I due Massoud e le etnie afghane

Il generale Massoud, eroe afghano e padre di Ahmed Massoud, ora rifugiato nella valle di origine della famiglia, guidò la guerriglia contro l’invasione sovietica, respingendo proprio nel Panjshir ben dieci offensive lanciate dai russi. Il generale Massoud vinse i sovietici grazie all’appoggio della sua etnia tagika. I tagiki sono il 25 per cento delle etnie afghane, i secondi dopo i pashtun, posti ai confini col Pakistan, che costituiscono il 34 per cento. Seguono gli hazara, sciiti e perseguitati in quanto tali dai taliban, che sono pashtun.

Alpistan

Ho conosciuto molto bene Fernando Rollando, guida alpina ligure tragicamente scomparsa sul “suo” Monte Bianco nel corso di una scalata, dopo aver raggiunto una dopo l’altra tutte le principali vette dell’Afghanistan. Rollando aveva avuto la “folle” idea di dare una possibilità economica alle popolazioni dell’alta montagna afghana “esportando” il turismo montano, lo sci. L’idea coadiuvava bene il processo di democratizzazione e miglioramento economico del Paese asiatico. Fernando aveva capito che il commercio, l’artigianato, le piccole attività turistiche erano l’arma migliore contro i taliban e l’integralismo. Il suo progetto Alpistan aveva avuto successo, soprattutto con l’arrivo dei primi turisti (soprattutto australiani, gente ancora dotata di un coraggio a volte sconsiderato), grazie anche all’appoggio del ministro Franco Frattini, col quale si era instaurato un rapporto di stima e fiducia. Rollando, anche se aveva delle matrici di sinistra, aveva capito che si doveva evitare ogni parzialismo per combattere la cultura integralista, non solo a Kabul. Purtroppo, quel progetto è stato abbattuto proprio dalle montagne, tante volte sconfitte sportivamente da Rollando.

Sovietistan

Titolo di uno splendido libro di Erika Fatland (Marsilio, 2017) sulle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centromeridionale, i così detti Stan. Non si possono capire i fatti dell’Afghanistan (e del Pakistan) se non si conoscono i misconosciuti destini del Sovietistan. Intanto, sono terre di paradossi giganteschi: nelle ex Repubbliche sovietiche, carne da macello per Stalin, Leonid Breznev, rese “libere” dal crollo politico-economico-culturale del regime di Mosca, in un lampo sono rinati dei piccoli Stalin. La democrazia attecchisce con infinita fatica e partorisce con molto dolore cittadini davvero sovrani, o almeno non schiavi.

È il caso del Turkmenistan. Nel 1991, mentre l’Unione Sovietica si dissolveva, il soviet turkmeno (ectoplasma di un Parlamento) votò per l’indipendenza. Ma intanto deliberò anche per il nuovo presidente, il rampante Nyyazow. In un lampo, si decise che il nuovo nome di Nyyazow sarebbe stato Turkmenbashi, il Capo. Strade, ponti, città, marche di vodka… quasi tutto fu ribattezzato con la parola unica Turkmenbashi. E il Capo dei turkmeni eresse l’Arco della Neutralità nel centro della capitale Ashgabat. Poi si mise a riscrivere la storia nazionale, il nuovo Corano, il “Ruhnama”. Il giorno della pubblicazione fu inaugurato un mega monumento che consisteva in una versione gigante del libro stesso, che ogni sera si apriva con una musica solenne e una voce che declamava alcune pagine del libro del presidente.

Il Ruhnama divenne in pratica l’unico libro della nazione, studiato dalle elementari all’Università, mentre gli studi umanistici e scientifici venivano declassati. Il testo era obbligatorio anche per l’esame di guida. Cambiò il nome di mesi dell’anno, e gennaio divenne Turkmenbashi, e settembre Ruhnama. Il pane si chiamò col nome della madre del presidente. Alla morte del Capo, nel 2006, le cose migliorarono solo in parte: il balletto, il circo e la musica furono di nuovo legali, ma al posto del Ruhanama arrivò il libro del nuovo presidente Gurbanguly Berdimuhamedow. Una nuova materia si affacciò nelle scuole: Scienze berdimuhamedowiane. Per Reporter senza frontiere, il Turkmentistan è ultimo al mondo per la libertà di stampa. Durante un Tg, nel 2008, uno scarafaggio attraversò la scrivania dello speaker. Il giorno dopo scoppiò il panico, col ministero per la Sorveglianza televisiva come protagonista. In compenso la nazione ha il primato dei ministeri strani: c’è anche quello dei Cavalli. C’è una sola banca, preda del Presidente, il quale controlla anche ogni singolo negozio, gli hotel, i ristoranti. E il popolo? Non ha di che respirare, visto che il 60 per cento dei turkmeni è senza lavoro, mentre se i dati ufficiali parlano del 2,6 per cento. Del resto, cosa producono le dittature?

Tagikistan

La nazione che col Pakistan è la più legata all’Afghanistan è grande poco più di un terzo dell’Italia e ha 8 milioni di abitanti. Per Erika Fatland è “il più povero degli ex Stati sovietici”. Non ha idrocarburi, il 90 per cento del territorio è costituito da montagne e solo il 7 per cento del territorio è coltivabile. Non sembrano esserci né uranio né terre rare. L’industria è quasi inesistente. Più del 50 per cento del Pil tagiko arriva dalle rimesse degli emigrati in Russia. Al confronto, l’Afghanistan è il triangolo neo-industriale lombardo-veneto-emiliano. Il “presidente” Emomalī Rahmon fu eletto dall’ultimo soviet russo, e divenne subito dopo il nuovo dittatore tagiko. Il popolo fa la fame, ma Rahmon e famiglia se la cavano: tra le sette figlie e i due figli maschi, una è viceministra agli Esteri; il primogenito è capo della dogana. La denominazione ufficiale di Rahmon è Janobi Oli (“Sua altezza”). Nella capitale Dushanbé le poche auto che circolano sono Bmw o Mercedes, cosa che stupisce la visitatrice Erika Fatland, dato che lo stipendio medio è di 80 dollari al mese e il 33 per cento della popolazione è denutrita.

Il mistero viene poi alla luce in Germania, dove si scopre che circa 200 auto rubate erano finite in mano a funzionari di Stato tagiki e ad amici o parenti di Rahmon. Interessante anche la questione religiosa tagika: la gran parte della popolazione è islamica e tende a radicalizzarsi, dato che Rahmon – nell’intento di avere “guai afghani” in casa “sua” – è artefice della rinascita dello zoroastrianismo. L’Avesta è considerato il libro più importante. È vietato farsi crescere la barba talibana, nel 2007 l’80 per cento delle moschee fu chiuso dal Governo. L’integralismo armato è così rimasto nel confinante Afghanistan coi risultati ben noti.

(*) Foto Roberto Schirra

Aggiornato il 25 agosto 2021 alle ore 14:59