L’Iran può avere la bomba nucleare in cinque mesi

Chi ha detto che il presidente Usa Joe Biden avrebbe trascurato la politica estera, pensando di più al contesto interno? È vero che Biden ha accelerato il ritiro dall’Afghanistan, ma i dossier aperti con la Cina sono sul tavolo operativo così come lo erano con Donald Trump. Resta da chiarire la posizione statunitense rispetto al perenne conflitto mediorientale, dopo il recente conflitto tra l’esercito israeliano e i gruppi armati di Hamas, dietro ai quali aleggiava la presenza del consueto convitato di pietra iraniano.

In questa settimana sono arrivati da Gerusalemme a Washington il direttore del Mossad Yossi Cohen, il responsabile in capo dell’esercito israeliano generale Aviv Kochavi, e il consigliere per la Sicurezza Mair Ben-Shabbat. Non si tratta di un’unica delegazione, ma di distinti incontri coi responsabili della intelligence e della sicurezza degli Stati Uniti. Già un mese fa il direttore del Mossad Cohen aveva incontrato lo staff della Casa Bianca. A questa serie di incontri si deve aggiungere la visita di mercoledì 2 giugno del ministro israeliano della Difesa Benny Gantz, il quale ha incontrato il suo omologo, generale Lloyd Austin, il Segretario di Stato Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza Usa Jake Sullivan. Uno degli obiettivi degli incontri di Gantz è stato la fornitura (e il miglioramento) degli intercettori Tamir, che hanno avuto problemi contro i missili Fajr-5.

L’argomento di questi incontri ha un filo unico: secondo i dati in possesso della sicurezza israeliana il governo di Teheran entro la fine del 2021 avrà l’arma atomica.

Si capisce quanto il dossier aperto tra Gerusalemme e Washington sia scottante. Nelle scorse settimane 4mila razzi sono stati lanciati da Gaza su Israele. Si trattava dei vecchi Qassam-3 ma anche dei Fajr-5 che hanno una gittata di circa 80 chilometri. Lo scorso settembre un documentario trasmesso da Al-Jazeera ha mostrato immagini satellitari di militanti di Hamas che assemblavano missili Fajr di provenienza iraniana. Teheran ogni anno finanzierebbe i gruppi armati di Hamas con 100 milioni di dollari.

Ciò che la stampa più asfittica non rileva sono due aspetti:

1) il recente conflitto non è scoppiato a causa degli irrisolti problemi tra i palestinesi e gli israeliani: il vero detonatore va cercato nel gas che si trova nei giacimenti offshore di Gaza, Israele, fino al Libano e a Cipro come ha rilevato di recente Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia;

2) L’ultimo treno per risolvere l’incubo di una bomba atomica in mani iraniane è dato dai colloqui previsti a Vienna tra una settimana. Non dimentichiamo che i missili iraniani - gli S-400 russi o gli Shahab con tecnologia nordcoreana - hanno un raggio di 2000 km, e quindi possono colpire i territori compresi tra l’Arabia, l’India e l’Europa.

Ad aprile il presidente iraniano Rouhani ha dichiarato di essere ottimista sul negoziato nucleare di Vienna. Anche il direttore dell’agenzia Esteri della Ue Enrique Mora si è detto “alquanto sicuro” di trovare un accordo con Teheran nel corso dei colloqui Jcpoa (il Dialogo sul nucleare iraniano), che ricominceranno in Austria il prossimo 10 giugno.

Un altro dato importante è che il 18 giugno ci saranno in Iran le elezioni presidenziali, e Rouhani spera di poter presentare agli elettori un accordo sul nucleare, il che implicherebbe la riduzione delle sanzioni.

I timori israeliani non sono strumentali: quando nel 2015 furono siglati gli accordi Jcpoa gli analisti della presidenza Obama davano un anno di tempo prima che il regime degli ayatollah raggiungesse l’autonomia militare atomica. È quindi ragionevole il termine di 4 o 5 mesi indicato in queste ore da Israele alla presidenza americana.

Detto ciò, se si arriverà a un accordo, sarà decisiva la possibilità di certificare l’effettivo stop al programma nucleare di Teheran, evitando quanto è successo di recente riguardo alle origini del Covid in Cina, con la Oms che non ha potuto (e forse in parte non ha voluto) accedere ai laboratori di Wuhan e ai relativi dati.

Se si scorrono le pagine del profeta Isaia, che riguardano gli errori di Israele e quelli dei suoi nemici, ci si rende conto di quanto profondi e antichi siano i conflitti mediorientali. Un israeliano non necessariamente ortodosso cosa pensa, nei giorni del conflitto missilistico con Gaza, leggendo questo verso?

Non ti rallegrare, Filistina, se la verga che ti colpiva si è spezzata, perché dalla radice del serpente uscirà un basilisco, e il suo frutto sarà un serpente ardente e volante. (Isaia, 14:29). Molti “serpenti ardenti e volanti” sono volati in quei cieli nelle scorse settimane. Non si tratta quindi soltanto di religione: una concreta strategia geopolitica deve imporre una pacificazione realistica nel Medio Oriente. Come potremmo passare dal Covid a un conflitto generalizzato, con blocchi a Suez e stop a petrolio e gas?

Quindi un accordo va cercato, ma tenendo la barra in direzione opposta a quella degli accordi di Monaco nel 1938.

 

 

Aggiornato il 04 giugno 2021 alle ore 18:42