Sahel: il fallimento dell’operazione Barkhane

Il fallimento della francese “operazione Barkhane”, nata nell’agosto 2014 per far fronte alla dilagante emergenza jihadista e di vari gruppi ribelli presenti nel Sahel occidentale, è stato motivato essenzialmente non dalla inferiorità militare delle forze francesi e dei Paesi saheliani, ma dalla impossibilità della Francia di contrastare ambigui e trasversali accordi tra i governi del Mali e del Burkina Faso con i capi jihadisti della regione.

L’operazione Barkhane ha assunto una dimensione sovraregionale quando è stato esteso l’accordo con i Paesi del G5 SahelMauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad – con lo scopo di mettere in sicurezza questa vasta area e concentrando gli sforzi contro le reti terroristiche e contro i movimenti ribelli transnazionali. Ora la Francia, lontana dal lasciare il “ghiotto boccone” sub sahariano al proprio destino, sta già progettando l’attuazione di un’alleanza internazionale che associ gli Stati della regione non più con modalità “esterna” come era per Barkhane.

Intanto l’area del Sahel centro-occidentale – i “tre confini” (Mali, Niger, Burkina Faso) – è diventata il “triangolo delle Bermude sub-sahariano”, dove chi vi penetra e la popolazione locale scompaiono in un letale “abisso”, perdendo le loro tradizioni e le poche sicurezze, per affondare in un contesto sociale dove la sottomissione al jihadismo è la nuova regola. In questo “concerto” dove la Francia prevede di suonare uno “strumento” più rimbombante, è stato arrestato una decina di giorni fa – forse dai francesi – Dadi Ould Chouaïb, alias Abou Dardar, uno dei capi del gruppo dello Stato Islamico nel Sahel ed ex membro del Mujao, Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale.

Ma chi è Abou Dardar? Intanto Dardar ricade tra i successi francesi che vedono la strategia transalpina prendere di mira i leader dei gruppi jihadisti nella regione e il suo arresto suggella questa politica. Infatti, il suo ruolo all’interno dello Stato islamico nel grande Sahara (Eigs) è ritenuto di discreto spessore; un comandante di secondo grado ma importante a livello locale, inoltre, secondo una fonte della sicurezza era un qāḍī, giudice islamico con autorità nell’area di Ansongo-Ménaka.

Abou Dardar, come detto, è un ex membro del Mujao (Movimento per l’Unicità e la Jihad in Africa occidentale) e con alcuni capi fondò l’Eigs. Dardar era già stato arrestato nel 2014, allora aveva con sé come di consuetudine una cintura esplosiva e guidava un pick-up con razzi Rpg a bordo. Nell’ottobre 2020, al termine di una serie di negoziati con i jihadisti, a cui Parigi (poco credibilmente) ha affermato di non avere partecipato, fu rilasciato insieme ad altri 250 jihadisti, in cambio di quattro ostaggi, tra cui la francese Sophie Pétronin.

Dardar viene riconosciuto a volte di nazionalità maliana, a volte mauritana. L’arresto di pochi giorni fa, al quale non ha fatto resistenza, lo ha trovato in possesso di una pistola automatica, un visore notturno, un giubbotto da combattimento, un telefono e una radio, come riportato in un comunicato dello Stato maggiore francese. I primi di maggio, durante il mercato settimanale di Tin-Hama (Mali orientale), alcuni uomini armati guidati da Abou Dardar hanno radunato le persone presenti e proceduto alla plateale ed esemplare mutilazione della mano destra e del piede sinistro di tre uomini accusati di essere ladri, ma la motivazione, secondo fonti locali, è la resistenza da parte delle vittime a non riconoscere l’autorità jihadista. Secondo un portavoce della missione Minusma delle Nazioni Unite, questi terroristi appartengano allo Stato islamico nel grande Sahara.

L’area dei “tre confini”, dove è stato arrestato Dardar è uno dei principali territori di azione dei gruppi jihadisti saheliani; è in questa zona che l’estremista islamico è stato intercettato da un elicottero durante un’operazione congiunta tra Barkhane e le forze armate nigeriane. Durante questa operazione franco-nigeriana, iniziata l’8 giugno, si era verificato uno scontro con gruppi estremisti nella regione di Tillabéri (Niger occidentale) al confine con il Mali, il bilancio è stato di un nigeriano morto e dodici terroristi uccisi.

Dopo questo arresto il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato una “profonda trasformazione” della presenza militare francese nel Sahel e l’istituzione di un’alleanza internazionale anti-jihadista nella regione. Questa nuova modalità operativa dovrebbe congedare definitivamente l’operazione Barkhane entro il 2023, come operazione in cui la Francia non è direttamente esecutiva (in teoria), sviluppando un’operazione di supporto e di cooperazione diretta con gli eserciti dei Paesi che vorranno essere coinvolti. Ciò comporterà l’attuazione di un’alleanza internazionale che associ gli Stati della regione anche a tutti i partner francesi, molti già presenti “sul campo”.

Così la lotta al terrorismo proseguirà con l’apporto di forze speciali strutturate intorno alla nota “operazione Takuba”, che oggi riunisce in Mali 600 uomini, la metà dei quali francesi, oltre a qualche decina di estoni e cechi e quasi 140 svedesi; l’Italia ha garantito fino a 200 soldati, un centinaio di danesi, altri Paesi come Grecia, Ungheria e Serbia, hanno manifestato il loro interesse. Ovviamente il tutto avrà un “orientamento alla francese”, con la speranza che i governi africani e trasversali interessi non compromettano una efficace lotta al dilagante jihadismo, rappresentato dal Gruppo dello Stato islamico e da Al-Qaeda.

Tuttavia, ricordo che la Francia ha già annunciato il congelamento delle sue operazioni congiunte con l’esercito del Mali per condannare il recente colpo di Stato, puntando sulla pressione internazionale esercitata dall’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) e dall’Unione Africana per sollecitare le autorità maliane a organizzare una transizione verso il potere civile e verso le elezioni nel 2022.

Aggiornato il 05 luglio 2021 alle ore 10:19