Africa: migrazione femminile e schiavitù sessuale

In alcune regioni del Nord-Africa, non in Europa, si conclama una delle massime espressioni del razzismo. È noto che nel Maghreb e nel Vicino Oriente sui neri africani sussistono ancora pregiudizi e discriminazioni che spesso si manifestano con atteggiamenti oltraggiosi, come si osservano nei suk de Il Cairo, di Tunisi o di Marrakech: testimonianze si hanno anche sui voli della Royal Air Maroc. Inoltre, tali atteggiamenti si osservano anche verso i rari insegnanti, anche arabi di colore, che ricoprono poco rilevanti ruoli istruttivi. Il libro di Nader Kadhim descrive bene alcune di queste situazioni, coniando il termine al-istifraq, o “africanismo”, che spiega come gli arabi neri sono ritratti e immaginati negli “antichi” scritti arabi. Anche il “mondo” femminile delle arabe nere o delle migranti africane è colpito drammaticamente e pregiudizievolmente sotto quasi tutti gli aspetti.

Così abbiamo testimonianze del trattamento spietato che in Libia viene riservato agli africani sub-sahariani, legato all’idea comune che un nero possa essere comprato, venduto e torturato senza causare particolari scrupoli. Questa logica implacabile è giustificata, come detto, anche dagli arcaici trattati arabi e transatlantici che hanno lasciato tracce nella consuetudine dei comportamenti, soprattutto su alcune categorie di popolazione arabe. Tale “concezione” trae le sue origini dai secoli della colonizzazione dell’Africa orientale da parte dei mercanti arabi, presenti nell’area sub-sahariana almeno sei secoli prima dei portoghesi – fine XV secolo – primi colonizzatori europei. Alla luce di questi accadimenti e dei forti segnali di pericolo emersi in molte occasioni, il mondo africano stenta ancora oggi a considerare terminata questa pratica discriminatoria.

Per molti di questi migranti la Libia, che dal 2014 è diventata un hub per l’Europa, è sinonimo di violenza, racket e tortura. Per le donne africane è anche una certezza di subire abusi sessuali, stupri o prostituzione forzata in un contesto di totale impunità. Molte di queste ragazze vengono in Libia dal Centro Africa, persuase da connazionali che spesso sfruttano l’ingenuità e il disagio per indirizzarle nelle mani di donne libiche che le inseriscono nel giro della prostituzione. Le testimonianze più dettagliate arrivano da quelle poche fortunate che, con aiuti e rocambolesche concomitanze, sono riuscite a rifugiarsi in centri di accoglienza in Tunisia. In questo “quadro” emerge anche il prezzo che i “benefattori” pagano per il riscatto o “l’acquisto” di queste ragazze, che è circa di 300 dinari libici, 56 euro, pagati alle donne che le gestiscono e suddivisi poi con i veri padroni.

Tra questi l’ostello di Médenine dove molte ragazze sostano anche per alcuni anni, situato a Sud-Est di Tunisi, raggiungibile da Tripoli in circa quattro ore seguendo la via costiera fino ad Abu Kammash poi verso Ras Jedir. È in questo ambito moderatamente protetto che riescono a raccontare la loro sofferenza anche con raccapriccianti dettagli. Alcune di queste ragazze vengono dalla Liberia, spesso sono orfane, partono con alcune centinaia di euro – raccolti in vari modi – necessari per raggiungere dopo mesi la Libia tramite la via che dal Mali prosegue verso una nota e rischiosa rotta verso l’Algeria. Una volta in Libia resta da approdare in Europa.

Tuttavia spesso l’Europa resta una chimera e nel frattempo le prigioni tripoline e i ruderi degli ex centri di raccolta dove la guardia costiera libica, pagata dall’Unione europea, reclude i migranti dopo averli intercettati, sono la realtà dove queste ragazze, anche secondo l’Onu, vengono sfruttate sessualmente. L’unica occasione è la fuga verso la Tunisia.

Mongi Slim, leader della Mezzaluna Rossa, ha dichiarato: “È raro che non vengano violentate o aggredite sessualmente. Alcune, protette da un uomo, sopravvivono meglio, ma per le donne sole è quasi sistematico”. Che vi sia una consapevolezza ampia di questa situazione lo dimostra anche l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (Unhcr), che risulta consigli alle ragazze che partono per la Libia, “un’iniezione di contraccettivi efficaci per tre mesi” oppure l’utilizzo della pillola del giorno dopo.

Di fronte ai crimini sessuali commessi nei centri di detenzione, nelle carceri di polizia e contro i migranti che vivono nelle città, le Nazioni Unite hanno deciso nel 2020 di inviare una polizia per la loro protezione. Tuttavia ad oggi non risulta che ci sia stato un reclutamento ad hoc. Il 12 giugno, secondo l’Unhcr, oltre mille persone, tra cui molte donne, intercettate in vario modo nel Mediterraneo, sono state riportate in Libia, per poi essere ricondotte nelle carceri e nei centri, ancora senza protezione.

Per molte ragazze africane ricomincerà un inferno di violenze, dove ogni mattina un capo sceglie quelle destinate ai libici per la prostituzione e dove un pasto è basato su pane, sardine e insalata. Ma ancora con il sogno dell’Europa, o almeno con la speranza che il nuovo Governo unificato, nato a marzo, faccia fronte alle impunità e alle violenze quasi “legittimate”.

Aggiornato il 28 giugno 2021 alle ore 09:18