Quando si torna a riflettere sulla condizione femminile in Pakistan, o anche in altri Paesi con caratteristiche simili, vengono alla mente i tormenti e le violenze, che spesso si traducono in omicidi a carico delle donne, che siano madri o figlie. Tutto ciò avviene all’ombra di una interpretazione dei versi coranici e di vari Hadith (racconti/aneddoti), come quelli di Sahīh al-Bukhārī (7 LXII 16), molto lontana dal suo vero significato; queste “applicazioni” generalmente affondano le loro radici nell’abisso dell’ignoranza pura e dell’opportunismo.

In questi casi il destino di queste donne pakistane è scioccante, sia dal punto di vista intellettuale che spirituale. Analizzando queste realtà sociali si apprende che la condizione di molte di queste donne è disumana, soprattutto in alcune province dove sin dalla pubertà le bambine devono nascondersi dietro un velo, non possono uscire dalle loro case senza essere accompagnate da un maschio della famiglia, perché considerate dagli uomini profondamente immature ed incapaci di elaborare considerazioni.

Ma il punto di frattura più gravoso tra questa “civiltà” ed “altre” è senza dubbio quella percezione del senso dell’onore, che vede padre, zio, fratello o figlio, sfidare ogni tipo di comprensione. Nella fattispecie se un uomo della famiglia scopre che una figlia è uscita di casa senza permesso, può mutilarle la lingua, le dita o la mano; oppure un padre, ma ci sono come sappiamo delle “deroghe”, può uccidere la figlia a sangue freddo, perché secondo la loro interpretazione del Corano ha infranto un precetto disonorando la famiglia.

I rapporti tra i coniugi, se possibile, sono i più complessi; ovviamente “l’ignoranza” agevola il controllo (teorema sociologico e politico anche extra-Pakistan) e può accadere che una delle mogli, è prevista la poligamia fino a quattro e tra la prima e la quarta possono scorrere anche oltre quaranta anni, si ribelli con esiti che possono portare spesso alla acidificazione o alla lapidazione della donna. Sono registrati anche rari casi dove la donna, disperata, uccide il marito-torturatore, anche in modo efferato, subendo poi un sommario processo che, generalmente, la conduce verso la pena di morte.

Quindi il problema per gli uomini è “salvare l’onore della famiglia” anche con il sangue, ciò li rende orgogliosi di essere sottomessi e osservanti delle “loro regole” religiose. È infatti proprio “l’onore” la causa principale dell’ondata di omicidi perpetrati contro le donne e quelle che restano sopravvivono in uno stato di cronico “orrore domestico”. Di seguito, la donna istruita è una cattiva musulmana, quindi vivono prevalentemente tra le nebbie dell’analfabetismo e della non conoscenza. Inoltre le poche donne delegate all’istruzione sono proprio quelle che insegnano alle adolescenti, al fine di sopravvivere, ad osservare l’assoluta sottomissione e l’obbedienza. In Pakistan le donne possono essere utilizzate anche come “mercenegoziale, per dirimere controversie o saldare debiti: ciò non è scritto in nessun Testo Sacro ma piuttosto è retaggio di una cultura pre-islamica.

Secondo la Fondazione Aurat, una Ong locale per i diritti delle donne, oltre milleseicento pakistane sono vittime dei “delitti d’onore” ogni anno. Tra le cause presunti adulteri, sostenuti spesso da testimoni pagati o meno dal marito. Intanto i primi di maggio, in Pakistan, una coppia cristiana, Shafqat Emmanuel e sua moglie Shagufta Kausar, condannati a morte per blasfemia nel 2014, è stata assolta in appello. Secondo la “giustizia” pachistana, il cristiano Shafqat Emmanuel è stato accusato di avere inviato un controverso messaggio dal telefono della moglie a un imam il cui contenuto danneggiava il profeta Maometto. La Corte Suprema di Lahore ha assolto in appello la coppia, come comunicato dall’avvocato della coppia, Saif-ul-Malook. Ricordo che la legge pachistana sulla blasfemia, accusata dai liberali di essere utilizzata per dirimere controversie personali, ma difesa con le unghie e con i denti dagli islamisti, prevede la pena di morte per chi denigra Maometto.

La storia italiana di Saman Abbas è il simbolo della “esportazione” della “legge pakistana”, non coranica, in Italia. Condannata perché voleva essere libera, probabilmente ha pagato con la vita “l’onore” calpestato della sua famiglia, che abita a Novellara (Emilia-Romagna) e qui vive in una realtà laica a tal punto da permettergli di mantenere le sue inadeguate usanze. Nel frattempo, cosa fanno le donne musulmane in Occidente? Cosa fanno le attente osservatrici dei diritti delle donne? Comprendendo appieno la non reazione delle donne musulmane, meno quella delle attente ed “inginocchiate” osservatrici italiane nel non mostrare solidarietà alle loro sorelle vittime di atrocità come quella accaduta a Saman.

Aggiornato il 14 giugno 2021 alle ore 11:13