Mali: la perfetta democrazia dei golpe

Il vicepresidente della transizione maliana, il colonnello Assimi Goïta ha colto un po’ di sorpresa gli osservatori internazionali e anche i maliani, quando la settimana scorsa si è reso artefice di un secondo colpo di Stato in nove mesi. Lunedì 24 maggio l’ufficiale 38enne, autore del golpe, dopo l’ufficializzazione di un rimpasto di Governo appreso in diretta sulla televisione nazionale, si è sentito, secondo un suo consigliere, “offeso e ferito nell’onore”. Goïta, secondo lo statuto di transizione ha la responsabilità delle questioni di difesa e di sicurezza, e ha visto “licenziare”, senza la sua approvazione, due dei suoi stretti collaboratori golpisti: i colonnelli Sadio Camara e Modibo Koné, rispettivamente ministri della Difesa e della Sicurezza. La sua prima reazione è stata quella di fare arrestare il presidente di transizione Bah Ndaw, ed il primo ministro Moctar Ouane, poi li ha fatti trasferire presso il campo militare di Kati a 17 chilometri a nord della capitale Bamako.

Un fattore che sicuramente ha contribuito a rendere il golpe una sorpresa, è la stessa figura di Goïta: un colonnello delle forze speciali, che risulta tendenzialmente sfuggevole. Ma chi è veramente Assimi Goïta? Cosa sta cercando? Come mostrano le immagini trasmesse sulle emittenti locali, usa portare un girocollo beige utilizzato anche come “scena” di protezione da un eventuale Covid; generalmente è circondato da guardie del corpo, risulta enigmatico, a volte taciturno, ma soprattutto ha una “maschera” che cela i suoi obiettivi. Da alcuni giorni, la già pesante aria che incombe sul Mali era incupita da voci che parlavano di forti tensioni tra il presidente, il vice e il capo della Giunta, i quali lo scorso agosto avevano insieme rovesciato il presidente Ibrahim Boubacar Keïta. Ma viste anche le grandi difficoltà nel gestire i pressanti movimenti estremisti islamici, difficilmente si poteva immaginare che il Mali avrebbe subito un nuovo colpo di Stato all’interno di un colpo di Stato, con un ennesimo vuoto costituzionale.

Le reazioni di Francia e Stati Uniti, interlocutori internazionali con una autorità almeno riconosciuta, hanno immediatamente minacciato sanzioni; ma il consigliere legale del colonnello Goïta, Youssouf Coulibaly, ha dichiarato, con estrema sicurezza, che qualsiasi sanzione che la Comunità internazionale possa mettere in atto, andrà solo a scapito della popolazione (come sempre). Così il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha annunciato che se gli sforzi di mediazione non avranno successo, “prenderemo sanzioni contro tutti coloro che impediscono lo sviluppo del processo di transizione”. Inoltre, gli Stati Uniti hanno comunicato la sospensione dell’assistenza alle forze militari maliane, che ovviamente come effetto collaterale farebbero la gioia dell’islamismo radicale.

Tuttavia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocato con urgenza, ha condannano gli arresti, non dichiarando l’evento un “colpo di Stato” e non annunciando alcuna misura. I membri del Consiglio hanno esortato i militari a “tornare senza indugio nelle loro caserme”, prima di chiedere un’immediata ripresa della transizione civile.

Intanto, una delegazione dell’Ecowas, Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, guidata dall’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan, è arrivata a Bamako martedì e giovedì hanno ottenuto il rilascio del presidente Bah Ndaw e del suo primo ministro, Moctar Ouane, dopo che avevano passato tre giorni di detenzione nella caserma di Kati (altro fattore che rafforza il peso politico dell’Ecowas rispetto alle organizzazioni non africane).

Fatto questo quadro della ennesima crisi diGoverno” del Mali, al fine di rispettare la Carta transitoria, le elezioni presidenziali e legislative dovrebbero essere organizzate entro nove mesi. Ricordo che il tempo concordato era diciotto mesi dall’accordo. Ma la comodità a voler gestire una situazione di emergenza (nota non solo in Mali) induce i militari a ignorare il calendario programmato. Infatti, anche in questo caso i golpisti evocano un ipotetico “volere dei cittadini”, volto a manifestare la volontà se continuare o meno con un Governo “transitorio”. Secondo Coulibaly, questo programma di un anno e mezzo per svolgere le elezioni è stato imposto dalla Comunità internazionale, mentre i golpisti pensavano di restare due o tre anni dopo il rovesciamento dell’ex presidente Ibrahim Boubacar Keïta (Ibk). Un tempo necessario per ricostruire le basi del sistema elettorale e per evitare scrutini “disordinati e fraudolenti”.

Comunque, nel sabbioso mondo della politica maliana già circolano i nomi dei successori del presidente Bah Ndaw e del suo primo ministro, Moctar Ouane, che con molta probabilità saranno il colonnello Goïta che prenderebbe le redini del Paese, mentre il primo ministro potrebbe andare a un membro del Movimento del 5 giugno-Rassemblement des forces patriotiques (M5-Rrp).

Questa situazione è considerata preoccupante dalla forza Onu Minusma, che ha registrato un significativo aumento delle violenze nel primo trimestre del 2021, nonostante la presenza nel Sahel di circa 5mila soldati francesi e di vari servizi più o meno segreti. Tale spiegamento di militari e di intelligence è spesso imbrigliato nei difficili rapporti con la politica interna, con gli interessi internazionali, e impantanato con il crescente jihadismo, tutto nel perimetro dei traffici d’oro e del contrabbando di armi, esseri umani, petrolio, droga… e tutto ciò che è “commerciabile”.

Aggiornato il 31 maggio 2021 alle ore 11:38