservare, “potesse estendersi alla Costituzione, che restava il diritto supremo della Repubblica”. È lo stesso professor Curti Gialdino a riconoscere onestamente, pur mostrandosi del tutto a favore della posizione assunta dall’Unione europea, che la sentenza 7 ottobre 2021 del Tribunale costituzionale, si pone, su questo punto, “in stretta linea di continuità” con quella del 2005.

C’è da chiedersi, allora, perché solo la sentenza del 7 ottobre abbia suscitato scandalo e allarme al punto tale da indurre il Parlamento europeo ad adottare, nei giorni scorsi una risoluzione con la quale chiede alla Commissione e al Consiglio di attivarsi non solo per promuovere una procedura di infrazione nei confronti della Polonia, ma anche e soprattutto per impedire che quest’ultima benefici delle provvidenze economiche previste dal Pnrr fino a quando non siano state eliminate le asserite violazioni ai principi dello “stato di diritto”. Queste ultime sarebbero riscontrabili in particolare, secondo lo stesso Parlamento, nelle norme riguardanti la composizione ed il ruolo del Tribunale costituzionale, il funzionamento della sezione disciplinare della Corte suprema, l’ordinamento del Consiglio nazionale della magistratura e quello degli uffici della procura di Stato; norme che – si sostiene – minerebbero il basilare principio dell’indipendenza della funzione giudiziaria dal potere politico che costituisce uno dei “valori” riconosciuti e tutelati dall’Unione europea.

È facile rispondere considerando che il principio enunciato nella sentenza del 7 ottobre, pur non essendo nuovo, ha potuto assumere, nell’attuale contesto politico, l’apparenza di una provocazione e offrire al Parlamento europeo il pretesto per sollecitare l’impiego, nei confronti della Polonia, di un’”arma risolutiva” tale da costringerla alla resa nella guerra che contro di essa è stata intrapresa dall’Unione europea a far tempo dalla l’affermazione, avvenuta nelle elezioni del 2015 e ripetuta in quelle del 2019, dell’attuale maggioranza politica, imperniata sul partito “Diritto e giustizia”, ritenuto di estrema destra.

A tale maggioranza si è via via addebitato di aver attentato, oltre che all’indipendenza della magistratura, anche alla libertà dei mezzi d’informazione, come pure di aver adottato politiche discriminatorie in materia sessuale e, da ultimo, come si legge nella risoluzione del Parlamento europeo in data 16 settembre 2021, di aver sostenuto anche quelli che vengono definiti “attacchi ai diritti delle donne in Polonia”: con esplicito riferimento alla sentenza del Tribunale costituzionale, definito “illegittimo”, che ha dichiarato incostituzionale la legge polacca in materia di interruzione volontaria della gravidanza nella parte in cui consentiva che ad essa si facesse ricorso in caso di accertata malformazione del feto.

“L’arma risolutiva” di cui si è detto dovrebbe essere, nelle aspettative del Parlamento, quella costituita dal Regolamento europeo n. 2092, adottato alla chetichella il 16 dicembre 2020, col quale è stato stabilito che il Consiglio, su proposta della Commissione europea, senza necessità di far ricorso alla Corte di giustizia, possa sospendere l’approvazione o l’esecuzione di programmi di finanziamento da parte dell’Unione in favore di uno Stato membro, quando ritenga che in esso si dia luogo ad una “violazione dei principi dello stato di diritto”; violazione che può essere costituita, in particolare, anche da non meglio precisate “minacce all’indipendenza della magistratura”.

All’evidente scopo di rafforzare la posizione contrattuale della Commissione nei confronti della controparte polacca è stata addirittura promossa, ultimamente, la messa in scena di un ricorso del Parlamento alla Corte di giustizia contro la stessa Commissione, addebitandosi a quest’ultima la “mancata attivazione del meccanismo di condizionalità” previsto dal suddetto regolamento. Conoscendo però la tenacia dei Polacchi nella coraggiosa difesa di quelli che essi ritengono i diritti della loro Nazione, non è detto che l’arma risolutiva apprestata dall’Unione europea si riveli effettivamente tale. Proprio quest’anno ricorre il centenario del Trattato di Riga che prese atto della clamorosa e inaspettata vittoria ottenuta l’anno prima dall’esercito polacco, sotto la guida del maresciallo Józef Piłsudski, contro le forze soverchianti della Russia sovietica, intenzionata a riportare la Polonia alla condizione di provincia dell’impero russo che essa aveva al tempo degli zar. Fu un miracolo, ma a volte i miracoli si ripetono.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 09 novembre 2021 alle ore 11:24