L’India è alla ricerca di un ruolo più attivo nel Mar Cinese Meridionale. È di oggi l’annuncio dell’invio, da parte di Nuova Delhi, di una task force navale nelle acque formalmente reclamate dalla Cina, per partecipare a esercitazioni congiunte con i Paesi alleati. Questa iniziativa è in controtendenza con il comportamento tradizionalmente adottato dall’India nei confronti di Pechino, ma la situazione è cambiata dopo gli scontri avvenuti alla frontiera l’anno scorso, in cui l’esercito indiano ha registrato il numero più alto di perdite. La situazione è rimasta tesa e la recente visita del presidente Xi Jinping in una città tibetana vicina al confine non ha fatto altro che rendere il clima più teso.
La durata prevista per la missione, che coinvolge quattro vascelli, è di due mesi. Le navi prenderanno parte all’esercitazione annuale, a largo dell’isola di Guam, che coinvolge Usa, Giappone e Australia, i tre Stati che, assieme all’India, compongono il Quad (Quadrilateral security dialogue). Si tratta di un’alleanza informale, istituita tra 2008 e 2009, per limitare l’influenza cinese nello scenario indo-pacifico. Dopo l’uscita dell’Australia, a causa delle pressioni di Pechino, il Quad è stato rinnovato nel 2018, suscitando l’ira delle autorità cinesi. L’Amministrazione Biden, confermando la linea del suo predecessore, ha espresso tutto il suo sostegno a questa iniziativa e, allo stesso tempo, ha respinto tutte le rivendicazioni della Repubblica popolare sul Mar Cinese Meridionale. Esse si basano sulla cosiddetta linea “dei nove trattini”, che si estende per circa 2mila chilometri dall’entroterra cinese e abbraccia oltre la metà del mare. Pechino, a sostegno di queste rivendicazioni, ha costruito basi militari su diversi atolli corallini, ed esercita notevoli pressioni sugli Stati vicini, a cominciare dalle Filippine. A questo proposito, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha dichiarato che “un attacco alle forze armate filippine, alle navi o agli aerei nel Mar Cinese Meridionale invocherebbe gli impegni di difesa reciproca degli Stati Uniti”, come previsto dal Trattato di mutua difesa del 1951.
Le forze del Quad non sono le uniche a operare nella zona. Nei giorni scorsi, la portaerei Hms Queen Elizabeth e il suo gruppo d’attacco (Carrier strike group 21) sono entrati nel Mar Cinese Meridionale, dopo una serie di esercitazioni con le forze navali di Singapore. Il ministro degli Esteri inglese, Dominic Raab, ha dichiarato che “è assolutamente giusto esercitare e difendere i diritti di navigazioni, dalle acque territoriali ucraine al Mar Cinese Meridionale”. A seguito di questa missione, dure critiche sono arrivare da due ex capi di stato maggiore della difesa, i lord Nicholas Houghton e David Richards. In particolare, quest’ultimo ha sottolineato che il Regno Unito dovrebbe concentrare di più la sua attenzione vicino a casa, “sulla Nato e sull’area euro-atlantica”. Persino Berlino, due giorni fa, a inviato un suo vascello, la fregata Bayern, con l’intento dichiarato di “sottolineare come la Germania non accetta le rivendicazioni territoriali della Cina“.
Pechino non ha ancora commentato ufficialmente la mossa dell’India, ma è improbabile che l’invio di questa task force navale abbia conseguenze a breve termine. Il Mar Cinese Meridionale è un’area in cui assistiamo a una situazione paragonabile, in un certo modo, alla Guerra fredda. Le potenze flettono i muscoli, gli Usa mostrano la loro capacità di proiettare influenza e capacità militari in tutto il Pacifico e gli Stati della zona devono decidere da che parte schierarsi. La Cina si trova circondata, ma è lungi dall’apparire come vittima. Le sue rivendicazioni sulle acque (casualmente ricche di risorse naturali) non sono legittimate dalla comunità internazionale, e il suo atteggiamento vittimista, secondo cui “la vera fonte della militarizzazione nel Mar cinese meridionale proviene da Paesi al di fuori di questa regione che inviano le loro navi da guerra a migliaia di chilometri da casa per mostrare i muscoli” (parole pronunciate a gennaio dal portavoce della Difesa, Tan Kefei), non è credibile. Per Pechino, lo scenario domestico è di vitale importanza, e il trovarsi circondata da un vero e proprio blocco, allineato con gli Stati Uniti, rischia di limitare le aspirazioni egemoniche della Repubblica popolare. Brunei, Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam hanno fatto fronte comune e si sono opposti alle dichiarazioni di sovranità cinese sulle aree marittime che circondano isole e barriere coralline, ricevendo il supporto degli Usa. Certo, una pressione tanto forte alle porte di casa potrebbe costringere la Cina a estendere il suo sguardo oltre l’area indo-pacifica, incrementando il proprio coinvolgimento in Africa e nell’entroterra asiatico. Staremo a vede chi, in questo braccio di ferro tra blocco filoamericano e Cina, la spunterà.
Aggiornato il 04 agosto 2021 alle ore 16:49