Jihadisti di Boko Haram: dal pentimento alla disillusione

La Nigeria e i “Donatori internazionali” stanno fallendo anche nel programma di “deradicalizzazione” degli ex jihadisti assoldati nelle milizie di Boko Haram, che hanno abbandonato l’estremismo islamico armato per riprendere una vita lontana dal terrorismo.

Il fallimento è stato conclamato dalla maggior parte degli ex jihadisti, i quali sono rimasti disillusi dal programma di reintegrazione lanciato dal Governo nigeriano, con l’ausilio di forti finanziamenti e progetti internazionali, con lo scopo del loro inserimento lavorativo. Il programma, che ha il nome di “Operazione corridoio sicuro”, ha ufficialmente avuto inizio nel 2016 e, dietro l’offerta di far deporre le armi ai miliziani estremisti islamici, offre loro una opportunità di lavoro. Nel contempo la Nigeria, con vari aiuti, da circa dieci anni conduce offensive militari contro gli islamisti di Boko Haram e contro il suo ramo, tendenzialmente dissidente, che è lo Stato islamico in Africa occidentale (Iswap). Nell’ultimo decennio il conflitto ha causato oltre 40mila morti.

Ma la ricerca e selezione dei pentiti jihadisti non è né semplice né priva di rischi, infatti non tutti i pentiti sono accettati nel programma di reinserimento, meglio direi “inserimento”, in quanto tali profili non sono mai stati inseriti nel contesto socialecivile”. Questi combattenti hanno generalmente un quadro “personale” complesso, aggravato dalle estreme esperienze acquisite come miliziani islamisti; al momento del “contatto” viene analizzata la loro personalità e classificata in funzione della loro pericolosità. Quelli con “minaccia bassa”, prima del loro trasferimento in un centro di deradicalizzazione a Mallam Sidi, cittadina nello Stato di Gombe (Nord-Est), per circa sei mesi sono obbligati a frequentare corsi di formazione professionale e religiosa, di alfabetizzazione e ricevere sostegno psico-sociale. Inoltre, sono passati anche attraverso il centro di deradicalizzazione di Gombe diverse decine di ex comandanti di alto rango, nell’ambito di un programma più articolato.

Come accennato, i finanziamenti internazionali sono stati cospicui. Unione europea, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno erogato milioni di dollari per finanziare detto programma, sostenuto anche dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e coordinato dall’esercito nigeriano. Il generale Mohammed Maina, capo dell’esercito nigeriano, a luglio ha dichiarato all’Afp (Agence France Press) che “l’Operazione Corridoio Sicuro ha registrato un enorme successo”, aggiungendo: “Più di 800 ex combattenti pentiti sono stati deradicalizzati, riabilitati e reintegrati con successo”. Ha anche affermato che sono inseriti nel “programma” circa trecentocinquanta ex jihadisti, che sono stati “profilati” ad agosto. Tuttavia, secondo alcuni ex terroristi intervistati dall’Afp, la realtà è ben lontana dalla versione ufficiale: infatti hanno affermato di essere stati detenuti per anni senza essere maltrattati, ma in condizioni molto dure, prima di essere inseriti nel programma di riabilitazione. Ammassati in stanzoni insieme ad alcune centinaia di persone, con poco cibo, senza servizi igienici e parassiti ovunque. Ogni giorno si verificavano morti per stenti.

A volte alcuni sono stati considerati erroneamente jihadisti, anche non avendo mai collaborato con il gruppo Boko Haram, tuttavia sono stati detenuti ingiustamente, compresi i bambini. Il background individuale dei “pentiti” è difficile da verificare, ma negli ultimi anni diversi rapporti, in particolare dell’Ong Amnesty International e dell’Agenzia per lo sviluppo degli Stati Uniti (Usaid), hanno documentato centinaia di testimonianze simili. Un recente rapporto pubblicato dall’International crisis group (Icg), riporta che non più di un quarto di coloro che hanno effettuato il percorso di “riabilitazione sociale” erano effettivamente membri del gruppo Boko Haram. Infatti, risulta che intere famiglie sono state catturate perché ritenute jihadiste, solo per il fatto che fuggivano dall’area di controllo di Boko Haram, e loro malgrado sono state non “deradicalizzate” ma “deportate” con scopo di reintegro; ma in quale contesto? Quindi tra ex jihadisti, volontari della deradicalizzazione, emarginati, “civili” deportati e intrappolati, quello che emerge, da questo ennesimo fallimentare progetto internazionale a carattere socio-strategico, è che milioni di dollari sono stati investiti nell’ennesimo flop, dove i fiumi di denaro si sono persi nei soliti rivoli dove l’interesse per un equilibrio sociale è assente.

Ricordo che l’affiliazione tra le fila di Boko Haram cresce sulle critiche al corrotto Governo nigeriano, sull’insegnamento di un islam salafita-jihadista e “personalizzato”, sull’addestramento al maneggio delle armi, sul mestiere di trafficante di armi, sulla partecipazione ai “grandi attentati”, sui “ciclopici” e tragici, rapimenti di ragazze, sulla persecuzione sia dei cristiani che dei musulmani ritrosi, tutto nel quadro di “motivazioni religiose”, ma poggia soprattutto pesantemente sul denaro. Così nasce la “radicalizzazione”, il cui ripensamento porta alla volontà di “deradicalizzazione”, che sta conducendo, malauguratamente, alla disillusione.

Aggiornato il 06 settembre 2021 alle ore 10:22