Lo strappo polacco: reagire senza indugio

La decisione della Corte costituzionale polacca mette, di fatto, questo Stato membro fuori dall’ordinamento dell’Unione europea, senza che sia stata nemmeno avviata la procedura di secessione formale utilizzata dal Regno Unito con la cosiddetta Brexit.

Nicola Catalano fu avvocato dell’Alta Autorità della Comunità carbosiderurgica, poi il giurista italiano fu nelle trattative che portarono, nel 1957, alla scrittura dei Trattati istitutivi della Cee e dell’Euratom, in seguito giudice alla Corte di Giustizia delle Comunità, autore del primo testo di Diritto comunitario e infine, molti anni dopo, autore di un parere rilasciato alla Commissione istituzionale del Parlamento europeo nella fase in cui si elaborò il progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea.

Egli descrisse, fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, gli ordinamenti giuridici come una sorta di mosaici, di cui le norme sono le tessere. Nel rapporto tra ordinamenti nel sistema comunitario, i trattati istitutivi hanno staccato alcune tessere, in base a competenze per materia e le hanno attribuite al sistema supernazionale. In queste materie, la sovranità legislativa degli Stati membri sopravvive sino al momento in cui legiferino le Istituzioni supernazionali, adesso dell’Unione europea. Esse hanno due strumenti: i regolamenti, vere e proprie leggi con pienezza di contenuto dispositivo, che entrano in vigore negli Stati membri senza alcuna possibilità d’ingerenza nazionale; le direttive, una sorta di leggi-quadro con cui si stabiliscono i principi generali, lasciando al legislatore degli Stati membri la normativa di dettaglio per adattarli agli ordinamenti nazionali. Questa legislazione supernazionale è proposta dalla Commissione di Governo al Parlamento europeo e al Consiglio, una sorta di Senato in cui sono rappresentati gli Stati membri nelle persone dei ministri competenti, sancita e promulgata secondo certe procedure.

Quindi gli Stati membri possono agire politicamente nel processo legislativo, ma poi si devono attenere a quanto deciso collettivamente, come chiunque in una democrazia rappresentativa. In caso di violazione delle norme comunitarie, possono reagire i cittadini, adendo i giudici nazionali e chiedendo a costoro di ricorrere in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia, e la Commissione e gli Stati membri, citando lo Stato violatore di fronte alla Corte stessa, che decide anche in merito alle sanzioni da comminare.

Ciò va fatto senza indugi nei confronti della Repubblica di Polonia. Secondo alcuni mezzi d’informazione, la Commissione di Governo dell’Unione avrebbe due vie: il ricorso alla Corte di Giustizia e provvedimenti amministrativi, come la sospensione di ogni intervento finanziario a sostegno della Polonia. In realtà il ricorso alla Corte è, in questi casi, un atto dovuto, ma ciò non impedisce alla Commissione stessa di sospendere i finanziamenti in attesa della pronunzia della Corte e, data la gravità del caso, è proprio da fare.

Ricordiamo che la Repubblica di Polonia, dopo il ritorno allo Stato libero, si è economicamente risollevata, come l’Ungheria, solo grazie agli aiuti dell’Unione europea, e anche adesso, nella crisi dell’Alleanza Atlantica, vedrebbe di buon grado la nascita di una difesa europea, perché si sente minacciata dalla Federazione Russa, oggi probabilmente a torto.

Aggiornato il 09 ottobre 2021 alle ore 10:32