“Ha vinto il Pakistan”: intervista a Gianandrea Gaiani

Gianandrea Gaiani dirige da undici anni Analisi Difesa, sito specializzato in strategia e geopolitica, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Conosce molto bene il contesto afghano, dove ha soggiornato più volte. Ecco il suo punto di vista sul nuovo Afghanistan.

Quante chance di sopravvivenza – politica e fisica – ha Massoud jr. figlio dell’eroe generale Massoud?

È difficile valutare le chance di successo di Massoud jr. e del suo sodale Saleh, ex vicepresidente del Governo Ghani. Appartengono entrambi all’etnia tagika, che non è vicina ai pashtun che formano la totalità dei taliban. Massoud vuol dimostrare che esiste una resistenza contro il Pakistan, il vero vincitore di questo scacchiere, e in effetti l’unica sponda per chi non sta coi nuovi padroni di Kabul è quella dei resistenti della valle del Panjshir. I taliban comunque sono consapevoli di trovarsi di fronte a un nuovo Afghanistan, con Kabul che in vent’anni è passata da uno a cinque milioni di abitanti, formando una classe di artigiani e commercianti certo poco disposti a seguire l’economia della shariah. I vincitori cercano perciò di andare a una pacificazione tramite l’ex presidente Karzai. Del resto, appena un mese fa il primo ministro Imran Khan aveva incontrato il presidente afghano Ghani nel corso della Conferenza di Taskent “Asia centrale e del Sud: integrazione, sfide e opportunità”. Nell’incontro, Imran Khan ribadiva che il Pakistan ha “sempre supportato un Afghanistan unito, pacificato e stabile” e che “non ci sono soluzioni militari nell’attuale conflitto”. I media occidentali hanno dimenticato di evidenziare i tentativi pakistani di coinvolgere il Governo afghano nel processo della sua disintegrazione. L’incontro tra l’ambasciatore pachistano a Kabul con Karzai ha incluso anche dell’ex alleato e primo ministro di Ghani, Abdullah, in questo tentativo di appeasement.

Cosa succederà nei prossimi giorni?

Molto probabilmente nessun evento di rilievo. Il Pakistan ha vinto, la guerra è finita. Questo è quanto, e fino al 31 agosto, data probabile dell’ultimo decollo di un aereo occidentale da Kabul, lo scenario sarà uno stallo carico di incognite.

L’Occidente appoggerà Massoud?

Massoud è fidelizzato dal Regno Unito, che si è smarcato dagli Usa di Biden, ma si deve tener conto di un intervento diplomatico russo. La Russia ribadirà un suo ruolo autonomo forte, come già fatto in Siria. Quanto a Massoud, se si accorderà con i taliban sarà il referente dell’Occidente. Se non lo farà sarà comunque un eroe, al quale andranno i favori dell’opinione pubblica mondiale.

Dicevi del ruolo russo nell’ex Sovietistan…

In Tagikistan ci sono 5000 militari russi. Putin e il presidente tagiko vogliono evitare un nuovo arrivo dell’integralismo e del terrorismo nell’Asia centrale, e da lì verso il Caspio e la Russia. Anche la Cina, che per un verso è alleata del Pakistan, vuole evitare che la jihad uighura nello Xinjiang prenda forza dando una spinta alle forze separatiste in Cina (Tibet, e non solo).

Assisteremo anche a una guerriglia tra taliban e jihadisti di Isis e Al Qaida?

In Afghanistan sono presenti circa 20 sigle jihadiste. Il rischio esiste perché lo jihadismo pakistano-talibano non è quello di matrice arabo-sunnita e nemmeno quello di matrice iraniana. Del resto, anche le proteste contro i taliban di una settimana fa, avvenute nella città di Jalalabad e presentate in maniera neutra dai media occidentali, potrebbero benissimo avere una matrice jihadista. C’è il rischio – che spero venga valutato con attenzione – che tra i sacrosanti arrivi di rifugiati afghani ci siano jihadisti destinati a creare una nuova rete di terrorismo.

Il G20 straordinario riuscirà nei suoi obiettivi?

Lo dubito. Si parlerà soprattutto di accoglienza. Nello scenario afghano l’Occidente non ha più nessuna leva e nessuna voce in capitolo, dopo la sconfitta. La presenza di Cina e Russia non può avere effetti miracolosi. Servirebbe piuttosto la presenza del Pakistan per arrivare a definire dei progetti comuni di pacificazione, o una transizione micro-integralista. Ma anche se non ci fosse nessun accordo, lo scenario sarebbe più chiaro, evitando ogni ambiguità, come quella del Pakistan prima di Trump, che appoggiava Bin Laden mentre aiutava la Nato. Ora il Pakistan è definitivamente fuori.

L’India, un altro big player del Sud-est asiatico, è molto preoccupata per il nuovo quadro ai suoi confini: adesso è circondata da Bangladesh, Pakistan e Afghanistan. La Cina ha ottenuto un filo diretto con l’Asia centrale e con l’Iran… L’India si ritrova anche più perdente dell’Occidente. Aveva proposto il suo aiuto a Ghani, in forte ritardo, poi il blitz pakistano-talibano l’ha spiazzata e l’ha isolata.

(*) Foto di Roberto Schirra

Aggiornato il 25 agosto 2021 alle ore 14:53