Ipnosi stile Merkel: la fatina teutonica

Deutchland, Deutchland delle mie brame, chi è la più intelligente del reame?”. Ma sei sempre tu, Frau Kanzerlin! Sarà poi vero? O si tratta di una favola tedesca in cui la fata non fa vere magie, limitandosi alla più pratica ipnosi, per cui le sue vittime credono di vedere destrieri quando, in realtà, si tratta di modeste zucche? Il regno incontrastato di Angela Merkel potrebbe proprio essere uno di quei domini in cui le apparenze giocano dei gran brutti scherzi. Lo è stato sicuramente il suo rigore, figlio dell’ossessione weimariana da inflazione eccessiva che, però, ha comportato i cordoni sempre molto stretti anche per il bilancio pubblico tedesco, lasciando in condizioni miserevoli le opere pubbliche infrastrutturali del suo Paese, cosa che ha ritardato persino la modernizzazione della burocrazia tedesca. E proprio la Grecia dei conti pubblici truccati venne triturata dal suo temutissimo Fiscal Compact, che nel 2012 un Mario Monti completamente asservito e intimidito dalla tagliola degli spread fece adottare in tempi record al Parlamento italiano, con un miracoloso doppio scrutinio a maggioranza qualificata, introducendolo quasi nottetempo in Costituzione e impedendo poi, grazie al quorum dei 2/3, di sottoporre la relativa riforma costituzionale a referendum approvativo (senza quorum!). La Fatina della Germania ha sempre odiato le cicale del Sud d’Europa, puntualmente contraccambiata dai meno algidi Paesi mediterranei.

Angela, donna dell’Est Europa, figlia cioè di quella metà di Germania sotto occupazione sovietica fin dal 1945, non ha mai dimenticato e, anzi, è vissuta nel terrore che l’orrore nazista potesse un giorno ripetersi. Per questo, il suo sfoggio di prudenza innata e le sue eccezionali doti di mediazione hanno sempre avuto la meglio nei conflitti inter-Ue, facendo apparire sempre la soluzione giusta, la più accomodante, da sotto la giacca dei suoi tremendamente elettrici tailleur. La Merkel, cioè, ha giocato sull’unico tavolo che le era consentito: far diventare grande la Germania, vincendo tutte le sfide sui mercati internazionali dei beni manifatturieri e dei servizi. Per questo, non ha mai fatto un solo passo di autentica rottura né con Mosca, né con Pechino che, per certi versi, sono le sue due galline d’oro per il mantenimento dell’enorme surplus commerciale tedesco. L’America non la ama (soprattutto quella trumpiana) ma lei ha sempre fatto dignitosamente spallucce, realizzando a dispetto di Washington il famoso gasdotto Stream-2 che trasporta direttamente il gas dai giacimenti russi ai porti tedeschi ed europei. In base alla relazione di equivalenza “Iperpotenza-Iperleadership” (che vale per Cina, Russia e, parzialmente, per gli Stati Uniti) la Germania di Merkel non è e non sarà mai né l’una, né l’altra cosa, come non lo sarà mai nessun altro Paese della Ue, Inghilterra compresa.

Questo perché i governi di coalizione, gli unici possibili in un sistema di democrazia parlamentare, sono il frutto di strenue mediazioni per accordi di programma che quasi mai vengono rispettati, ben al contrario di quanto accade con le autocrazie di Cina, Russia, Iran, Turchia, dove a decidere è uno solo grazie alla concentrazione dei poteri. Ciò che manca all’Europa moderna e ancor di più, per un retaggio storico negativo, alla locomotiva tedesca è proprio la volontà di potenza. Contare, cioè, non solo per la forza del denaro ma per la volontà e la capacità di utilizzare la forza armata, se necessario, per intervenire e cercare di mettere ordine negli scenari caldi del mondo. Nella mente di Merkel non c’è mai stato, nemmeno lontanamente, un sogno bismarkiano dell’unificazione dell’Europa sotto un’unica insegna, fosse pure l’aquila reale o quella imperiale romana. Per questo Berlino negli ultimi quindici anni ha fatto del tutto perché non si andasse verso una federazione europea di Stati, che mettesse in comune bilancio, fiscalità, politica estera e difesa. Ma, così facendo, rendendo cioè molle quello che una volta era l’elmo d’acciaio d’Europa, non sarà mai possibile sedersi ai tavoli della trattativa geopolitica internazionale con Mosca, Pechino e Washington che, invece, hanno sempre il colpo in canna, pronti a utilizzarlo se serve.

Anche lo scambio euro-marco ha rappresentato, in fondo, una sorta di compromesso e di armistizio in cambio della riunificazione della Germania, anche se l’impronta ferrea della moneta storica tedesca è rientrata per vie traverse nel rigore dei Trattati, per quanto riguarda i deficit di bilancio dei singoli Paesi membri dell’Ue. La visione monoculare della Kanzerlin non ha permesso che l’Europa sviluppasse una visione a tutto campo dei suoi interessi strategici, cedendo progressivamente all’Asia (e ai suoi feudi germanici dell’Europa dell’Est!) tutte le produzioni a basso valore aggiunto, attraverso le delocalizzazioni e le joint-venture che hanno fortemente depauperato il patrimonio del lavoro continentale, permettendo alla finanziarizzazione dell’economia di fare il vuoto negli impieghi tradizionali dell’industria tessile e manifatturiera. Lo si è visto drammaticamente con la pandemia, quando ci si è accorti che presidi sanitari e componenti farmacologici fondamentali di base erano completamente in mani cinesi! Il fortissimo ritardo nello sviluppo delle auto elettriche è, ancora una volta, dovuto all’aderenza al modello tedesco dell’automotive, per non parlare del colpevole abbandono della ricerca scientifica di base e dei semiconduttori (o del gap nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale), che ci vede oggi in netto, incolmabile ritardo con l’Asia e l’America e senza alcuna idea di alleanza strategica con Paesi come Taiwan, che ne è il primo produttore mondiale.

Né la Germania, né la Francia con la sua Grandeur, sono disposti a sacrificare i propri figli e interessi per costruire una Grande Europa. A entrambi, in modi diversi, interessa esclusivamente quella parte di cooperazione politico-economica che, soprattutto, esalti i loro interessi nazionali. Ora, nel futuro molto dipenderà dal tipo di governo di coalizione che, dal 26 settembre, sarà il primo del dopo Merkel. Se i Liberali tedeschi dovessero far parte del nuovo esecutivo, torneranno molto presto i tempi passati del rigore (forse, un po’ attenuato) di bilancio dettato dal Fiscal Compact. In definitiva, l’Europa, tedesca o non, è destinata a rimanere una tigre di carta e un nano politico per ancora qualche secolo. Morale: Finis imperii dell’Occidente.

Aggiornato il 30 settembre 2021 alle ore 11:41