Afghanistan: la “questione” femminile

I “taleb”, studenti” del Corano, si sono ripresentati sullo scenario afghano dopo vent’anni ma l’Afghanistan della fine del secolo scorso non è quello di oggi. Tralasciando l’aspetto politico e organizzativo del neo Emirato islamico, quello che sarà un “campo di battaglia” fondamentale per una loro duratura presenza al potere, è probabilmente il “rapporto” che il Governo talebano avrà con il mondo femminile. Negli ultimi venti anni le donne afghane hanno ottenuto gradualmente grandi risultati per i propri diritti e, nonostante le violenze e la complessa realtà “culturale”, sono diventate avvocate, imprenditrici, funzionarie pubbliche, ingegneri, dottoresse e molte si sono arruolate nell’esercito o in polizia.

All’inizio del 2018 erano oltre 4600 a operare nelle forze di difesa, considerando anche che erano rappresentate nel Parlamento afghano con il 27 per cento dei seggi. Oggi le loro proteste si manifestano in più città, dimostrando ai talebani che la rassegnazione a perdere le loro conquiste non è scontata. I talebani, sotto il loro primo regime, dal 1996 al 2001, dissero al mondo femminile che avrebbero dovuto attendere un po’ di tempo e che avrebbero “sistemato le cose”. Dopo cinque anni di attesa e prima di essere cacciati, non accadde nulla. Oggi per le donne e per le attiviste afgane si sta riproponendo una situazione simile, infatti i talebani assicurano che metteranno in campo azioni affinché le donne possano, con enormi condizionamenti, assumere nuovamente alcuni ruoli nella società.

Intanto il 19 settembre, a Kabul, gruppi di coraggiose hanno manifestato davanti all’ex ministero delle Donne per rivendicare i loro diritti, sotto lo sguardo strafottente dei talebani. Una delle più autorevoli attiviste talebane, la settantatreenne Mahbouba Seraj, intervistata telefonicamente da un giornalista dell’Afp (Agence France Press), ha affermato che “i talebani non avranno altra scelta, se non quella di rispettare i diritti delle donne afghane se vogliono sfuggire al collasso economico, all’isolamento diplomatico e restare al potere”. Tuttavia, nonostante il discorso apparentemente pacato e “assecondante” dei rappresentanti del movimento islamista al potere, Seraj non crede alle promesse dei talebani quando assicurano che le donne afghane potranno, “molto presto”, tornare a lavorare e studiare. Seraj, fondatrice e gerente dell’Ong Afghan Women’s Network, con sede a Kabul, era fuggita dall’Afghanistan nel 1978, l’anno del golpe comunista propedeutico all’invasione sovietica del Paese. Da quel momento ha iniziato un esilio che l’ha portata negli Stati Uniti dove è rimasta fino al 2003, due anni dopo la caduta dei talebani. Dopo il tragico 15 agosto, giorno del ritorno al potere dei talebani, ha deciso di restare per poter dare il suo “contributo”. Rispetto al 1996-2000, le donne afghane oggi pare subiscano meno oltraggi, tuttavia i talebani le hanno sostituite con uomini nelle Amministrazioni e nelle Università.

La realtà è che l’atteggiamento talebano influisce senza dubbio sulle libertà e sui diritti delle donne, ma l’aspetto probabilmente più drammatico è quello psicologico. Riferisce ancora l’attivista Seraj che l’incubo peggiore è “che i talebani stanno giocando con i nervi delle donne, essendo lenti a dire chiaramente tutto ciò che gli permetteranno o no”. La maggior parte di queste donne sono sottoposte a enormi pressioni, soprattutto familiari, sono confuse e preoccupate per la loro salute mentale. Nel frattempo, poche vanno a lavorare a causa della paura di incappare in gruppi di “talebani sciolti” che facilmente tendono a tormentarle, magari perché sole e fuori della loro casa. Intanto, riferisce l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che il sistema sanitario afghano è sull’orlo del collasso a causa della mancanza di farmaci, attrezzature e personale. Politicamente il Governo talebano sta entrando nel raggio di influenza della rete Haqqani, fazione ultraconservatrice storicamente vicina ad Al-Qaeda, e del Pakistan, alleato ora molto presente a Kabul.

L’Afghanistan, già prima del 15 agosto, era in gravi difficoltà sia economiche che sociali; il cambio di regime ha avuto un ulteriore impatto su una economia già afflitta da una forte contrazione. Secondo l’Onu, in assenza di sostegno, la quasi totalità della popolazione afghana (stima 97 per cento), nel 2022 rischia di scendere al di sotto della soglia di povertà, oggi è al settantadue per cento. Comunque, in questa fase di spasmo delle libertà, anche l’abbigliamento femminile sta andando “oltre il burka”, infatti ancora non è stato dato un nome a un particolare e nuovo abbigliamento che è composto dal niqāb con il sitar, un tessuto che copre gli occhi, abbastanza sottile da lasciar trasparire la vista. In assenza di sitar, alcuni niqāb sono dotati di grandi paraocchi che nascondono il viso.

Negli ultimi 20 anni, nonostante la povertà e la tradizione patriarcale di questo Paese conservatore, molte donne si sono potute avvicinare all’istruzione. Secondo la Banca Mondiale, nel 2001 nessuna ragazza era iscritta alla scuola pubblica, rispetto a un milione di ragazzi. Nel 2020 3,5 milioni di ragazze sono andate a scuola, in un Paese di circa 38 milioni di abitanti; secondo l’Unesco il tasso di alfabetizzazione oggi raggiunge il 43 per cento.

I talebani dovranno raccogliere la sfida più importante dalla loro nascita avvenuta quasi 30 anni fa: la gestione di un Paese, abbandonato dagli Stati Uniti e alleati, tornato sulla scena internazionale da 20 anni, la cui popolazione, soprattutto giovanile, è molto più istruita del passato ed è abituata ed educata alle libertà concesse da un ex Governo relativamente “democratico”.

Aggiornato il 01 ottobre 2021 alle ore 10:11