Caos a Kabul: di chi è la colpa? Del vento, direbbe il Saggio. Domenico Quirico, nel suo esemplare intervento su La Stampa di ieri, sbeffeggia l’intero Occidente che pensa di domare i pazzi di dio con quello che definisce lo “Sterco del Demonio”, cioè il denaro, comunque denominato nelle sue valute più note. Perché ai Talebani interessa che la società pauperista e analfabeta dell’Afghanistan resti tale, per riaffermare il diritto islamico della Sharia vecchio di quindici secoli. Allora, siccome capitalismo liberale e collettivismo comunista sono, in definitiva, paradigmi sviluppati, digeriti e implementati esclusivamente all’interno dell’emisfero occidentale, Russia compresa, al quale vanno associati Stati allogeni asiatici come India, Cina, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Malesia, Indonesia e Filippine, per quelli che restano fuori, come i così detti “Stan-State” (Afghanistan, Kirghizistan) occorre cercare una sorta di… Terza via, facendo pace con l’Islam delle origini.

Per l’Afghanistan, il ragionamento relativo poggia su tre cardini: estirpazione delle coltivazioni d’oppio; sfruttamento degli immensi giacimenti minerari, tra cui le terre rare (vitali per la componentistica elettronica); controllo dei flussi di immigrazione dei potenziali rifugiati afghani che fuggono dai talebani.

Per una soluzione condivisibile sul primo punto, è bene partire da un triste patrimonio che l’Italia ha ereditato fin dalla formazione del suo Stato unitario (per quel che vale): il radicamento delle organizzazioni mafiose nel territorio nazionale, che nessuna misura repressiva pacifica è riuscita finora a scardinare. Nel vocabolario relativo (recepito da molte migliaia di saggi, documenti e sentenze giudiziari, relazioni di inchiesta parlamentari e articoli di giornale) figura tutta una pletora di modelli e schemi reali di organizzazione mafiosa, come ’drine, mandamenti, famiglie, commissioni, che esaltano i contenuti familistici delle relative, grandi organizzazioni criminali, capaci di clonarsi in tutti i luoghi privilegiati dove abbonda lo… Sterco di Satana. Etnologicamente, le descrizioni nostrane si applicano a meraviglia, a quanto pare, alle reali situazioni sul campo delle fazioni e degli interessi tribali che dominano lo scenario e gli assetti di potere afgani. Se si vuole dare una soluzione… monetaria (denaro occidentale), in cambio del mutamento di destinazione agricola dei terreni coltivati a papavero, allora bisogna trovare l’algoritmo giusto per garantirsi che la manna arrivi fino in basso, ai contadini poveri e ai loro intermediari di prima prossimità, cioè ai capi tribù locali e ai loro più diretti vassalli. Un modo di farlo molto semplice consiste nel prendere accordi diretti con il futuro Governo dei talebani, portando poi ai tavoli decentrati chi esercita per davvero il potere nei singoli distretti, come i capiclan e i capi tribù. All’Occidente basterà creare un Fondo internazionale ad hoc per l’eradicamento dell’oppio in Afghanistan presso il quale tutti i sottoscrittori afghani dell’accordo aprano un conto corrente, sul quale saranno direttamente versate le compensazioni, in base al semplice parametro del numero di ettari di coltivazione illegale riconvertiti. Facilissimo controllarne il rispetto, avvalendosi di monitoraggi satellitari a tappeto condotti dalle autorità del Fondo.

Il secondo cardine, invece, coinvolge direttamente la geopolitica. L’Occidente deve imitare la Cina inventandosi per l’Afghanistan la sua Via della Seta, con tanto di progetti e uno stanziamento complessivo di migliaia di miliardi di dollari, mettendosi d’accordo con Pechino sulla base di un semplicissimo ragionamento, “evitiamo in futuro la guerra sulle materie prime vitali per entrambi, e sottoscriviamo assieme contratti equi di sfruttamento minerario con i Talebani, realizzando noi i grandi progetti infrastrutturali di loro interesse primario, che impieghino in prevalenza manodopera locale”.

Il terzo cardine è vitale quanto i primi due, per la stabilità dell’Occidente e dell’Europa. Qui non si tratta di dare una accoglienza pelosa, così cara a certe classi agiate nostrane, che tende a svuotare gli armadi delle famiglie di vestiario in disuso e di giochi usati per bambini, facendo piuttosto un discorso coraggioso di questo tipo: quante famiglie europee sono disposte ad accogliere temporaneamente nelle proprie abitazioni (soprattutto case vacanze che restano inabitate per mesi se non per anni!) profughi afghani, iniziando dagli orfani e dai bambini che invece non lo sono (minori accompagnati e non), per poi passare agli adulti, alle loro necessità di alfabetizzazione nella lingua e nelle regole giuridico-sociali del Paese ospitante? Lo Stato ha mostrato tutto il disastro possibile e immaginabile nelle sue pratiche di integrazione, per cui occorre riesumare altri più performanti modelli di collaborazione pubblico-privato, partendo per esempio da quanto avvenne con i profughi istriani.

Su questo punto, noi abbiamo grandi lezioni storiche dalle quali prendere insegnamento, facendo di disgrazia virtù. Se vogliamo davvero che la rinascita dell’Afghanistan continui, come nei sogni un po’ scellerati e fuori misura del Nation Building portato avanti da inutili corpi militari di invasione e di occupazione, dobbiamo capire che una comunità mondiale si costruisce attorno a un nucleo minimale di valori condivisi.

La Cina è diventata ciò che oggi è anche perché gli Usa hanno dato ospitalità alla migliore materia grigia di centinaia di migliaia di studenti cinesi, mandati a studiare dal loro Governo nelle più grandi Università americane. Noi dobbiamo, nel caso dell’Afghanistan come dei Paesi dell’Africa che ci inondano di profughi economici (di cui non sappiamo come impiegarli, tanto sono dequalificati e lontanissimi dal modello di vita occidentale), mettere a disposizione sufficienti risorse di ospitalità e di borse di studio per centinaia di migliaia di unità, formando quelle élite culturali e scientifiche che dovranno poi obbligatoriamente rientrare nei loro Paesi di origine per costituire, con gradualità, la nuova colonna vertebrale della classe dirigente locale.

I giovani predestinati possono vestire come vogliono e praticare qui in Occidente la propria religione senza che noi (né loro) tentiamo di modificare la nostra reciproca natura di chi è dentro o fuori dal nostro mondo. Tertium non datur, a quanto pare.

Aggiornato il 27 agosto 2021 alle ore 11:57