Che sorpresa! Ebrahim Raisi è il presidente dei mullà! Il “divino” regime dei mullà ha sconfitto ancora una volta il grande “Satana”. Se gli americani hanno impiegato un mese per confermare l’elezione di Joe Biden, in Iran già da più di un mese si sapeva il trionfo di Raisi! Il personaggio nel 1980 a diciannove anni, con la licenza elementare, diventa procuratore di Karaj, una cittadina vicino alla Capitale, e visto lo zelo dopo due anni il suo raggio d’azione si estende fino alla provincia di Ghazvin.
Nell’estate del 1988 Raisi viene chiamato da Khomeini a Teheran come giudice per far parte della Commissione della morte che spedisce al patibolo oltre 30mila prigionieri politici, non intenzionati a piegarsi alla dittatura teologica al potere. Il boia con la licenza elementare nella sua prima conferenza stampa da presidente dichiara: “Sin dall’inizio del mio mandato, come giurista, ho perseguito i diritti umani”! Non contento della clamorosa affermazione, aggiunge che per questo deve essere premiato. Mohammad Javad Zarif avrebbe negato l’esistenza di prigioni e prigionieri, di torture e impiccagioni per i reati d’opinione. Raisi no; lui si vanta e pretende il premio per l’eccidio dei dissidenti.
Lo scrittore persiano Sadegh Hedayat nel romanzo “La civetta cieca” scrive che l’uomo in punto di morte, dopo aver indossato diverse maschere, quando l’ultima diventa logora e disfatta, si presenta con la vera faccia. Dopo tante maschere, da Rafsanjani a Khatami, da Ahmadinejad a Rouhani, Ebrahim Raisi è la vera faccia del regime teocratico al potere in Iran. I giornalisti di quaggiù, abituati all’occidentalcentrismo e alle categorie da questo derivate, consumato il bagaglio dei vacui vocaboli come riformista, riformatore, moderato, eccetera eccetera, appellano il boia di Teheran con la categoria sempre verde di “falco”, sebbene sia arduo chiamare falco una persona scevra di carisma!
L’insediamento di Raisi se non altro è servito anche a porre fine alla favola di riformare un regime totalitario non riformabile e ha definitivamente relegato al cestino i variopinti personaggi riformisti inesistenti e immaginati solo dalle cancellerie occidentali. Con Raisi i nodi sono venuti al pettine. Russia, Turchia, Cuba, Venezuela, Corea del Nord, Siria e i leader di Hamas e Hezbollah si sono congratulati per l’insediamento di Raisi. Il Ribbentrop della dittatura teocratica, Zarif, ha definito Raisi “persona ragionevole e rispettabile”. Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, ha chiesto che Raisi sia indagato per i “crimini contro l’umanità, per omicidi, sparizioni forzate e torture”. Steffen Seibert, il portavoce del Governo tedesco, ha dichiarato: “Siamo a conoscenza del ruolo di Ebrahim Raisi nelle esecuzioni in Iran”. Dalle stanze italiane ancora nessuna parola! L’Occidente avrà lo stomaco per digerire Ebrahim Raisi?
Come previsto dalla farsa elettorale del 18 giugno, le urne sono state disertate. Il regime ha spacciato la partecipazione dei 48, 8 per cento dei votanti ma il dato è un multiplo della percentuale reale dei partecipanti alla “epopea elettorale”. È la prima volta che la teocrazia annuncia un numero di votanti inferiore al 50 per cento. Per avvicinarsi al numero reale si dovrebbe dividere per 5 il numero annunciato! I Mojahedin del popolo iraniano, la principale opposizione al regime, con i suoi 1200 punti di osservazione in varie città, riferisce che “meno del 10 per cento degli aventi diritto ha votato nelle elezioni farsa del regime clericale”.
Del resto le ambasciate iraniane in tutto il mondo, compresa quella in via Nomentana a Roma, sedi elettorali, hanno registrato un numero di votanti inferiore alle dita di una mano. Porre Ebrahim Raisi alla presidenza della Repubblica islamica è un indelebile segno di debolezza del regime ed è una chiara dichiarazione di guerra al popolo iraniano e all’esercito della fame che intende riprendere il suo Paese.
Aggiornato il 23 giugno 2021 alle ore 11:37