Migranti: la rotta oltre le Colonne d’Ercole

Che il “sistema migratorio” abbracci una serie di complessità sociali ed economiche è ormai cosa nota; è anche risaputo che all’interno del circuito migratorio “peregrininodei principi che con la salvaguardia dei confini e con il “migrante” hanno poco a che fare; meno noto è che questi flussi di masse, solitamente disorientate, affrontino rotte come quella atlantica, dove il rischio e l’insuccesso si abbracciano.

Questo pseudo fenomeno migratorio si manifesta molto frammentato, legato alla politica in generale, in netta evoluzione, quindi poco controllabile, anche se moderatamente prevedibile. La comprensione dei profili dei migranti e la conoscenza delle rotte migratorie è necessaria per una serie di fattori: protezione dei confini, osservanza della condizione sociale delle realtà accoglienti, negoziati tra le nazioni “fornitori di migranti” e la Comunità internazionale. Questi dati concreti sono fondamentali per una gestione efficace delle politiche e dei cospicui finanziamenti connessi con la migrazione.

Il Missing migrants project (Mmp), come il Displacement tracking matrix (Dtm), organi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), raccolgono i dati sui migranti lungo le varie rotte migratorie, come il numero dei morti, delle sparizioni, delle partenze e degli arrivi. In queste apparentemente caotiche dinamiche umane, tra le consuete rotte che vengono monitorate, spesso si sottovaluta la rotta atlantica che assume un significato particolare, sia sotto l’aspetto della motivazione della traversata sia dell’obiettivo, che ovviamente non sono solo le Isole Canarie (Spagna) ma spesso una “immaginaria” e confusa Costa americana. L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha registrato un sorprendente incremento di questi flussi dalle coste dell’Africa occidentale alle Canarie; su questa rotta, che ha visto le prime traversate nel 2006, si è registrato un numero crescente di migranti che solo nel 2020 ha superato il numero di 23mila unità. Questa cifra rappresenta un aumento che supera il 700 per cento rispetto all’anno precedente.

La durata del viaggio verso le Canarie, a seconda della zona di partenza, varia da uno a dodici giorni. Senza dubbio più lunga rispetto alla rotta marittima del Mediterraneo Centrale, ma nel complesso più semplice e più veloce nella parte terrestre, perché lo spostamento tra i Paesi del Sahel è generalmente incontrollato. Diversamente rispetto alle partenze che avvengono dalla Libia, dove spesso il migrante prima di giungerci deve affrontare un viaggio che può durare molti mesi e dove i rischi di perdere la vita si diluiscono in ambienti drammaticamente difficili, prevalentemente desertici e dominati da spietate bande di criminali.

Come motivare questo rotta alternativa dei migranti della regione saheliana e subsahariana che partono dalle coste del Marocco e della Mauritania? La risposta, anche in questo caso è politica. Infatti, con l’avvento al potere nel 2018 di Pedro Sánchez, la Spagna ha costruito nuovi accordi con il Marocco (nonostante il Fronte Polisario), inasprendo i controlli nel nord del Paese, spingendo così i migranti ad intraprendere la “strada atlantica”, diminuendo i rischi per giungere alla costa, ma incrementandoli per la traversata, dove sono non computabili le morti e le sparizioni a seguito dei frequenti naufragi. Inoltre gli accordi di sorveglianza tra l’Unione europea (Frontex) e Tripoli, e la sinistra reputazione della Libia come terra di transito, hanno deviato i migranti verso l’Atlantico. Come la drammatica instabilità nel Sahel interno (Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad) dove la presenza del terrorismo islamico, delle persecuzioni, dei matrimoni forzati, e delle violenze in generale, hanno contribuito alla variazione del tracciato migratorio.

Va aggiunto che la crisi economica e la cronica emergenza sanitaria hanno contribuito ad innescare questo vasto esodo che colpisce in particolare le popolazioni che, direttamente o meno, vivono del mare. In sostanza il profilo di questi soggetti che si avviano ad affrontare una traversata con mezzi, che i navigatori del XV-XVI secolo usavano forse come scialuppe di salvataggio, fa comprendere di essere di fronte a una umanità sofferente da molti punti di vista, come quello della “minima conoscenza”, ancorché fisicamente resistenti, adattabili ad ogni circostanza, abituati alla sofferenza e avvezzi a ricevere e fare violenza.

La traversata dall’Africa all’Europa, e in particolare verso la Spagna attraverso lo Stretto di Gibilterra, prevede un attraversamento tra i 15 e i 30 chilometri. Da Tarfaya (Marocco) a Fuerteventura (Isole Canarie), il viaggio è di poco più di 100 chilometri, e dalla Libia a Lampedusa, circa 350 chilometri, ma per raggiungere le Isole Canarie dal Gambia occorre navigare almeno per quasi 2mila chilometri lungo la costa fino a Dakhla, e poi a Nord-Ovest, con il concreto rischio che le correnti conducano l’imbarcazione verso le Coste sudamericane, passando lontano dalle Isole spagnole. Proprio sulle Coste sudamericane alcuni giorni fa è stata trovata una imbarcazione con all’interno una decina di migranti africani morti; ma relitti con inconfutabili tracce della loro origine nordafricana, sono stati ritrovati sulle coste mesoamericane.

Così l’apertura di altre rotte più pericolose, come la rotta atlantica, non producendo il noto “effetto chiamata” a causa sia della mortale traversata, sia per i repentini rimpatri, sia perché molte imbarcazioni scompaiono nella vastità oceanica, provoca tuttavia “l’effetto uscita”, in questo caso supportato, oltre che dalla disperazione, purtroppo anche dalla devastante non conoscenza della geografia e delle correnti, che spinge questi migranti in imprese più adatte al Medioevo che a un XXI secolo avviato.

Aggiornato il 21 giugno 2021 alle ore 10:02