La finta pace di Kabul: quando vincono gli sconfitti

L’Idra dei tempi moderni? Il fondamentalismo islamico, capace di rinascere sempre dalle sue ceneri. L’abbiamo combattuto e, teoricamente, sconfitto in Afghanistan e in Iraq, riducendo ai minimi termini Al-Qaeda e l’Isis, ma lo vediamo rinascere ovunque: in Africa, Yemen, Siria, Turchia e soprattutto Afghanistan, dove i Talebani (Alunni di Dio) sono a un passo dal prendere di nuovo il potere dopo il ritiro Usa, che si completerà improrogabilmente l’11 settembre 2021, venti anni dopo l’inizio dell’invasione e l’attentato alle Twin Towers.

Se finora i talebani hanno scelto una guerra di logoramento rispetto allo scontro frontale con le truppe lealiste del Governo filo-occidentale di Kabul, traendone notevoli vantaggi sul piano pratico (come quello di sedersi al tavolo delle trattative con la potenza occupante), tuttavia, al momento del definitivo disimpegno Usa, le cose potrebbero precipitare e tornare al punto in cui tutto è iniziato in quel lontano, lugubre 2001. Poiché l’iniziativa è interamente nel campo talebano, sono i mullah a decidere i tempi e gli sviluppi di una inevitabile, prossima guerra civile, con un Governo internazionalmente riconosciuto, come quello di Kabul, costretto a giocare sempre in difesa, non essendo minimamente in grado di procedere alla bonifica dei territori conquistati o infiltrati dai talebani.

The Economist del 10 luglio dedica numerosi editoriali e approfondimenti alla situazione afghana, senza peraltro prendere posizione sul che cosa fare dopo il ritiro Usa seppur richiamando, come nel suo stile anglosassone e distaccato, il principio in base al quale i vuoti di potere vengono colmati rapidamente da altri attori più o meno ostili, come Cina, Russia, India e Pakistan, che da settembre in poi faranno a gara per finanziare e armare i warlord (signori della guerra) loro alleati. Il che porterà ad altri bagni di sangue e ulteriori distruzioni in un Paese che, tranne brevi periodi di relativa calma, vive da 40 anni in uno stato di guerra.

Dopo l’11 settembre 2021, “40 milioni di afghani saranno abbandonati al loro destino” e chi potrà tenterà di rifugiarsi oltrefrontiera, provocando un esodo non dissimile da quello causato dalla guerra civile siriana, che non mancherà di creare immensi problemi alla Comunità internazionale. D’altra parte, dal punto di vista di Washington, l’Afghanistan è obiettivamente del tutto irrilevante, con gli Usa destinati a confrontarsi con ben altri rischi planetari, posti dalla nuova sfida con Russia e Cina, che fa temere a molti una Nuova Guerra Fredda, fondata sul cyberspazio più che sulla deterrenza nucleare.

Lo stallo attuale in Afghanistan non interessa nessuno, tranne i civili afghani che temono il ritorno del regime dei talebani” nota The Economist. Del resto, gli americani, a fronte di un enorme dispendio di energie e di risorse, non sono riusciti a favorire la nascita di uno Stato autosufficiente, né a porre fine alla ribellione delle milizie fondamentaliste. Ma per l’America non si tratta di un nuovo Vietnam, in quanto l’Afghanistan ha rappresentato un teatro di guerra molto più secondario e strategicamente assai meno rilevante. Ben al contrario di quanto è accaduto in Iraq dopo il 2003 e a seguito della crisi finanziaria globale del 2008.

Con il ritiro, gli Usa lasciano dietro di loro un Paese ancora più insicuro di quello che avevano invaso; tant’è vero che “nell’ultimo anno le perdite civili sono risultate superiori del 30 per cento rispetto a quelle del 2001. E la cosa più deprimente è che i mullah assassini non sono soltanto alle porte di Kabul, avendo infiltrato i loro sicari all’interno delle città, per colpire importanti personalità sciite e della società civile”, come laici e donne con incarichi di medio-alto livello. Il tutto avviene nonostante che l’America e i suoi alleati della Nato abbiano investito miliardi di dollari per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze di sicurezza afghane, nella speranza (risultata vana e velleitaria) che un giorno sarebbero state in grado di provvedere alla propria autodifesa.

Come in altre situazioni analoghe (vedi Vietnam del Sud e Iraq), è invece accaduto l’esatto contrario: i governativi hanno iniziato a cedere su tutta la linea ben prima dell’annuncio del ritiro definitivo da parte degli americani. Soldati e poliziotti si sono arresi a migliaia, abbandonando al nemico e senza combattere cataste di munizioni e di armi moderne di fabbricazione americana, nonché flotte intere di veicoli da trasporto, cercando poi rifugio oltrefrontiera per sfuggire dall’attacco dei talebani. Citando, senza farne il nome, un diplomatico occidentale, The Economist ne riporta il commento sconsolato: “È stato un vero shock per noi registrare quanto repentino sia stato il crollo delle difese interne” del regime filo-occidentale afghano, dato che, almeno sulla carta, gli effettivi di esercito e polizia risultavano ben più numerosi e meglio armati dei guerriglieri talebani. E, invece, hanno facilmente prevalso questi ultimi, benché in netta inferiorità numerica, al primo confronto diretto con il nemico. Le cause di questo disastro vanno ricercate, in primo luogo, nel morale a terra delle truppe governative, abbandonate alla prima occasione di scontro dai loro comandanti, e lasciate per di più senza viveri, paga e munizioni. Venendo a mancare la copertura aerea degli americani, le forze di sicurezza afghane hanno perduto il notevole vantaggio che le vedeva prevalere sul campo di battaglia, anche a causa della totale inadeguatezza e arretratezza dell’aviazione militare afghana, del tutto inadatta a subentrare all’Usa Air Force.

In base a stime aggiornate di istituti indipendenti statunitensi, i talebani controllerebbero non meno della metà dei 400 distretti in cui è suddiviso l’Afghanistan. Ovviamente, il Governo in carica a Kabul, per non perdere l’aiuto finanziario dell’Occidente, nega decisamente la circostanza, affermando che ogni ritiro ha carattere temporaneo ed è “reversibile” (sic!). Alcuni distretti, cioè, sarebbero stati riconquistati dai governativi mentre altri meno strategici permarrebbero sotto il controllo dei fondamentalisti.

Rimane tuttavia il fatto concreto che i talebani stanno vincendo su tutti i fronti! In merito, i mullah hanno tenuto a far sapere alla popolazione, attraverso una abile propaganda, i loro successi sul campo, dando ampio risalto al trattamento umanitario da loro riservato a coloro che si sono arresi. La tattica si è rivelata, finora, assolutamente vincente, dato che la stragrande maggioranza degli afghani non nutre alcuna fiducia nei confronti del Governo distante e corrotto di Kabul, che non ha prodotto benefici tangibili per i suoi cittadini. Sarà bene ricordarlo per il futuro, qualora l’Occidente volesse intraprendere un’altra avventura militare in Asia, scontrandosi su Taiwan con un colosso come la Cina!

Aggiornato il 16 luglio 2021 alle ore 10:14