Follia a Occidente: e non ne rimase nemmeno uno

Ci risiamo con le… piattaforme girevoli? Qualcuno se ne ricorda? I terroristi islamici entravano in uno degli ingressi compiacenti e complici del piano ruotante simbolico (che faceva geograficamente riferimento a un’area o una località di una determinata regione del mondo), che ne favoriva poi l’uscita in tutt’altra direzione. In un passato nemmeno troppo lontano, Stati canaglia o falliti hanno rappresentato per i gruppi terroristici quello che un tempo furono i rifugi sicuri per i pirati del mare, nascosti in insenature e fiordi inaccessibili, per chi non avesse avuto una perfetta conoscenza dei relativi fondali marini. La loro distribuzione appariva simile a quelli che oggi conosciamo come cluster pandemici: impossibili da isolare senza la collaborazione di coloro che controllano localmente il territorio.

Ma, trenta anni fa, le uniche armi a disposizione erano la delazione e la famosa humint, termine con cui si indica una rete classica di intelligence in cui la materia grigia e il coraggio contano infinitamente di più dei droni armati e dello spionaggio elettronico. Oggi le frange del terrorismo islamico più radicale, come quello dell’Isis che predica la Jihad globale, hanno dismesso l’idea di aggredire l’Occidente per singoli punti di attacco, tramite attentati suicidi condotti da convertiti che operano all’interno di enclave musulmane presenti in grandi agglomerati urbani europei. Dalla caduta del Califfato i nuovi capi dell’Isis hanno scelto di ripartire e di ricostruire le loro basi in altri luoghi fortemente instabili del mondo, collocati in prevalenza in alcune regioni dell’Africa continentale e non solo. Questo perché la secolarizzazione e l’organizzazione di sicurezza delle Nazioni europee ha prevalso sul regime del terrore che si voleva imporre con gli attentati suicidi seriali, impedendo così all’Isis la creazione di cellule permanenti, che avrebbero dovuto estendere il contagio jihadista all’interno delle Comunità musulmane locali europee.

Del resto, ha fatto scuola in precedenza la lezione storica impartita al radicalismo dei Fratelli musulmani: ogni volta che questi ultimi hanno tentato con le buone o con le cattive di impadronirsi del potere in Stati mediorientali autocratici, come Siria ed Egitto (e, forse domani in Tunisia, a seguito del fallimento di Ennahda), i loro adepti sono stati ferocemente perseguitati e decimati dal potere in carica. E ogni volta è stato proprio l’esercito regolare, rimasto fedele al Governo, a incaricarsi dell’esecuzione dello sterminio e dell’incarcerazione senza processo di molte migliaia di militanti e simpatizzanti della Fratellanza. Tutto ciò è accaduto nella massima indifferenza dell’Occidente, felicissimo di relegare quei pogrom a mere questioni di affari interni dei Paesi arabi interessati, come fu per il Settembre Nero dei palestinesi in Giordania.

Analoga sorte è toccata ai movimenti radicali islamici quando hanno tentato di destabilizzare le petromonarchie del Golfo Persico (come l’Arabia Saudita), che hanno reagito con la stessa identica determinazione degli Stati secolari arabi, presenti e passati, senza dover rendere conto di nulla a una Comunità internazionale restata puntualmente cieca e sorda. Appena però l’Occidente, e soprattutto gli Usa, hanno determinato con le loro dissennate politiche militari la caduta di regimi dispotici, come quelli dell’Iraq di Saddam, della Libia di Gheddafi e, in parte, della Siria di Assad, si sono create letteralmente le premesse per il fallimento di quegli Stati, radicalizzando tutte le risorse identitarie delle popolazioni musulmane nella Guerra Santa contro il Satana occidentale, invocata dai radicali islamici per chiamare a raccolta l’intera Umma mondiale, a seguito dell’insediamento del Califfato di Raqqa.

Oggi, dopo lo sconcertante e precipitoso ritiro Usa da Kabul, l’Afghanistan potrebbe assumere l’infausto ruolo di nuova piattaforma girevole del terrorismo jihadista, disseminandone le radici infestanti nei Paesi limitrofi confinanti, Cina e Russia in primo luogo, mentre americani ed europei si ritroverebbero ormai a una sufficiente distanza di sicurezza per non temerne, almeno per il momento, i contraccolpi. Quindi, oggi tutto il mondo ha interesse affinché l’Afghanistan non diventi un Paese fallito, evitando in tutti i modi di manipolarne le fazioni e la guerriglia interna che fanno capo alle varie milizie e ai Signori della guerra. Solo un regime talebano forte al suo interno, e blindato ai suoi confini da qualsiasi flusso di esfiltrazioni e infiltrazioni di presunti profughi, può garantire al resto del mondo che non si ripetano i modelli sciagurati del passato. Sarà, quindi, necessario condizionare il riconoscimento internazionale dei talebani e lo sblocco dei fondi statali afghani, congelati nelle banche estere, con un’azione quanto più attentamente concertata tra “Stan-States” confinanti (Pakistan, in primo luogo), Unione europea, Usa, Russia, Cina e India, potenziali, sconfinati bersagli della temuta piattaforma girevole afghana del terrorismo islamico internazionale!

A questo punto, si fa del tutto retorica la seguente (ipocrita) domanda ricorrente: in questi 20 anni i talebani sono cambiati, diventando affidabili” ? Diciamo che, guardando le facce barbute dei giovani vincitori, si può solo dire con certezza che molti di loro sono nati già nel nuovo mondo della conquista americana entrando, per diritto o per rovescio, nell’era digitale dei social network e, soprattutto, delle strategie mediatiche della contemporanea comunicazione di massa. Lo dimostra la recente offensiva di charme, prima e dopo lo spettacolo mortificante dell’aeroporto di Kabul, in cui gli accordi di Doha sono stati rigorosamente rispettati, in buona sostanza, dall’uno e dall’altro dei contraenti. E questo malgrado i robusti esplosivi, bastoni messi tra le ruote di entrambi dall’Isis-K, che ha tentato con un bagno di sangue, contestualmente al ritiro Usa, di delegittimare il nuovo Governo.

Senza alcun dubbio tornerà la Sharia e in questo nessuno deve farsi delle illusioni. Ma nessuno deve nemmeno pensare in modo pessimistico al ripristino del Medio Evo prossimo venturo, come quello che caratterizzò la dominazione talebana di 20 anni fa. Del resto: per governare di nuovo l’Afghanistan i talebani debbono dotarsi di un apparato civile e amministrativo di funzionari e tecnici qualificati, che non è possibile reclutare tra le fila dei loro militanti, formati esclusivamente al combattimento e alla fedeltà al Corano, secondo i ferrei insegnamenti delle madrasse. Se, come si spera, si formerà una borghesia urbana, robusta e duratura, di commercianti e burocrati, si potrà ripartire concretamente da lì per giudicare il nuovo regime confessionale. Calma e gesso, quindi.

Aggiornato il 01 settembre 2021 alle ore 10:22